Marco Stanzani di Red and Blue Relations ha scritto un post sui social nel quale, raccontando il caso di Gerry Christmas, l’album nel quale, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, Gerry Scotti interpreta canzoni natalizie, operazione partita assai prima di Natale sui social, con una campagna meme senza precedenti in Italia, ecco, Marco Stanzani di Red and Blue Relations, vecchia volpe della comunicazione nel mondo dello spettacolo, ha scritto un post nel quale imbastisce una stretta relazione tra questa simpatica operazione natalizia e quella che, poco più di trent’anni fa, ha visto la nostra nazione tappezzata di cartelloni pubblicitari che vedevano un bambino giocare in terra, con su scritto, in bambinese “Fozza Itaia”. Era, non credo serva raccontarlo, il primo passo per l’annuncio della discesa in campo di Silvio Berlusconi, e quel Fozza Itaia sarebbe di lì a breve, in quel della Fiera della Pesca di Ancona, città dalla quale scrivo, diventata Forza Italia, con tutto quel che ne è seguito. Che anche Gerry Scotti, volto simpatico e gioviale della nostra televisione, prima ancora della nostra radio, voglia presentarsi in politica, ripresentarsi dovrei dire, è il non detto di quel post, mentre il detto è che l’arrivo dell’ai, cioè dell’intelligenza artificiale, avrebbe in qualche modo accelerato la fine di una discografia ormai da tempo in caduta libera, come se quanto da tempo proposto umanamente da tanti autori di hit italiane non fosse esattamente la medesima ministra. Proviamo allora a partire da qui, dall’arrivo dell’ai nel mondo della musica. Recentemente, non troppo recentemente, ma neanche troppo poco recentemente da farmi dire “tempo fa”, ho preso parte, in veste di spettatore, a un panel, così si chiamano oggi le conferenze, che aveva come tema l’Intelligenza Artificiale. Di più, aveva come tema come l’Intelligenza Artificiale influirà sul mondo della musica. Sì, avete capito bene, non ha influito e sta influendo, ma influirà. E in effetti, ascoltando i relatori parlare, non tutti ma quasi, la cosa che più balzava agli occhi è che si parlava di Intelligenza Artificiale ipotizzando futuri possibili, non raccontando l’oggi, volendo anche lo ieri. Si lanciavano ipotesi, anche piuttosto strampalate, laddove sarebbe bastato fare analisi basate su dati di fatto, sulla cronaca. Essendo un panel relativo al mondo della musica, era presente tra gli altri il presidente del Nuovo Imaie, per dire, si parlava di diritti d’autore, quindi di plagio massivo. E ripeto, se ne parlava come se fosse fantascienza, succederà o potrebbe succedere, in realtà succederà o potrebbe succedere quel che già succede da tempo, in quella che oggi è divenuta prassi. Sono intervenuto, non perché me lo avessero chiesto, ma più che altro per provare a indicare scenari ben più apocalittici di quelli prospettati, scenari che già stanno delineandosi in maniera piuttosto precisa. Proprio il presidente del Nuovo Imaie, Andrea Miccichè, ha detto un paio di cose che mi servono giuste giuste per portare il discorso laddove avevo deciso di portalo, il tutto mentre a breve sarebbe uscito un nuovo singolo dei Beatles, in realtà un vecchio provino portato a compimento con l’utilizzo dell’Ai e la gentile complicità dei due baronetti rimasti in vita, Paul e Ringo, l’Ai a portare a compimento la stesura del pezzo, Now and Then, e a interpretare con la voce di John quel che John, ovviamente, non può più interpretare. Prima ha raccontato di essere stato invitato a un concerto degli Abba, di esserci andato, di essersi chiesto, mentre cantavano, quanto mai fossero giovani, salvo poi scoprire che erano degli ologrammi degli Abba originali da giovani, come se il concerto degli ologrammi degli Abba non fosse cosa abbondantemente pubblicizzata. Poi, volendo sottolineare la centralità dell’uomo nel mondo e nel mondo dell’arte nello specifico, al panel prendeva parte anche Mariella Nava, in veste di artista, come se fosse l’arrivo dell’Ai a poter determinare una sua eventuale fuoriuscita dal sistema musica, non il semplice incedere del tempo, fuoriuscita già avvenuta da tempo, poi, quindi, volendo sottolineare la centralità dell’uomo nel mondo e nel mondo dell’arte nello specifico, ha detto qualcosa che suonava come “quando in un futuro dovesse capitare che andando al supermercato dovessi non trovare una cassiera, ecco, direi che è arrivato di andarmene da questo mondo”. Il tutto proprio nei giorni in cui su tutti i quotidiani nazionali si parlava del primo negozio non solo senza cassiere, già da tempo immemore nei supermercati è prevista la possibilità di passare da soli il codice a barra sotto lo scanner, in assenza di cassieri, ma addirittura di casse, tutto fatto in wi-fi, non fosse che l’e-commerce ha già da tempo avviato quella modifica di abitudini per cui oggi una buona porzione degli acquisti avviene online, Amazon docet.
