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I film più belli del 2024? La lista di MOW: da “Challengers” di Guadagnino a “The Penitent” di Barbareschi e “La zona d'interesse” di Glazer. Alzate il culo e andate al cinema (o recuperateli sulle piattaforme)...

  • di Ilaria Ferretti Ilaria Ferretti

31 dicembre 2024

I film più belli del 2024? La lista di MOW: da “Challengers” di Guadagnino a “The Penitent” di Barbareschi e “La zona d'interesse” di Glazer. Alzate il culo e andate al cinema (o recuperateli sulle piattaforme)...
Abbiamo scelto per voi i migliori film del 2024 (e qualcosa uscito prima) e ve li consigliamo. Perché possiate andare al cinema o, se non si trovano più nelle sale, sceglierli sulle piattaforme. Dai, anche basta con i soliti filmacci natalizi. Ecco i titoli preferiti dalla redazione di MOW: Lanthimos, Barbareschi, Guadagnino e la performance di un attore che vale più di un film...

di Ilaria Ferretti Ilaria Ferretti

Tempi bui o luminosi per la settima arte? Dopo i libri e i brani preferiti dalla redazione nel 2024, poteva forse mancare una watchlist di film da vedere targata MOW? Ovviamente no. Tra doppioni (come “Challengers” e “La zona d'interesse”) titoli mainstream (“Dune”) e film di cui ignoravate l’esistenza (“The Day” di Kim Sung-soo), ecco la lista che stavate aspettando ma non osavate chiederci (per paura dei risultati). Siete incaz*ati perché abbiamo tralasciato qualcuno? (se sì scrivetecelo, tanto la nostra email ce l’avete).

Josh O'Connor e Zendaya in "Challengers"
Josh O'Connor e Zendaya in "Challengers"
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Moreno Pisto

Challengers di Luca Guadagnino e Maurizio Lombardi

Potrei dire Challengers di Guadagnino, ma non ne sono del tutto sicuro. Invece di parlare di un film, preferisco fare il nome di un attore: Maurizio Lombardi. La cosa che mi ha colpito di più quest’anno è stata la sua interpretazione nei panni dell'Ispettore Ravini in Ripley di Steven Zaillian. Per quanto riguarda i film che vorrei vedere invece, aspetto di recuperare Conclave, Parthenope e Anora.

La zona d’interesse
La zona d'interesse di Jonathan Glazer

Domenico Agrizzi

La zona d’interesse di Jonathan Glazer

Leggendo in giro si vede associato a questo film un aggettivo: necessario. Forse non è la formula giusta. I film non “servono” a niente, non sono strumenti. O quantomeno non solo. I film funzionano quando trovano delle formule, come esperimenti chimici, mettono in scena consonanze, risvegliano immagini, rendono presenti sentimenti perduti. La zona d’interesse mette, letteralmente, un muro tra noi e la fine del senso, tra i tedeschi e gli ebrei, tra i carnefici e il massacro. Noi non vediamo oltre. Eppure l’orrore non è meno presente. Sentiamo il suono metallico di ciò che accade al di là di quella barriera, che poi è l’altrove di ogni guerra, di ogni genocidio. E non serve altro: l’invisibile dell’arte, che è più efficace di ogni immagine finita. 

Perfect Days di Wim Wenders

Il Dio della novità si è trasformato in un idolo. Perfect Days di Wim Wenders non è un film sui giorni che scorrono sempre uguali. Al contrario, il quotidiano si mostra sempre mutevole. Minime variazioni, le luci tra le foglie che si muovono, la musica di Lou Reed catturata dai registratori e materializzata nelle audiocassette. Negli impercettibili cambiamenti si nasconde la vita vera: “Oggi è oggi, un altro giorno è un altro giorno”. Accontentarsi non è più un peccato.

