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Intervista totale ad Alexia: “C’è tanta rabbia, quando la gente si sfoga sugli altri è pericoloso”. Achille Lauro? “Geniale”. Capo Plaza? “Non lo conoscevo ma…”. E sul nuovo singolo Follow e i momenti top e down della sua carriera…

  • di Giuditta Cignitti

14 maggio 2025

Intervista totale ad Alexia: “C’è tanta rabbia, quando la gente si sfoga sugli altri è pericoloso”. Achille Lauro? “Geniale”. Capo Plaza? “Non lo conoscevo ma…”. E sul nuovo singolo Follow e i momenti top e down della sua carriera…
Alexia ci ha accolti nel suo studio milanese per raccontarci il ritorno alla dance con il nuovo singolo Follow e l’annuncio di The Party, la sua data-evento al Fabrique. Tra aneddoti su Festivalbar, la maternità, i fan sparsi per il mondo e collaborazioni con Achille Lauro, l’artista riflette sull’evoluzione della musica e del successo. Oggi, lontana dalla frenesia degli anni Novanta, trova ispirazione tra Tiny Desk e vinili, con la consapevolezza che l’unico vero motore resta il cuore. E che anche il passato, se ascoltato bene, può ancora suonare nuovo…

di Giuditta Cignitti

Per l’uscita del suo nuovo singolo “Follow” e l’annuncio della data al Fabrique, siamo andati a trovare Alexia nel suo studio di registrazione di Milano. Lei negli anni Novanta è riuscita in un’impresa che nella discografia contemporanea è un miraggio, se non addirittura un’utopia, diventare famosa all’estero cantando in inglese. Senza grandi strategie era entrata nelle classifiche di varie nazioni d’Europa portando la sua dance, che in Italia l’aveva trasformata in un idolo per tutte le ragazze e i ragazzi che guardavano Festivalbar. Dopo vari esperimenti oggi torna nel suo elemento musicale, come ci ha raccontato in questa chiacchierata, tra poster autografati, riconoscimenti, premi e libri fotografici, come quello di Helmut Newton a portata di mano per essere sfogliato.

Il tuo nuovo brano si intitola “Follow”, un termine molto ancorato nell'attualità dei social network e che ben dipinge la posizione del fan che segue appunto. Vista la tua lunga carriera, com’è cambiato nel tempo il rapporto con i tuoi fan e in generale il rapporto con i fan?

Da parte mia c'è una fatica nel riuscire a mantenere il passo nei confronti di tutti questi social media, sempre più veloci, sempre più innovativi; quindi, finisco di entrare in contatto con un social e improvvisamente quel social lì è già diventato vecchio; quindi, da parte mia è stato faticoso e penso che continuerà ad esserlo, perché appartengo a un’altra generazione. Però il contatto con i fan, penso che sia anche migliorato, perché riesco ad avere contatti con quelli del Brasile, del Perù, dell'Europa estrema, che vedi solo quando vai a fare i tour in quelle zone; invece, così hai la possibilità di parlare con loro. Io rispondevo anche un po' alle lettere nell'era “arcaica” e ovviamente i social in questo sono diventati un'innovazione pazzesca.

Questa diciamo è la parte positiva, poi c'è anche una parte negativa, come ha fatto presente Big Mama sul palco del Primo Maggio parlando dell'hating. Tu hai avuto esperienza di hating sui social?

Io ho avuto esperienza di haters nell'era arcaica, nel senso che la gente che non accettava il tuo successo, ti diceva in faccia quello che pensava, anche sotto il palco, poi magari riceveva dei commenti negativi da parte invece dei miei sostenitori o da parte di coloro che venivano a vedere il concerto e non volevano essere disturbati. Oggi questo confronto diretto non c'è più, quindi io posso avere dieci persone, cento persone, mille persone che mi criticano e io cosa faccio? Mi metto a rispondere? Devi per forza soprassedere, perché altrimenti ci passi le giornate e ti rovini proprio la vita. Quello che trovo in generale, proprio a livello universale è che ci sia tanta rabbia, la gente si sfoga, finché lo fanno così va ancora bene, quando si sfogano facendo dei danni alle altre persone fisiche invece è un po' più pericoloso.

Sei diventata famosa in un'epoca analogica, in cui la discoteca era anche un luogo privilegiato del divertimento. Oggi non ha più quest’aura, perché ci sono molte più alternative, tu però per il prossimo concerto hai scelto il Fabrique e hai scelto di intitolarlo The Party, quindi una festa. Cosa vuoi festeggiare?

