La “banana” (in che altro modo vorreste chiamarla?) dell’artista Maurizio Cattelan, appena venduta all'asta da Sotheby's, a New York, per 6,2 milioni di dollari, non è arte, semmai si tratta di moda. Ad acquistarla un collezionista cinese, Justin Sun, fondatore della piattaforma di criptovalute Tron. Volto anonimo da fantasmaticamente accostare agli uomini della Spectre così come si mostrano nell’album di figurine di Agente 007 - Missione Goldfinger, e non sembri questa una citazione iconica fuori luogo. Né si dica che si tratti, ripensando alla banana, di una forma di satira altamente situazionista “con prenotazione obbligatoria” del Mercato dell’Arte. Moda e nient’altro, punto. Moda e ancora moda, nell’accezione minore della parola; un qualcosa che il teorico del kitsch, Gillo Dorfles, non avrebbe mai accostato, sostanza semmai da sventate pr milanesi in coordinato Gucci. Intitolato “Comedian”, il lavoro di Cattelan si compone di una banana da alloggiare alla parete con del nastro adesivo grigio-argento opaco. Il collezionista lo riceverà insieme alle indicazioni cartacee per installarlo; un bugiardino che si fa subito metafora. Vero e incontrovertibile, come ha spiegato il filosofo Dino Formaggio nel saggio Arte (Enciclopedia Filosofica ISEDI, 1973) che “arte è tutto ciò che gli uomini scelgono di chiamare con questo nome”, tuttavia nella circostanza ultima della “banana” di Cattelan il distinguo, l’eccezione, il dubbio appaiono d’obbligo. E non certo per ragioni estetiche o addirittura morali, etiche, legittimando semmai l’adagio plebeo che negava all’asimmetria somatico-compositiva picassiana dignità, propalato perfino dalle vignette satiriche della Settimana Enigmistica. Irrilevante dunque che sia stata battuta all’asta ben oltre il milione di dollari come inizialmente ipotizzato, secondario perfino interrogarsi sulle qualità psico-attitudinali del magnate cinese che ne è ora in possesso esclusivo; non meno marginale, volendo fare una citazione cinematografica, immaginare il fortunato acquirente come Edward G. Robinson in Never a Dull Moment, film del 1968: dove un boss entra in possesso dei “girasoli” di Van Gogh per goderne in solitario al momento del trapasso.
Il sistema dell’arte, il cui pubblico pagante risponde con acefala adesione, negli ultimi decenni, si è configurato a partire dalla categoria merceologica del glamour. Volendo visualizzare ogni suo gesto con gli strumenti dell’estro, occorre immaginarlo popolato da una élite che ha altrettanta cura di piastrarsi i peli anali e pubici, talvolta anche ostinato nel ricorrere all’henné e ai colpi di sole nelle stesse aree del corpo abitualmente nascoste. Sempre in nome della propria schiuma mercantile superiore. Presunto narcisismo consiglio d’amministrazione. Si sappia ancora, come affermato decenni addietro dal critico d’arte Achille Bonito Oliva, che i curatori e i critici d’arte, nel frattempo, si sono “reificati” in economisti. Schiuma, soprattutto schiuma, dunque. Irrilevante la volatilità delle merci in questione. Di tale schiuma è orgogliosamente parte Cattelan, la sua capacità di convincimento appare simile a ciò che riscontriamo, facendo caso al più recente contesto geopolitico lisergico globale, a Elon Musk; a sua volta “banana” vivente. Non è casuale che tra i concorrenti di Justin Sun all'asta di Sotheby's, tal Theodore Bi, volesse comprare Comedian per farne dono proprio a Musk, fermandosi però alla soglia dei 2,5 milioni di dollari. Come spiegare l’entusiasmo pubblico di fronte alla percezione dell’altrui ricchezza, in questo caso rappresentata da un oggetto deperibile come un frutto accompagnato da un nastro adesivo di anonima fattura industriale altrove utilizzabile per fissare, metti, un parafango d’auto dopo un impatto o riparare un’anta di frigo? Abbiamo imperdonabilmente concettualizzato il discorso, è vero, resta comunque che la “banana” di Cattelan non discende né dell’orinatoio di Marcel Duchamp né della Merda d’artista di Piero Manzoni, ancora meno dell’Air de Paris imprigionata dentro un alambicco dal già citato padre del Dadaismo. Altrettanto L’exposition du Vide, la mostra del Vuoto, realizzata da Yves Klein dal 28 aprile al 12 maggio del 1958 alla Galerie “Iris Clert” di Parigi. Ai presenti al vernissage veniva offerto il blue cocktail (“Cointreau”, gin e blu di metilene) e un ambiente ridipinto di bianco dallo stesso Klein dove l’artista o gli spettatori potevano sostare: nulla da vedere, né tele né altro, soltanto le ombre dei propri corpi. Inutile appunto chiamare in causa nel nostro caso i precedenti apparenti paradossi dell’arte, risibile cercare complessità dove complessità non risiede. Inciso: l’invenzione del nastro adesivo si deve a un anonimo impiegato della 3M addetto all’immagazzinamento delle merci, era il 1929, l’anno del “Giovedì nero” di Wall Street; “scotch” come metafora.
In un film di Dino Risi, Il gaucho, a sua volta “commedia all’italiana”, Vittorio Gassman e Silvana Pampanini, ospiti di un industriale italiano residente in Argentina (Amedeo Nazzari, si suppone lì trasmigrato perché fascista) si trovano a ballare un lento mentre il padrone di casa canta con trasporto melodico, d’improvviso la Pampanini, rivolta a Gassman commenta ammirata: “Ammazza, come canta bene l’ingegnere!” La risposta di Gassman è esemplare, e nel nostro caso, vale per Cattelan e vale per Musk: “Te credo, c’ha i sordi”. La spiegazione del risconto mediatico, oltre che finanziario, ottenuto da Cattelan con Comedian (titolo in questo caso del tutto opportuno, consustanziale a ogni possibile parodia del mercato) risponde a ciò cui è pervenuto il sistema dell’arte con i suoi “colletti bianchi” griffati, finanzieri, finanziatori, investitori: dai peli anali e pubici appositamente, come già detto, piastrati, sempre in nome del glamour, ergo della Moda. Qualcuno potrebbe ora obiettare che in nome di una verità estetica e politica si tratti di una strategia propria del Situazionismo. Ignorando che Situazionismo non è Maurizio Cattelan che consegna all’oggetto-banana, da fissare alla parete con un rotolo di nastro adesivo, un “valore” commerciale di 6 milioni di dollari al fixing del sistema dell’arte, come chiunque potrà comprendere consultando un testo del 1966 attribuito a Guy Debord, Della miseria nell'ambiente studentesco, semmai Spartaco che prende a calci in culo l’insieme tutto dei fruitori acefali dell’arte stessa, demistificando infine ogni concetto presunto di Moda. Scrive Erik Satie nel 1925: “Non abbiamo più bisogno di chiamarci artisti, lasciamo questa splendida parola ai parrucchieri e ai pedicure”. L’artista Cattelan ha il talento di riassumere entrambe le categorie.