20241229 130912487 5130
Kevin Costner in Horizon - An American Saga, Capitolo 1

Riccardo Canaletti

Horizon - An American Saga, Capitolo 1 di Kevin Costner

Non per il film ma per la portata del film. Innanzitutto: si tratta di un’idea che Costner ha tentato di piazzare dal 1988, sono dunque passati quasi cinquant’anni prima che potesse essere realizzata. È un colossal, che ha i tratti del colossal novecentesco però, quindi non sono tre ore perché fa figo, ma tre ore perché DEVONO essere tre ore, non meno. È l’idea di un cinema che non deve solo far riflettere, ma che deve prima di tutto intrattenere, come i voluminosi romanzi di un tempo - da Tom Jones a Il Circolo Pickwick. Altro particolare, Horizon esce a vent’anni esatti da Wyatt Earp, un altro colossal sempre con Kevin Costner per protagonista. Quando Costner, ingaggiato per Tombstone, sempre ispirato alla vita di Wyatt Earp, capì che la produzione voleva concentrarsi su altri personaggi oltre al protagonista, scelse di farsi il suo film, interamente incentrato su di sé. L’accoglienza fu incredibilmente negativa e la critica assolutamente insensibile, come se si fossero tutti messi d’accordo per dire a Costner: stai al tuo posto. Lui non c’è stato e dopo due decenni ha ottenuto la sua vendetta (con dieci minuti di standing ovationa. Cannes). E il film, per gli amanti del western vecchio stile, è imperdibile.

Giulia Sorrentino

Inter. Due stelle sul Cuore di Carlo Sigon

Gli abbiamo alzato la coppia in faccia, abbiamo vinto la seconda stella il derby e lo scudetto tutto insieme in una gelida notte a Milano in quel di San Siro. Non è solo il film di quest’anno. Lo sarà fino alla terza stella. Amala sempre.

Alberto Capra

I FILM SONO MORTI.

Dune: Parte Due
Dune Parte due di Vielleneuve

Cosimo Curatola

Nel nome del padre di Tommaso Gorani e Irene Saderini e Dune di Denis Villeneuve

Su di un aereo diretto a Kuala Lumpur ho visto i primi due capitoli di Dune: film esagerati, lo Star Wars del nuovo millennio, magari ancora meglio con uno schermo bello grande e un impianto audio dignitoso. Dentro ci sono le contraddizioni dell’essere umano e quel simbolismo che ti riporta all’essenza delle cose, fino a una dimensione più giocosa, infantile e forse pura. Dune, considerando che nel 2024 è uscita soltanto la parte due, sta però al secondo posto: al primo c’è Nel Nome del Padre, un docufilm a cui ho lavorato personalmente nell’ultimo anno è mezzo. È un racconto sul rally più magico, violento e letale del pianeta. È la storia di Fabrizio Meoni che diventa una leggenda della Parigi-Dakar per poi perdere la vita in gara, in Mauritania, nel 2005. Nel Nome del Padre segue il cammino di Gioele, figlio di Fabrizio, che dopo aver lasciato il motociclismo per l’ingegneria informatica insegue e ottiene la sua prima partecipazione alla Dakar nel 2024. Nel Nome del Padre è stato presentato durante il Festival del Cinema di Venezia ed è una bomba, lo trovate su Prime Video.

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Antonio Albanese in Cento domeniche

Emanuele Pieroni

Cento domeniche di Antonio Albanese

Avevo appena chiuso il pc, dopo aver pubblicato un altro dei pezzi d’aggiornamento sulla grave crisi di Ktm. In verità c’erano ancora un po’ di documenti da leggere e articoli della stampa austriaca salvati e, quasi per fuggire quel senso di angoscia - che ti viene quando pensi a quanta gente si ritroverà con le pezze al culo dopo un botto così, a quanto costa il lavoro e al fatto che l’unica soluzione stroncafuturo è sempre e solo delocalizzare – ho “buttato su” un film. Dicendo a me stesso che con un occhio avrei dato uno sguardo a quei documenti e con l’altro avrei alleggerito, appunto, con un film. E mi sono fregato. Perché la faccia simpatica di Antonio Albanese m’ha fatto dare il play senza leggere che quella trama, in qualche modo, parlava della stessa identica cosa: la finanza (termine vuoto come i portafogli che muove) che ha sostituito l’economia lasciando in mezzo alla strada un mare di povera gente. Il film si intitola Cento Domeniche e c’entra niente con il 2024, visto che è del 2023. Ma io, appunto, l’ho guardato in questi giorni. Finendo per ritrovarmi con la voglia di entrare armato a Piazza Affari.