Voglio festeggiare con coloro che sono cresciuti con me, con le mie canzoni questo ritorno a questa atmosfera, in cui c'era grande leggerezza, grande voglia di divertirsi e c'erano anche le possibilità. Andare in discoteca costava, i parcheggi costavano, il guardaroba della discoteca costava, era un po' uno status riuscire ad entrare in discoteca. Poi se c'era un'attrazione, che poteva essere Alexia o un dj importante, allora il prezzo aumentava. Perciò erano momenti di aggregazione, io personalmente, i primi fidanzatini li ho conosciuti in discoteca. Il famoso struscio, si girava intorno a questo stanzone e ci lumavamo (in milanese “puntare”) tre o quattro volte. Lì ho costruito mentalmente un po' tutto il mio sogno, la mia carriera, frequentando le discoteche ho capito che il mio futuro era cantare quelle cose, era intrattenere il pubblico in quel momento particolare della loro vita, far scordare per un momento i problemi, essere un sogno. L'artista ha come scopo, come vocazione quello di creare un sogno, di creare un po' un'alternativa alle cose che ci circondano quotidianamente. La musica dance sicuramente è più leggera, però c'è la possibilità di raccontare anche dei temi importanti.

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Tu hai iniziato subito a cantare in inglese, guardavi direttamente all'estero oppure era una scelta stilistica?

L'inglese è sempre stato, nonostante tutto il mio elemento, dico nonostante tutto perché non sono inglese, non sono americana, cioè, sono italianissima. Non posso neanche vantare qualche antenato, no. Ho cominciato con l'inglese perché sentivo che mi vestiva meglio, poi alla strategia ci deve aver pensato qualcun altro perché ha sentito che mi veniva bene. Io sinceramente ho pensato di più a quello che mi faceva stare meglio. L'italiano mi ha divertito quando sono riuscita a farlo, ma non è facile trovare un incastro che sia per me giusto con la lingua italiana, dipende anche dai periodi storici, la maniera di cantare di oggi non si addice alla mia vocalità, alla mia età e nemmeno le cose che oggi si raccontano in italiano, per cui, come si dice, schippo.

Però tu hai avuto una lunga parentesi della tua carriera in italiano, hai pure vinto un Sanremo; senti di avere due anime diverse?

No, non le sento due anime separate. Sento che, quando la canzone in italiano è nelle mie corde non fa nessuna differenza, la canto con la stessa anima con cui canto un'altra canzone in inglese. “Dimmi come” ha avuto la forza intrinseca di un canto che non è propriamente italiano, il desiderio di riuscire a farmi scoprire anche come interpreta italiana era tanto che mi è venuta questo pezzo, poi è arrivata “Per dire di no”, che è uno dei brani che viene utilizzato maggiormente dai partecipanti dei concorsi canori. Quando devo riprepararmi per i miei concerti e la canto, mi dico “ammazza quanto è difficile”! Non sono due storie separate comunque, sono sempre io alla fine.

Nel 2020 hai collaborato con Achille Lauro per la canzone “You and me” che riprendeva la tua “Me and you”, per il suo album “1990” insieme anche a Capo Plaza, ci racconti com'è stata questa collaborazione?

All'inizio ho trovato Achille Lauro geniale, mi piaceva molto questo suo approccio non tanto di rottura, però di ricerca in un passato bello. Con “Rolls Royce” mi ricordava un po' un Vasco Rossi giovanissimo, poi lui è costantemente alla ricerca di nuove idee e quindi mi ha fatto piacere che mi abbia presa in considerazione per “1990”, perché vuol dire che rappresento comunque un'icona di quel periodo storico. Capo Plaza invece non lo conoscevo, ero reduce da una maternità; quindi, non ero molto aggiornata sulle uscite, poi ovviamente mi sono documentata e ho accettato di fare questo progetto perché mi ha resa proud, mi ha fatto sentire riconosciuta. Quando tu sei forte in un periodo, sei in hype, come si dice oggi e poi improvvisamente ti dedichi alla tua vita, è come se ti dimenticassi un po' di ciò che hai fatto in precedenza, non esisti più nella tua testa, ma nella testa della gente esisti, su questo io ho dovuto un po' lavorarci.

Achille Lauro non è stato il solo ad attingere dagli anni 90, che almeno ha vissuto, anche molti trapper nati negli anni 2000 sono affascinati da questa epoca, secondo te cosa ha portato a questo revival?

Secondo me è proprio una cosa generazionale, si va sempre a cercare un po' nel passato. Nel caso degli anni 90 secondo me è per quell'atmosfera che dava il suono analogico. I suoni analogici avevano un fascino, una pasta, un calore che ti consentiva veramente di riempire lo spazio. I microfoni, i nastri analogici, i compressori analogici, tutto quell’apparato tecnico oggi è stato soppiantato dal digitale con molti meno costi, tutto è molto più veloce, però ci hanno privato di quel calore che, secondo me, i ragazzini vanno a recuperare e poi sopra mettono la loro nuova storia che vogliono raccontare e si crea quindi una novità. Poi c'è chi la crea meglio e chi la crea peggio, però è una cosa che nasce dagli Stati Uniti d'America, c'è sempre stata la corsa ad andare ad acquistare i vinili per poi campionarli e creare nuove cose.

