Dieci anni fa, Glenn Greenwald fondava The Intercept, la webzine che svelò al mondo le rivelazioni di Edward Snowden sulla sorveglianza globale Usa. Oggi, The Intercept torna alla ribalta con un nuovo scoop che lascia poco spazio all’immaginazione: Meta – l’impero di Zuckerberg che controlla Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger – ha aggiornato le sue regole sulla moderazione dei contenuti. Secondo i documenti riportati da Daniele Luttazzi sul Fatto Quotidiano, Meta permette ora commenti al vetriolo che denigrano razze, orientamenti sessuali e identità di genere. Sì, avete letto bene. Si possono lasciare insulti come “gli immigrati sono pezzi di mer*a” e “i gay sono mostri”. Corey Chambliss, portavoce di Meta, la mette così: “Ci stiamo liberando di restrizioni su argomenti oggetto di frequenti dibattiti politici. Non è giusto che certe cose possano essere dette in Tv o al Congresso ma non sulle nostre piattaforme”.
Ma Kate Klonick, esperta di moderazione, non ci sta: “Far passare queste regole come neutrali è una farsa. Stanno solo assecondando un partito preciso”. E Jillian York della Electronic Frontier Foundation rincara la dose: “Questi cambiamenti sono politici, non una difesa della libertà di espressione”. Non è la prima volta che Meta finisce nell’occhio del ciclone. Ricordate il genocidio dei Rohingya in Myanmar? L’Onu accusò la piattaforma di aver alimentato l’odio che portò alla fuga di oltre 650mila musulmani. All’epoca, Meta corse ai ripari con nuove linee guida. Ora, però, quelle regole sembrano solo un ricordo. Perché? Per lo stesso motivo per cui il modello di business di Zuckerberg e Musk prospera: l’odio e le fake news generano più click e, di conseguenza, più soldi. E mentre in Europa ci sono leggi come il Digital Service Act che vietano i contenuti razzisti e omofobici, i giganti del tech sembrano voler giocare secondo le loro regole. La Klonick avverte: “L’incitamento all’odio spesso diventa comportamento nel mondo reale”. Ma Zuck e Musk non ascoltano, e le conseguenze rischiano di essere disastrose. Per questo, secondo Daniele Luttazzi, serve agire ora, con sanzioni vere e volontà politica, prima che tutto precipiti come negli Stati Uniti. Perché, diciamocelo: ne va della democrazia. Sempre che importi davvero a qualcuno.