La missione del Dogo è forse finita, e allora celebriamola. Questo il sottotesto della prima delle dieci date dei Club Dogo al Mediolanum Forum di Assago (l’ultima in programma, mercoledì 17 aprile). Un evento, niente da dire; a partire da quei biglietti polverizzati all’istante che hanno spinto il management di Guè, Jake La Furia e Don Joe ad aggiungere date su date per saziare la fame di un popolo sbavante. Il popolo, appunto, è stata una delle chiavi interpretative dell’appuntamento milanese. Il Dogo è “dalla gente per la gente”, si sa. Tutto confermato in una serata che è stata il raduno degli zanza, degli zarroganti, e anche di una vecchia Milano hip hop che ha garantito la propria sparuta presenza (“quelli di Mi fist” non erano la maggioranza, buona parte del pubblico ha probabilmente scoperto il Dogo con “Dogocrazia” o forse anche successivamente). È stata la notte in cui l’hinterland si è fatto centro città o addirittura capitale. Gli androni, le piazzette e i locali malfamati al posto dei monumenti e delle istituzioni. Due ore di show adrenalinico ed esuberante in cui la gang non ha risparmiato nulla. Banger dopo banger dopo hit dopo classico e poi si torna indietro e si ricomincia. Scaletta fatta apposta per ricordare ed esultare rinnovando, ancora una volta, l’iscrizione al Club.
Prima parte più old school. La partenza è da urlo e non fa prigionieri, la doppietta “M-I Bastard” e “D.O.G.O.” stenderebbe John Cena. Chiaro che il ritmo e il mood non potranno essere questi per l’intera serata, ma per mezz’ora il Dogo è nel Club e fuori dal circo pop. Sembra di essere tornati fra il 2005 e il 2009, il clima è rovente e sul palco, oltre allo storico simbolo del Dogo svettano le insegne dei Wu-Tang Clan, giusto per ribadire che Guè, Joe e Jake vengono da lì e non da Lazza, se qualcuno avesse qualche strambo dubbio in merito. Il Forum è uno stadio pieno, schegge di “Mi fist” (“Vida loca”) si affiancano a una “Spacco tutto” o a una “Chissenefrega” creando una strana convergenza/consonanza fra il Dogo più militante degli esordi e quello più zarro e ‘gnurante della seconda fase. I conti tornano: Guè e Jake sono in palla e si incastrano come fratelli di sangue, protetti da un Don Joe sempre più “don”, silenzioso e autorevole spacciatore di beats. Il tutto non conosce né soste né tantomeno retromarce, così, mentre si pensa a “dove si va, dove si va questa sera”, magari ansiosi di incrociare la “paura” e “il delirio” in circonvalla, spuntano i brani dell’ultimo omonimo album uscito a inizio anno. “Mafia del boom bap” o “Milli” sono già inni che si inseriscono perfettamente nel menù di sempre.
L’ultima parte del concerto è più femminile, sfilano le (anti)eroine della Milano del nuovo millennio (“Lisa”), dipinti “fragili” più che “odio su tela”. E se Giuliano Palma, il primo fra gli ospiti sul palco, ha impreziosito una contagiosa parentesi dancehall/reggae (da “King of the jungle” alla sua “P.E.S.”), Elodie (“Soli a Milano”) è stato il volto femminile che si è meravigliosamente inserito nel passaggio rosa della festa. Fra gli ospiti anche J-Ax (“Brucia ancora”) e Vincenzo da via Anfossi, sul palco per il penultimo pezzo in scaletta, quel “Puro Bogotà” invocato dal Forum come fosse una questione di vita o di morte. Di morte, in una serata come quella di ieri, quasi nessuna traccia. La vita – prima di tutto vissuta, talvolta sperata o preconizzata – è stata invece la grande protagonista: “Siamo ancora qui perché eravamo nati per questo”, annuncia Guè gasando ragazzi e giovani adulti che forse non hanno trovato, nella propria esistenza, lo stesso furente riscatto che ha caratterizzato l’epopea del Dogo, ma che nel Dogo hanno individuato la stampella giusta per credere che la vita non sia solo un bolo di norme, doveri e grigio cemento. È andata in scena la Milano finest, fra scenografie cripto-horror (il video del Dogo che sbrana) e un Duomo illuminato che evoca la storia. Fra la fierezza di versi come “facciamo soldi da quando ca*avi dentro i Pampers” a quelle schegge pop tipo “Fragili” che avevano fatto storcere il naso ai puristi. Quando arriva il triplice fischio finale la sensazione è di aver assistito a una data da circoletto rosso. E domani? Conta nulla. Il sapore, fino al 17 aprile almeno, sarà quello di un eterno “inizio nuovo millennio”. Quello in cui è entrato in gioco il Dogo, cambiando le carte in tavola.