E invece tu trovi ispirazione nelle nuove generazioni?

Io sono molto attratta dalle musiche che vengono dal passato, perché mi fanno tornare bambina, però cerco anche delle cose allegre per avere un po' un parametro di quello che oggi funziona oggi. Passo un po' di tempo a guardarmi i Tiny Desk Concerts, perché comunque se qualcuno va lì deve saper cantare, come quando vai a Sanremo, se non sai cantare o non sai tenere il palco fai una brutta figura. Tiny Desk è piccolo, sei veramente nudo e crudo, devi veramente dimostrare. Recentemente ho scoperto questo gruppo argentino che si chiamano Ca7riel & Paco Amoroso, mi danno un'allegria, una voglia di vivere, sono due ragazzi di trent'anni che raccontano le barzellette cantando e rappando, però sono dei musicisti, hanno un background pazzesco. Poi magari fra una settimana mi fisso su qualcun altro. Scoprii anche Doechii a Tiny Desk che poi è saltata fuori con questo singolo con sotto la base di “Somebody that I Used to Know” di Gotye, quindi diciamo che dipende un po' dal mio stato d'animo.

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Nello studio di Alexia Giuditta Cignitti

Quindi nella musica ricerchi la competenza?

Si, ci deve essere competenza ma anche il cuore, perché se c'è solo la competenza, cioè se c'è solo il manico, come si dice, bello sì, però poi dopo un po' mi annoio.

Tu che hai calcato tante volte il palco di Top of the Pops, se dovessi fare la tua classifica personale dei cinque momenti top della tua carriera, quali sceglieresti?

Al quinto posto metterei il primo singolo con Ice MC, che ha avuto un successo galattico, lui aveva già fatto delle cose interessanti, ma quando uscì “Think by the way” c’è stata proprio una deflagrazione e questo grazie all'intro e la voce fatta in quel modo, la melodia l’aveva scritta Zanetti, però la voce era mia, il cuore, l’attitude ce l'ho messa io. All'epoca io ero ancora una vocalist di una cover band, andavo a fare la cantante in studio con Zanetti che era un produttore che faceva queste cose; quindi, non avevo la certezza che sarebbe stata la mia vita, dopo questa canzone l’ho capito e anche lui poi se ne è accorto. Al quarto posto metterei decisamente “Summer is Crazy” e il fatto che mi avevano scelta come sigla per lo spot del Festivalbar, lì ho cominciato ad essere veramente popolare a livello non solo nazionale, ma anche internazionale. Al terzo posto metterei il primo Sanremo perché nessuno si aspettava che fossi una cantante competente. Poi metterei sicuramente il vertice della mia carriera con la vittoria di Sanremo. Qualche anno fa, il mio manager, per farmi ricominciare, perché io avevo deciso di smettere, mi disse, facciamo una cosa che ti piace, allora ho fatto un disco di Natale. Ecco, quel disco mi ha permesso di cantare davanti a un pubblico più intimo e di fare quello che mi piaceva, senza pensare alle classifiche o ai testi in italiano. Quello è al primissimo posto perché mi ha veramente dimostrato che ho ancora tanto da dire e che il pubblico ne era consapevole più di me.

Ti ho chiesto i momenti top, però in una carriera così lunga ci sono chiaramente anche dei momenti di down, ma forse il vero professionista è chi sa mantenere la stabilità proprio in queste circostanze. Qual è stata per te la chiave per resistere?

Ho avuto la fortuna di avere costruito anche un giardino, una scialuppa di salvataggio che è la mia famiglia, il mio caposaldo, che per me rappresenta l'amore, il motivo per cui mi alzo ogni mattina, la compagnia, la fatica, la preoccupazione. Oggi che i miei figli mi impegnano molto di più, faccio il mio lavoro nei ritagli di tempo, ho talmente ridotto lo spazio da dedicare a me stessa, che sono talmente concentrata in quel poco spazio, che mi do completamente ed è ancora più bello. Al contrario, in passato quando facevo la cantante negli anni Novanta la mattina mi alzavo e magari pensavo a come togliere le occhiaie, oppure a fare 800 addominali, perché sennò ti guardavano la pancia, i vestiti e la ginnastica e la voce. Era io, io, io, poi appena qualcosa andava storto, boom, crollavo, adesso invece se qualcosa va storto c’è sempre la mia famiglia.

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