Luca Beatrice, critico d’arte e presidente della Quadriennale di Roma, lascia un vuoto incolmabile andandosene a soli 63 anni. La sua scomparsa ha scosso profondamente il mondo dell’arte, della cultura e della sua amata Torino. Non sono mancate le parole di chi ne apprezzava la genialità e nemmeno quelle di chi, negli anni, lo ha conosciuto e apprezzato per la sua intelligenza, il carattere schietto e la profonda umanità. Luca Beatrice non era solo un critico o un presidente, era un’energia che sapeva accendere le stanze che attraversava. E mentre si spegne una vita, resta vivissimo il ricordo di un uomo che ha lasciato la sua impronta nel cuore di chi lo ha conosciuto e ha avuto l'onore di condividere momenti indimenticabili. Ecco il ricordo di una delle persone più vicine a Luca, un compagno di avvenuture, artistiche e motociclistiche, Stefano Fassone, che ha voluto ricordarlo con queste parole affidate a MOW. Stefano, classe 1982, imprenditore nell’ambito della comunicazione e appassionato di tutto quello che si muove su ruote. Papà e marito che si definisce così: “Come diceva Arbasino mi posiziono proprio a metà tra la giovane promessa e il venerato maestro, ovvero il solito stronzo. Per fortuna non faccio il politico, ma quando non sono in moto mi occupo di comunicazione”.
“L’occhio esigente”, era questo il titolo di una rubrica che Luca curava sull’inserto culturale de La Stampa. Ad inizio 2008 stroncò malamente una mostra di cui seguivo la comunicazione. Che stronzo, ci andò giù pesante ed io, un giovane addetto stampa me la presi a morte. Lo chiamai e feci valere le mie ragioni. Luca era così, poco sabaudo, abrasivo e diretto. Come un motore a due tempi degli anni Ottanta. Da lì in poi iniziammo a sentirci e l’anno dopo mi affidò un lavoro. Ero preoccupato, sapevo che mi stava mettendo alla prova, un cobra nel cesto, si aspettava dei consigli anche se conosceva molto meglio di me le dinamiche delle redazioni. Era attento, reattivo. Andò bene, per fortuna. Da lì in poi diventammo grandi amici, credo che rivedesse in me la stessa voglia di emergere che aveva lui, di chi si era fatto da zero, passo dopo passo. Mi scorrono nella mente tantissimi momenti trascorsi insieme: concerti, eventi, pranzi, cene e soprattutto moto. Quello era l’unico argomento su cui ne sapevo più di lui. Ogni occasione era buona per discutere su quale moto comprare, quale giretto organizzare. Due gli appuntamenti fissi ogni anno, l’EICMA e la sua telefonata incazzato nero perché la “moto grande”, quella su cui staccava l’assicurazione nel periodo invernale, non ripartiva. Batteria scarica, un dramma, Luca da solo non gonfiava neanche le gomme.
Quante risate, in sessantatré anni credo non abbia mai compreso appieno l’utilizzo del mantenitore di carica. Mi chiamava e io puntualmente lo prendevo in giro ed andavo a fargli ripartire la moto. Luca era geniale, intelligente e colto, ma non te la faceva mai pesare. Univa i puntini più velocemente di tutti, mischiava alto e basso, birra e caviale. Una generosità fuori dal comune, in tutto. Non l’ho mai visto presentarsi a casa mia con una bottiglia di vino, sempre due. Perché la prima la apriamo stasera insieme diceva, la seconda te la bevi poi tu e tua moglie. Aveva solo un difetto, andava drammaticamente piano in moto, dovevi aspettarlo sempre, non che volessi fare il pazzo, ma il ritmo era proprio molto tranquillo e se gli chiedevi di alzarlo un po’ di diceva che era colpa della moto. Queste Harley sono troppo pesanti mi urlava. Ho capito amico mio che volevi fregarmi sul tempo e partire un po’ in anticipo, ma questa volta hai esagerato. Non mi hai dato neanche il tempo di salutarti, di augurarti buona strada, di farti le mie solite raccomandazioni. Visto che questa volta hai deciso di fare strada tu, fai così: quando sei stanco di guidare, trova un pub, uno di quei posti rustici sulla strada, con l’insegna sbiadita dal sole, parcheggia la moto. Fai amicizia con il barista, ordina una pinta e aspettami lì.
Mi mancherai.