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Josh O'Connor in Challengers

Ilaria Ferretti

Challengers di Luca Guadagnino

Domanda difficilissima in tempi luminosi, risposta semplice in periodi incerti. Avrei detto Poor Things, il capolavoro di questi anni, se non fosse che l'ho visto a settembre 2023 a Venezia 80. Perciò tra cinque nomi che valgono per un intero 2024: Challengers, Perfect Days, La stanza accanto, Kinds of Kindness e Megalopolis, in cui tutti e cinque hanno lasciato qualcosa, tutti e cinque sono stati la manifestazione di un’idea di cinema, forse quello che guarderei ancora e ancora è Challengers. Provocante, dinamico, vivo. Una storia leggera ma non superficiale, attraente e galvanizzante che ti impedisce anche solo per un secondo, anche all’ennesimo rewatch, di distogliere lo sguardo, di pensare a te stesso. La pallina da tennis che trova il suo spazio e vola come un missile da una parte all’altra del campo è sesso, è emozione, è vita.

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Marco D'Amore e Toni Servillo in Caracas

Gianmarco Aimi

Caracas di Marco D’Amore

Se ci sono molti modi per complicarsi la vita quando si gira un film da regista, Marco D’Amore con Caracas ha deciso di affrontarli tutti insieme prendendo di petto temi non solo complessi, ma tabù per tanti suoi colleghi: estremismo, fascismo, Islam, immigrazione e, nemmeno tanto tra le righe, persino dipendenze, salute mentale e spaesamento rispetto alla mutazione velocissima di una società nel caos. Non solo, perché in questo film - tratto dall'opera letteraria “Napoli Ferrovia” di Ermanno Rea, quindi dimostrando anche buone letture - ha firmato la sceneggiatura, la regia, è il protagonista della storia e come co-protagonista ha scelto di farsi affiancare dall’attore italiano più iconico degli ultimi 20 anni, Toni Servillo (campano come lui), che avrebbe potuto oscurarlo e invece, da maestro, lo sostiene attraverso questa personale esplorazione interiore che diventa quella di chi saprà mettere in discussione le proprie sicurezze. Il risultato? Un film in equilibrio tra neorealismo, fantascienza e reportage sentimentale di una Napoli esoterica, che forse era l’unico modo per provare a rappresentare l’epoca tanto affascinante quanto abbacinante che stiamo vivendo. E se non è servito finora nominare Gomorra, la serie che lo ha portato al successo e che poteva anche ingabbiarlo in un personaggio da replicare all’infinito, significa che l’obiettivo è stato raggiunto. Una pellicola che alla prima visione restituisce più domande che risposte, quindi da rivedere senza aspettarsi altro che la stimolazione del pensiero (libero).

Luca Barbareschi nel film The Penitent
Luca Barbareschi in The Penitent

Dario Carfi

The Penitent di Luca Barbareschi

Una potente riflessione sulla società di oggi che indaga le costanti della natura umana ed esplorare le radici dell'identità. Società, media, opinione pubblica  sono i temi al centro del racconto, la cui forza ci trascina nella vita di uno psichiatria interpretato da Luca Barbereschi, che in seguito al suicidio di un suo paziente viene indagato e coinvolto in uno scandalo per presunti commenti omofobi. Un evento che lo porta a vedere la sua vita da una diversa prospettiva e lo obbliga ad una scelta radicale. Un racconto potente che ci spinge a riflettere su dove siamo e chi vogliamo essere.