Non ho ovviamente potuto perdermi l’occasione di dire come quel futuro fosse già da tempo tra noi, senza ovviamente voler spingere Micciché a farsi da parte, figuriamoci, ma approfittando dell’occasione del mio intervento per provare a tracciare velocemente un excursus dell’azione e del pensiero degli accelerazionisti, a partire dal gruppo capitanato da Mark Fisher, uno che in effetti il famoso passo indietro l’ha fatto, il CCRU, Cybernethic Culture Reserch Unit. Un gruppo di studi nato alla Warwich University e che aveva nelle figure di Mark Fisher, Nick Land e Sadie Plant i fondatori, appunto, e che vedeva la presenza, teorica, di personaggi quali Kodwo Eshun, Stephen Metcalf, Iain Hamilton Grant, Ray Brassier, Reza Negarestani, Ronin McKay, Luciana Parisi, Matthew Fuller, Hari Kunzru, Anna Greenspan, Angus Carlyle, Kode9 e i fratelli Jake e Dinos Chapman. Partendo dal Frammento sulle macchine di Karl Marx il movimento accelerazionista prende le istanze del comunismo e le porta all’estremo, in qualche modo prospettando un futuro nelle quale l’accelerazione tecnologica porterà la società a non aver più bisogno del lavoro, quindi a un benessere condiviso, tanto quanto una frangia destrorsa del medesimo pensiero parlerà di un futuro apocalittico nel quale lo strapotere delle macchine porterà a una implosione della società, come nel finale di 2017 Fuga da Los Angeles, quando Jena Pliskeen stacca la presa e lascia piombare il mondo nell’oscurità. Il postumano, o transumanesimo non guardato da entrambe le sponde come una possibilità percorribile. Anticipatore degli accelerazionisti era stato a suo modo il sovietico Nikolaj Fëdorovič Fëdorov, che sosteneva che lo sviluppo tecnologico cui l’uomo non poteva che guardare avrebbe portato a una sorta di elevazione al grado di divinità ipertecnologica l’uomo stesso, destinato a abbandonare la Terra per conquistare lo spazio, e non a caso l CCRU è in tutti i casi una realtà che prende spunto dalle tematiche cyberpunk, la fantascienza vista come filtro per decodificare la realtà. Nei fatti l’accelerazionismo cui lavorano teoricamente i membri del Ccru prende le mosse dagli scritti di Gilles Deleuze e Felix Guattari, L’anti-Edipo, nel quale viene rimarcato come al centro dell’attività dell’uomo ci sia il desiderio. Guardando al rapporto tra capitalismo e comunismo alla luce dei movimenti studenteschi sessantottini, i due autori indicano nella deterritorializzazione dei flussi libidinali l’idea di progresso, cioè dallo svincolo dei desideri dai vincoli e le catene a cui li hanno nei secoli assoggettati la società, sia essa famiglia, scuola, religione o appunto mondo del lavoro. La capacità produttiva non è più vista come legata a un prodotto, ma alla realizzazione dei desideri del singolo uomo. L’impatto delle teorie di Deleuze e Guattari negli studi del Ccru portano a una visione del neocapitalismo, giunto dopo il crollo della socialdemocrazia, anche in seguito alla liberazione del desiderio avvenuta nel Sessantotto, sorta di negativo del comunismo di matrice sovietica, assolutamente contrario all’idea di desiderio personale. In questa ottica anche le istanze di sovversione delle categorie sociali o l’emancipazione sessuale che nel Sessantotto si erano fatte largo sono entrate nell’immaginario neoliberista, perdendo tutta la propria carica sovversiva e rivoluzionaria. Di fronte a questa netta vittoria del neocapitalismo, ecco arrivare l’accelerazionismo, nell’Anti-Edipo contenuto nel Frammento accelerazionista, visto come un processo di piena e totale liberazione del desiderio. Il Ccru, quindi, come collettivo di intellettuali, scienziati e artisti, si lancia in studi teorici assolutamente non convenzionali che toccano al loro interno le droghe sintetiche, la musica techno, la rave-culture, così come, guardando più al passato, l’esoterismo, la numerologia e anche il realismo speculativo. Il risultato, e come poteva essere diversamente, è una totale disfatta, con una fronda che vira a destra, chi invece si perde dietro proprie fantasie sempre più incartate su se stesse, e chi, infine, proprio quel Mark Fisher che del gruppo era forse l’unico destinato a poter avere un pubblico fuori dalla stretta cerchia di addetti ai lavori, decide di porre fine alla propria esistenza su questo pianeta, la consapevolezza di aver perso troppo schiacciante rispetto a ogni plausibile possibilità di ribaltare il risultato.
