Abbiamo intervistato Matteo Silvestri, imprenditore e attore, proprietario della casa di produzione cinematografica Hurricane e del gruppo ManSolution, leader nel recupero stragiudiziale di danni fisici e materiali. Dopo aver superato una grave malattia polmonare, Silvestri ha dato vita a diverse iniziative imprenditoriali a sostegno delle persone, senza mai abbandonare la sua passione per il cinema e il teatro, che lo ha portato a recitare in numerosi film e spettacoli teatrali. Noi gli abbiamo chiesto un commento sullo stato di salute del cinema italiano, a quale nome che ha segnato la storia culturale del nostro Paese dedicherebbe un docufilm e il significato (e l'importanza) della verità collettiva, di quei temi forti e sociali da vedere (e ricordare) sul grande schermo. E sull'amore per Celentano e il biopic dedicato a Rosa Balistreri, L'Amore Che Ho - La storia di Rosa Balistreri... Ecco cosa ci ha raccontato.
Matteo Silvestri. Lei è imprenditore e attore. In Italia è facile essere entrambe le cose?
Credo da nessuna parte sia facile essere entrambe le cose. Incrociare il mondo dell'arte e quello del management è una sfida quasi impossibile. Nella maggior parte dei casi, l'artista è molto distante dalle dinamiche dei numeri e del business, mentre il manager sembra come volersi ergere ad un livello superiore, ossia quello della concretezza, della sostanza, delle cose davvero “serie” della vita. Per questo sono due rette quasi sempre parallele. Nella realtà, io penso che i veri fuoriclasse di entrambe le categorie, cui, peraltro, mi ispiro, abbiano in loro questa contaminazione, pur svolgendo una sola delle professioni. E in Italia è particolarmente difficile essere anche una sola delle due cose, se hai successo. Figuriamoci essere entrambe. Il nostro Paese ha tante virtù, ma uno dei suoi limiti è quello che io chiamo “trazione invidiosa” e “predisposizione al complesso”. In Italia non si perdona chi ha successo e si tenta anzi di osteggiarlo e denigrarlo. Siamo soggetti ad una certa lentezza nell'accettazione delle evoluzioni e dei cambiamenti. E da troppo tempo, ormai, il sistema ha sposato la mediocrità e non rappresenta il meglio dell'offerta. Non premiamo i nostri talenti, quindi, spesso, nemmeno li capiamo.
É proprietario del gruppo ManSolution e della società di produzione cinematografica Hurricane. Nei mesi si è discusso molto di questo nuovo decreto legge sul cinema, introdotto dall'ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. In attesa di saperne di più sugli sviluppi del caso, secondo lei, Nanni Moretti a Venezia quando aveva definito questa una “legge pessima”, aveva ragione?
Sono d'accordo con Moretti in questo caso, ma si è dimenticato qualcosa. Credo siano quasi tutti a considerarla una legge pessima, ma serve precisare altro. Per quanto mi riguarda, posso dirti che per anni il cinema è stato sostenuto praticamente senza controlli, senza obblighi chiari per chi riceveva i finanziamenti e senza la garanzia che questo denaro pubblico venisse impiegato in opere di qualità, che fossero perlomeno minimamente distribuite. Quindi le cose non andavano bene neanche prima. Ora andranno molto peggio. Questa legge permette di vivere e lavorare solo alle grandi produzioni del Paese che sono una decina. Uccide tutto il resto delle realtà più piccole, uccide il cinema indipendente, quindi uccide il talento. Ed il discorso è sempre lo stesso. Per fare le cose fatte bene, bisogna farle sul serio e serve riformare globalmente, con testa e conoscenza. Affinché ciò accada è necessario che ci rappresentino soggetti che nella loro vita si siano distinti per eccezionali capacità, qualità, risultati raggiunti. Questo, secondo me, non è quello che succede nel nostro Paese, purtroppo.
Sul sito di Hurricane emerge un forte desiderio di raccontare storie legate a una “verità collettiva”. Quali temi vorrebbe vedere affrontati più spesso nel cinema italiano?
