L’arte come urgenza creativa. Quanti di noi avranno pensato, nel momento in cui le piattaforme di streaming hanno soppiantato e sostituito in maniera via via definitiva il supporto fisico che finalmente sarebbe stato possibile tornare a fare l’arte per l’arte, senza più il dovere di sottostare alle logiche del mercato, i passaggi televisivi in determinate trasmissioni, le rotazioni radiofoniche spesso figlie di accordi editoriali, i formati canonizzati da rispettare, un album di un tot di pezzi e di un tot di durata, altrimenti ciccia. Quanti di noi, di più, avrà pensato che finalmente anche chi non aveva alle spalle una potenza di fuoco notevole sarebbe potuto emergere, la rete rende liberi, la possibilità di giocarsela faccia a faccia coi giganti, sì, come Davide con Golia, armati di fionda e sassi, certo, ma con la possibilità prima impensabile di fare centro, uno vale uno, tutta quelle faccenda lì. Invece si sono sin da subito cominciate a vedere le crepe, non di quelle che un artigiano giapponese ha aggiustato con un filo d’oro, peraltro, crepe e basta, di quelle che, se ci metti un liquido dentro, lo lasciano uscire, portando prima o poi all’implosione del vaso, i pezzi a farsi ancora più piccoli da buttare. Perché è vero che le piattaforme di streaming sono un oceano dentro il quale è possibile pescare di tutto, ma è anche vero che se non si è parte di tutte quelle categorie che un tempo dominavano le classifiche, grazie ai passaggi televisivi, alle rotazioni radiofoniche e compagnia bella, si è di quelle creature che abitano il fondo marino, ipersensibili alla luce, la forma strana, al massimo buone per finire dentro uno di quegli articoli di costume dal titolo “Ecco l’animale più brutto del mondo”. Si è cambiato in sostanza il campo di gioco, e forse anche le regole, ma alla fin fine le squadre vincenti son rimaste le medesime. L’algoritmo ha sostituito i direttori editoriali, i direttori artistici, e quando anche qualcuno fosse riuscito a forzare la mano alle playlist, vero e proprio tormento per chiunque voglia provare a fare musica da solo, playlist titolate a imporre un 33% di ascolti “casuali”, ecco che subito arriva la fagocitazione, pensate al paradosso di un Khaby Lame, mi sposto un attimo a lato, che si è imposto su Tik Tok come fenomeno mondiale, lì senza dire una parola a conquistare centinaia di milioni di followers, per poi finire sul banco di uno show in caduta libera come Italia’s Got Talent, studiare per diventare astronauta per poi ritrovarsi bloccati in tangenziale dentro una utilitaria. Essere una delle centinaia di migliaia di canzoni che escono tutti i giorni - si saranno sentiti dire tutti coloro che ambiscono a un posto al sole - vi concede certo una possibilità, ma vi rendono anche una gocciolina minima nell’oceano, sicuramente con la possibilità di esserci, ma con una scarsa possibilità di farlo sapere anche al resto del mondo. Così, ecco che tutti si adeguano ai suoni del momento, l’algoritmo è più forte anche di chi già c’è e in alcuni casi ha anche fatto la storia. Tutti o quasi si adeguano anche al modus operandi del momento, vai di singoli, bye bye album, e se anche l’album arriva, poco dopo ecco altri singoli, nell’album non contenuti, il tutto possibilmente unendo le forze con altri, unire fanbase raddoppia gli stream. Tornando quindi all’incipit di questo articolo, l’arte come urgenza creativa sembra oggi un paradosso di quelli senza soluzione, se ti scappasse mai una canzone, urgente come quelle di Vinicio Capossela che proprio nei prossimi giorni arriverà a Sanremo per prendersi la sua settima Targa Tenco in carriera per 13 canzoni urgenti, album dell’anno, ancora artisti che fanno da belle eccezioni ci sono, ma perché se lo possono permettere per quanto fatto in passato, ecco, se ti scappasse mai una canzone, urgente, devi farla uscire di venerdì, anzi, alla mezzanotte precisa tra giovedì e venerdì, possibilmente strillata sui social con una di quelle orrende frasi copiate dall’inglese, “Fuori Ora” o “Fuori Ovunque”, traduzioni sbagliate di “Out Now”, che poi sarebbe da chieder loro anche con protervia, ma fuori ovunque dove? E quando?