Chiaramente sto riassumendo in poche righe le dinamiche e le traiettorie di un manipolo di intellettuali, più o meno disallineati, per ragion di formato, questo è pur sempre un testo breve destinato, temo, alla lettura durante un viaggio in metropolitana o una seduta, letterale e letteraria, sulla tazza del cesso, ma è indubbio che quel gruppo di svalvolati avesse in qualche modo più e meglio di chiunque altro intuito che la corsa verso una tecnologia onnipresente, pervasiva e invasiva, ci avrebbe condotto altrove, poi il capire dove era appunto oggetto di quelle riflessioni che ne causarono l’implosione. Oggi, siamo a fine 2023, quello che sembrava essere spaventosamente imminente è sì presente, ma sotto forme che ai nostri occhi appaiono decisamente meno paurose, e forse per questo c’è chi alza gridi di allarme, le infiltrazioni dell’acqua sono meno irruente dei crolli, per dire, ma non per questo meno dannose. Se quindi ci troviamo di fronte a chi parla di una prossima e imminente invasione da parte delle Ai, prospettando quasi un futuro alla Matrix con le macchine a guidarci, se non addirittura sostituirci, si parla di software sviluppatissimi in grado di provare sentimenti, e ormai è assodato che le Ai siano in grado di evolversi velocemente, autoprogrammandosi in base alle competenze di volta in volta acquisite, il post-umano lì a portata di click, il transumanesimo praticamente cosa fatta, un po’ come capitava a chi pensava che il futuro fosse fatto di viaggi interstellari, astronavi e pianeti da abitare mangiando pillole e lievitando a un metro da terra, e di fatto si trova in coda in tangenziale smanettando sull’autoradio siamo tutti qui in attesa che questo futuro in qualche modo si palesi, di volta in volta presto abituati a quelle infiltrazioni. Per dire, nessuno, credo, saprebbe più orientarsi in auto, fuori dalla tangenziale di cui sopra, in assenza di navigatore. Vacci tu, oggi, a chiedere informazioni abbassando il finestrino, a maneggiare mappe o il TuttoCittà, perdendosi di continuo. Nessuno si riabituerebbe, per essere più leggeri, ai palinsesti, l’attesa dell’ora giusta per vedere qualcosa che qualcun altro ha scelto per noi, senza possibilità di scelta se non quella di andare su altri palinsesti. Nessuno, estremizzo, tornerebbe alle vecchie convenzioni, incontrare la gente solo di persona, usando magari il telefono per chiamare gli altri, non per scrivere loro qualcosa al volo su Whatsapp, Telegram o Messenger, tutti introiettati nel nostro anonimato senza che gli altri possano sapere cosa abbiamo mangiato, dove siamo stati, che tipo di taglio abbiamo fatto ai capelli. In tutto questo, torno al panel da cui questo mio giro sull’ottovolante, espressione quantomai vintage, è iniziato, la meraviglia nello scoprire che gli Abba che vanno in giro in tour, così giovani e infaticabili, sono in realtà degli ologrammi, che li mostrano quando appunto erano giovani e belli, appare quantomeno naif, un futuro anteriore che chi si occupa di musica dovrebbe aver metabolizzato da tempo, da che cioè quel tipo di operazione è stato applicato, in assenza per altro di assenso diretto, su artisti che non sono più tra noi, penso ai tour virtuali di Whitney Houston o di Michael Jackson, per non dire delle varie collaborazione post-mortem cui ormai assistiamo quotidianamente, quelle medesime che poi fanno chiedere a una non troppo sul pezzo Francesca Michielin a un basito Colapesce, come sia stato lavorare con Ivan Graziani, morto ventisei anni prima ma presente sul nuovo lavoro del medesimo Colapesce in collaborazione con Dimartino, il brano I marinai gentilmente messo loro a disposizione dal figlio del cantautore teramano, Filippo.