Io amo leggere e raccontare storie vere o che parlino di verità. E la verità collettiva è quello che succede durante e soprattutto dopo queste storie. Quello che suscita nelle persone un determinato evento, come cambiano le sorti della storia, come gli accadimenti mutano la società civile, le abitudini, le scelte, le aspirazioni delle persone. I temi che mi interessano sono legati all'espressione dei grandi valori del genere umano. La scoperta delle vite di uomini positivi o negativi della nostra storia, ci aiuta a capire come e perché siamo arrivati ad oggi. Ci aiuta anche a poter raccontare storie dove immaginiamo il mondo che sarà. Questa è verità collettiva. Mi interessa molto il tema della politica sociale ed economica internazionale. La gestione dei conflitti odierni. La questione mediorientale. E molto altro. Penso da tempo al progetto di raccontare la storia di Giulio Regeni. Credo lo meriti. E penso sarebbe importante farlo.
Pare che al cinema la commedia italiana abbia ben poco appeal e che gli spettatori più fedeli siano le scolaresche. Secondo lei perché? E cosa si può fare per invogliare gli spettatori a tornare in sala per film più “leggeri”?
Non dobbiamo farlo! Non possiamo per sempre essere il Paese della commedia all'italiana. Perché la commedia deve essere internazionale. E dobbiamo iniziare a spaziare nei generi. Dobbiamo raccontare storie che parlino di noi, certo, ma dove gli spettatori si perdono, immergendosi in sentimenti che sono universali, in cui dimentichi dove si stiano svolgendo, non pensi se sono ambientati in America o in italia ma a cosa succede. Basta con questi film dove gli attori parlano nel loro dialetto, ne vanno fatti pochi e che facciano davvero ridere. Allora sarò il primo a vederli, soprattutto in questo periodo natalizio. Ma non è quello il cinema che riporterà il pubblico nelle sale. Sempre di più le persone, in futuro, cercheranno quello che questo mondo digitale sta confondendo, ovvero le emozioni. La sostanza. Con i grandi streamer, per mandare le persone al cinema, ci vorranno prodotti di vera qualità. Matrice internazionale e non provinciale. E probabilmente anche qualche idea nuova di management a cui sto pensando.
É nel cast del film su Rosa Balistreri presentato al Torino Film Festival. Cosa l’ha colpita di questo personaggio e quali aspetti della sua storia dovrebbero essere tramandati alle generazioni successive?
Rosa è stata una donna letteralmente indistruttibile. Manifesto di resilienza e di talento. La vita si è accanita contro di lei nel modo più crudele e inimmaginabile, ma la sua resilienza e il suo talento le hanno permesso di affrontare ogni difficoltà, portando a termine il suo percorso con dignità, coraggio e successo. Una forza che non è mai svanita, e che deve essere un esempio per tutti. Il mio Maestro, Alberto Terrani, ci diceva sempre: “Studiate, studiate studiate e non mollate perché quando saprete di essere in grado di dire sempre la battuta, potranno fare qualsiasi cosa per fermarvi, ma non ce la faranno”. Ecco, Rosa “sapeva dire la battuta”.
Da produttore, se potesse produrre un docufilm su un personaggio che ha segnato la cultura italiana, chi sceglierebbe e perché?
Grazie per la domanda, farei un docufilm su Adriano Celentano. Semplicemente perché lo ritengo un mito, da quando ho i miei primi ricordi. Certamente ha segnato indelebilmente la nostra storia ed una lunghissima epoca. Il suo segno non svanirà mai. E poi me lo ha fatto conoscere mio padre. Lo ascoltavo in auto, tra le braccia di mia mamma, osservando fiero il mio grande papà guidare. Non c'è situazione migliore per scegliersi un mito.
A cosa sta lavorando in questo momento?
Come manager, a una nuova card innovativa ed avanguardista. Una sorta di bancomat dei servizi. Permetterà a tutte le persone di essere più protette e sicure, rispetto agli inconvenienti della vita e le necessità più o meno primarie, in ambito assicurativo finanziario sanitario legale ed altro. E darà grandi opportunità per accedere ad un ecosistema di servizi completo, con grossi vantaggi. Inoltre, legheremo alla card, anche la possibilità di accedere al mondo Hurricane Studios, accedere ad anteprime, gadget e vivere esperienze nel mondo dei set cinematografici, tv e teatro. Come produttore, in Hurricane studios, stiamo lavorando ad un progetto ambizioso che dovrebbe vedere la luce nella seconda metà del 2025, sarà una coproduzione Italia-Francia, un film d'autore e di denuncia, con tutti i valori di cui ho parlato finora. Come attore, oltre L'amore che ho, ho appena lavorato nell'ultimo thriller prodotto da Minerva Picture e Almost famous, Blooming death, che sarà nelle sale in primavera. Il tempo è molto poco, ma ora ho sul tavolo una proposta importante: sto leggendo la sceneggiatura di un nuovo progetto.