Un incidente misterioso e poi una serie di cambiamenti, di questi episodi il mondo della musica è pieno. Così come è pieno anche delle rispettive teorie del complotto. Da Paul McCartney “morto” in un incidente d’auto, e sostituito con un sosia nei Beatles, a Bob Dylan, passato da “profeta” a “venduto” dopo uno schianto con la sua moto, una Triumph Tiger T100, e un ricovero su cui sono apparsi nel tempo numerosi punti di domanda. Insomma, ma cos’è la storia della sparizione del cantante americano? A scriverne è Stefano Mannucci sul Fatto quotidiano, in un articolo in cui racconta la figura di Dylan, un poeta maledetto dei nostri giorni (più o meno), diviso tra “il milieu pacifista-progressista – che – pretendeva da lui la decifrazione di quella risposta che soffiava nel vento”, e i “reazionari – che – lo volevano morto”. Intanto, però, rivela il giornalista, “Bob non voleva farsi fondere dentro lo stampo del ‘portavoce di una generazione’”, così arrivò la frattura definitiva con il suo pubblico. Prima il ritiro di un premio pochi mesi dopo l’assassinio di J. F. Kennedy, dove, scrive Mannucci, “aveva sostenuto di ‘comprendere le ragioni di Oswald’. Era ubriaco fradicio, impasticcato marcio, le sue dichiarazioni avevano sollevato uno scandalo. Poi, il tradimento ‘artistico’. Al Festival di Newport 1965 si presenta con una chitarra elettrica al posto dell’acustica […] I puristi del folk inorridiscono”, vogliono “mettere a tacere il ragazzotto che progetta di diventare una rockstar. Ed eccolo nel catartico 1966”; l’anno del fatidico incidente…
Il giornalista del Fatto descrive l’episodio quasi fosse una sceneggiatura: “Dylan monta in sella alla sua Triumph Tiger T100. Il sole non è ancora sceso dietro l’orizzonte. Mentre affronta le curve e i saliscendi di Striebel Road (nello stato di New York, ndr) la luce lo acceca, e non è un’esperienza mistica. O forse, dicono, è stata una macchia d’olio. La moglie […] gli presta soccorso. Nessuno chiama la polizia o un’ambulanza. Un testimone oculare dichiara che Dylan non dovrebbe essersi fatto granché male”. Infine il cantante viene trasportato a Middletown, “un’ora di viaggio – sottolinea Mannucci –. Vuole farsi visitare da un dottore che conosce […] L’artista rifiuta il ricovero in ospedale, chiede ospitalità al medico, resterà da lui per un mese, ricevendo visite di amici”. Nel frattempo la notizia arriva sulle prime pagine dei maggiori quotidiani del Paese, “corrono voci che Bob sia rimasto sfigurato, paralizzato, finito in coma, o visto che ci siamo perché non morto? Come è andata davvero? Di certo sparisce dalle scene”. Al suo ritorno è cambiato, sembra essere una persona completamente diversa, “il Bob Dylan bersaglio esposto dei primi anni 60 – si legge sul quotidiano – sparisce dietro la Triumph intraversata sull’asfalto”. Da “profeta”, dunque, pare essersi “mutato in un signorotto di campagna, canzoni pacificate, ruspanti, metafore bibliche”; eppure “l’America continua a stargli addosso”. La verità sull’incidente e sulla sua convalescenza, l’ha resa nota lo stesso cantante nel suo libro Chronicles Vol.1 in cui ha dichiarato che “avevo avuto un incidente di moto e mi ero fatto male, ma dopo ero guarito. La verità era che volevo sottrarmi dalla corsa al successo”. Quella tra Dylan e l’America, conclude Mannucci, “è una partita senza fine. Nessuno vince, nessuno perde. Per tutta la vita, Bob sogna un pareggio con la follia americana”.