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Alessandro Bedetti e Caterina Ferioli in "Il fabbricante di lacrime"

Benedetta Minoliti

Fabbricante di lacrime di Alessandro Genovesi

Avete presente quei film brutti, ma così brutti da fare il giro e diventare capolavori? Ecco, l’adattamento cinematografico del “Fabbricante di lacrime” è esattamente così. Non si salva niente, passi tutto il tempo a pensare “oh mamma”, “che cringe”, “ma perché sembra ambientato nell’800 e poi hanno l’iPhone?”. Però, nonostante questo, si lascia guardare ed è, almeno per me, il perfetto film “svuota testa” da vedere quando hai bisogno di non pensare assolutamente a nulla.

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The Day di Kim Sung-soo

Federico Giuliani

The Day di Kim Sung-soo

Questo film racconta una storia vera. Nel dicembre 1979 la Corea del Sud sembra essere sull’orlo di un grande cambiamento dopo l’assassinio, alla fine di ottobre, del presidente-dittatore Park Chung-hee, che aveva governato il Paese per molti anni. L'evento ha messo sottosopra il sistema politico sudcoreano e instillato la speranza di riforme democratiche nella popolazione. Un ambizioso generale di nome Chun Doo-gwang (vero nome nella vita reale, Chun Doo-hwan) sta conducendo le indagini sull’assassinio dell’ex presidente. In realtà orchestrerà un colpo di stato e prenderà il potere. Chun designa il 12 dicembre (il “12.12” del titolo inglese) come il giorno per lanciare il golpe, deporre i suoi superiori e prendere il controllo assoluto sull’esercito... Ricorda qualcosa?

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Jeffrey Wright in American Fiction

Jacopo Tona

American Fiction di Cord Jefferson

È già stato detto molto su American Fiction di Cord Jefferson. Per quello che mi riguarda, è uno dei pochi film usciti quest'anno che ho visto. Discolpa: ai titoli più interessanti ci arrivo in genere con uno o più anni di ritardo, lascio che la scrematura su ciò che merita di essere visto e cosa no, su ciò che sopravvive o meno, la facciano gli altri. Sto guardando adesso la Casa di Carta, per dire, e in genere nel raro tempo libero preferisco dedicarmi ai libri. American Fiction, invece, ho sentito di doverlo guardare quasi immediatamente, perché parla di un tema che tra qualche anno potrebbe essere un brutto ricordo. In teoria, perché la pratica ci insegna che la natura umana è il sostrato immutabile di quella che chiamiamo Storia, e che questa si ripete perché ciò che c'è sotto rimane monoliticamente identico a sé stesso. Il film di Cord Jefferson è stato accolto con entusiasmo, in Italia, anche dalle testate reazionarie che l'hanno visto come una critica al mondo woke. Il protagonista, afroamericano, scrive libri belli che non caga nessuno, perché non sono abbastanza neri per i canoni di mercato. Insegna in università, ma i suoi ragionamenti cozzano con i canoni morali del nuovo progressismo che ha preso in carico lo strumento reazionario per eccellenza: il pio bigottismo della censura. Scoraggiato, fa la parodia di un romanzo alla moda che viene preso sul serio e spacca nelle vendite. Con buona pace di chi ha visto nel film soltanto una critica all'ideologia woke, ciò che viene messo sotto la lente è il caro, vecchio capitalismo, le cui regole condizionano anche le belle parole, o presunte tali.

Matteo Cassol

La zona d'interesse di Jonathan Glazer

Per chi, attirato dalla trappola "ispirato a Martin Amis", ha interesse a capire come si possa fare un film di quasi due ore sullo sterminio nazista in cui non succede assolutamente nulla e in cui la parte più "dinamica" è un fugace lavaggio del pene del protagonista. Da vedere ovviamente in tedesco. Eroe (o masochista) chi riesce ad arrivare alla fine (spoiler: non c'è nemmeno quella, ma almeno non c'è neanche troppa retorica) in velocità 1x o senza avanzamento veloce (chi scrive non è un eroe). La morale? Le mogli sono peggio di Hitler.

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