Urgenza a orologeria, sembrerebbe, e non certo dall’arte. Sì, perché il fatto che le canzoni e gli album, i pochi che ancora escono, siano fuori ora e ovunque nel medesimo momento, allo scoccare della mezzanotte come in Cenerentola - la principessa che in realtà a mezzanotte doveva rientrare, a dirla tutta, fine dell’incantesimo - è un ennesimo inchinarsi al mercato da parte di chi neanche finge più di essere libero. Poteva forse aver senso prima che ci fosse un giorno della settimana specifico per le uscite, o almeno giorni specifici per etichette discografiche differenti, giorni scelti comunque dai distributori, succede anche nei libri, chi è distribuito da tale gruppo esce il martedì, chi da tal’altro esce il giovedì e via discorrendo, serve qualcuno che fisicamente porti i libri, un tempo anche i dischi, nei negozi e logistica impone che tutto questo sia organizzato a monte, ma con lo streaming la faccenda dovrebbe essere ben più libera. Ho una canzone? È pronta per il mercato? La tiro fuori quando voglio e come voglio. Anche perché, diciamolo, tirare fuori i brani a mezzanotte, con count down social e quant’altro, è roba che può andar bene per giovanissimi, chi di mattina si alza presto per andare al lavoro quando l’artista o il suo social media manager sta lì a dire che è fuori ora, dorme, e visto il livello delle nuove uscite va anche detto che fa più che bene. Invece no, tutti si assoggettano a quel “Fuori Ora” o “Fuori Ovunque” alla mezzanotte tra il giovedì e il venerdì, e lo fa per un motivo che con l’arte nulla ha a che vedere, provate voi a dire a un artista che sarà poi la classifica a decretare il valore della sua opera, parlo di un artista vero, eh, non certo di uno di quelli che tale è indicato da un gallerista o chissà chi. Uscire di venerdì, quindi per paradosso di venerdì alle 00:00, è un modo per avere poi tutta la settimana precisa precisa per finire in classifica la settimana successiva, raccogliendo il maggior numero di stream possibili. La classifica, infatti, esce il venerdì verso le diciassette e tiene conto di quel che è successo dalle 00.00 del venerdì precedente fino alle 00:00 della settimana successiva. Se si uscisse, quindi, che so, di martedì alle 12 di mattina? Si avrebbe un conteggio dei passaggi che tiene conto di due giorni e mezzo, contro la settimana piena della concorrenza, se la domenica a mezzanotte i giorni diventano cinque, insomma, fatevi voi tutti gli esempi del caso. Siccome, quindi, finire in classifica è poi un ottimo volano per rimanerci, sempre usando come parametro l’editoria, è noto che chi ha la pila di libri vicini alla cassa, i così detti best sellers, vende anche in virtù di quel trovarsi lì, la logica del “se piace a tanti vorrà dire che è valido”, ecco che la classifica diventa qualcosa cui guardare con soggezione, come ambizione massima. Alla faccia dell’urgenza creativa, quella che così tanto spesso sentiamo tirata in ballo dagli artisti, tanto più quelli che di colpo si ritrovano a sfornare singoli ogni tot, neanche fossimo tornati indietro nel tempo agli anni Sessanta, quando gli album in quanto album non esistevano, si usciva di singoli e poi al limite li si raccoglieva poi in un’unica opera. Se mai dovesse quindi succede che tra i nostri artisti musicali ci fosse, traslo al mondo dell’arte classica, un Michelangelo, nel momento in cui dovesse colpire metaforicamente la sua Pietà con un colpo di martello, chiedendole “Perché non parli?”, si sentirebbe indubbiamente rispondere, “Perché non è la mezzanotte di venerdì, vedrai dopo come parlo. Fuori Ora, Fuori Ovunque”.