È infatti notizia di queste ore che i Kiss, band rock tra le più note e longeve al mondo, ha in effetti, e incredibilmente, tenuto il proprio ultimo concerto al Madison Square Garden di New York. Incredibilmente perché ultimo di un ultimo tour durato anni e anni, roba che forse giusto Renato Zero col suo ritiro annunciato col lancio di Fonopoli, eravamo agli inizi degli anni Novanta e a breve vedremo l’uscita del suo ennesimo nuovo album, Autoritratto. La notizia, di per sé interessante ma appunto a lungo attesa, è stata ovviamente sovrastata da un coup de theatre non da poco, cioè l’annuncio che la data del Madison Square Garden sarà sì l’ultima dei Kiss, ma non dei Kiss per come li abbiamo conosciuti, gli unici al momento presenti, in carne, ossa, zatteroni e cerone in faccia. Al loro posto, infatti, questo lo scoop, ci sarà una versione avatar dei Kiss, per altro mostrata generosamente agli astanti, la Industrial Light & Magic di George Lucas, quello ovviamente di Guerre Stellari a produrre il tutto, loro pronti a andare in tour al posto di Paul Stanley, Gene Simmons, Tommy Thayer e Eric Singer, sempre arzilli, come del resto sono stati fino a ieri, superati i settanta già da un po’, con in più neanche il rischio di starsi pesantemente sul culo, notissimi ai più i tanti scazzi che negli anni li hanno attraversati, destino di quasi tutte le rock band, partite dal sacro fuoco della passione e presto trasformate in quelle famiglie che si malsopportano e che non vedono l’ora finiscano le feste per non doversi più neanche toccare di gomito a tavola, il volto rivolto dall’altra parte. Del resto, giochiamo con la fantasia, ma neanche troppo, a chi non piacerebbe poter mandare qualcun altro al lavoro al proprio posto, lì in casa sul divano a guardarsi la propria serie tv preferita, fanculo i palinsesti, mentre qualcun altro suda, più o meno metaforicamente, al posto nostro? A tal riguardo, recentemente lo scienziato Hiroshi Ishiguro, professore presso il Dipartimento di Macchine adattive dell’Università di Osaka è tornato a parlare del proprio avatar, un robot costruito col centro di ricerche sull’Ai di Kyoto, in tutto e per tutto uguale a lui, dotato anche di muscoli facciali in grado di riprodurne nei minimi dettagli smorfie e rughe, sorta di suo doppio perfettamente costruito, indicando in quel tipo di “soggetti” una reale possibilità per un futuro tutt’altro che spaventoso, semmai assolutamente meno faticoso e addirittura realmente accelerazionista, l’assenza di necessità di lavorare dovrebbe portare a tutti un po’ di quel benessere al momento a appannaggio solo di una fascia limitata di persone. La sua prima “opera”, chiamiamola così, di pubblico dominio risale ormai a sei anni fa, Erica il suo nome, robot ginoide, quindi dalle fattezze perfettamente femminili, che al suo lancio, nel 2017, si è intrattenuta coi giornalisti di mezzo mondo, interagendo in maniera decisamente umana con loro. Erica che è poi entrata a gamba tesa, si fa per dire, nel mondo del cinema, assoldata come attrice per il film B. In un mondo dove esiste Aitana, modella di venticinque anni dai capelli rosa e i lineamenti vagamente mediorientali da ventimila dollari al mese, in realtà del tutto virtuale, ideata dal designer Ruben Cruz per l’agenzia spagnola Clueless, in realtà semplice upgrade delle varie Imma o Nooruni, già apparse negli ultimi anni, direi che una attrice robot dotata di una propria intelligenza, seppur virtuale, ci sta perfettamente. Certo, il professor Ishiguro va oltre, e sostiene, in una sua visione del mondo che ha le proprie radici nella tradizione giapponese, che tutto abbia un’anima, compresi i robot, e che quindi, anche in virtù agli incredibili sviluppi cui le AI si stanno autosottoponendo, ovviamente col fondamentale contributo dell’uomo, presto sarà possibile ipotizzare e realizzare un vero e proprio rapporto alla pari tra umani e macchine, aspetto che suppongo inquieterà non poco i tanti spaventati dal futuro e da questa invasione neanche troppo di velluto. I Kiss, forse anche Gerry Scotti o il suo social media manager, al secolo suo nipote, sembrano vederla esattamente come Hiroshi Ishiguro, e in attesa di poter avere a disposizione dei robot con le proprie sembianze da mandare sul palco al posto loro, hanno annunciato un tour con avatar digitali, al momento una notizia slegata da date e luoghi, si suppone proiettata in un futuro non così imminente. Visto mai che nel mentre, appunto, a Osaka o Kyoto si facciano ulteriori progressi e che si possa davvero prospettare una versione robot dei Kiss? Qualcosa non troppo diversa dai Simulacri ipotizzati anni e anni fa da Philip K Dick, e a questo punto, perché no?, Gerry Scotti potrebbe buttarsi in politica senza neanche togliersi il pigiama e uscire di casa. A attenderli nel backstage, è scritto, un gruppo di groupie dalle fattezze perfette, le loro versioni in carne e ossa a casa, a guardare le medesime serie Tv di Simmons e soci.