Lo scorso 30 agosto, Netflix ha rilasciato l'ennesima serie spagnola in catalogo: Respira, un medical drama ambientato in un ospedale di Valencia. Il focus di questa prima stagione è la protesta dei medici contro i tagli a una sanità pubblica che, giorno dopo giorno, va sempre più verso la privatizzazione. Le sbavature sono parecchie: una scrittura che affastella eventi uno sopra l'altro, Manu Rios che sembra più un principe della Disney che un medico sfatto da turni di 24 ore nel caos più totale. Non mancano nemmeno i cliché tipici della serialità iberica made in Netflix: i festini, le droghe; i personaggi che, da un momento all'altro, s'avvinghiano su ogni superficie dove ci si possa avvinghiare. C'è un però: durante l'episodio pilota, ci si riconosce molto in quanto mostrato. Il post Covid che ha peggiorato la sanità del Paese, i letti in ospedale insufficienti, le liste di attesa infinite, le politiche di destra che puntano alla privatizzazione; un quadro generale che, qui nello stivale, conosciamo bene. Allora la domanda viene davvero spontanea: perché non l'abbiamo fatta noi una serie come Respira? Specie considerando che siamo stati i primi in Europa a fare i conti col Covid: mentre noi in Italia già cantavamo sui balconi, gli spagnoli stavano ancora a mandarci messaggi di supporto nei social. Eppure Respira l'hanno prodotta loro.
Possiamo anche sghignazzare di questi spagnoli eccessivi o delle politiche di Netflix che in nome dell' inclusività metterebbero nel cast pure il gatto di Eminem, quello siamese che si identifica nero ma si comporta da cinese. Però se andiamo oltre, la questione è semplice: gli spagnoli riescono a stare sulla contemporaneità; noi no. Al contrario, le nostre serie vivono in una dimensione loro: sono trasposizioni di romanzi di successo, biografie, storie criminali, oppure fiction ambientate in universi narrativi rassicuranti. Che siano più o meno applaudite, la contemporaneità rimane sempre sullo sfondo: difficilmente i temi di cui dibatte l'opinione pubblica, entrano nelle vite dei protagonisti. Né tantomeno costituiscono l'impianto narrativo delle vicende (e si, lo sappiamo di Doc-Nelle tue mani, ma si tratta di un caso isolato). Qualche esempio. Nel 2018 La Casa di Carta partiva da un presupposto semplice: fiutando il semplicismo da “uno vale uno” che si stava diffondendo in quel periodo, ci raccontava l'improbabile storia di un gruppo di ladri all'assalto del Banco di Spagna. Gli sceneggiatori gli mettevano addosso una tuta rossa, le maschere di Dalì e si appropriavano di Bella Ciao per trasformare un gruppo di ladri in rivoluzionari. La rivoluzione nello specifico era una rapina, ma la banca diveniva simbolo dei poteri forti e della crisi in corso, ragion per cui le persone parteggiavano per i ladri anziché per la polizia.
Elite prima di diventare un porno tutto feste e niente trama, partiva da un'istanza sociale: i ricchi che pensano di poter disporre delle vite altrui, contrapposti ai ragazzi di estrazione popolare che devono sgomitare per conquistare ogni centimetro di spazio. Con tutte le conseguenze del caso. Lo scorso maggio, Ni Una Mas affrontava il tema della violenza sulle donne in tutte le sue sfaccettature: quella psicologica e quella fisica, il consenso, la denuncia, l'isolamento della vittima. Adesso Respira e l'importanza del servizio sanitario pubblico. Prodotti godibili? Si. Memorabili? Assolutamente no. Tuttavia bisognerebbe prendere appunti dalla lezione spagnola e dalle loro serie: imperfette, talvolta confusionarie o piene di buchi di trama, ma vive. Anche perché gli spagnoli in video hanno un grande pregio: forse loro gemono, ma non bisogna alzare il volume quando parlano.