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MicroMega chiude? Era ora! È sorpassata e altezzosa. Un appello liberale: non salvatela

Riccardo Canaletti

2 ottobre 2023

MicroMega lancia un ultimo disperato grido di allarme. Paolo Flores D’Arcais chiese il triplo di abbonamenti, lettori e sostegno, ma è davvero il caso di salvare una rivista che ogni anno raccoglie meno consensi e non cambia da quarant’anni? Ecco perché non dovremmo salvarla

di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

I partiti perdono, gli scienziati si sbagliano, le aziende falliscono, ma i giornali culturali e gli intellettuali (di sinistra) faticano a lasciare il passo. MicroMega muore. Lo dice il suo storico e unico direttore, Paolo Flores D’Arcais: “Attualmente abbiamo 500 abbonati alla rivista cartacea, 1200 al settimanale on line MicroMega+, una vendita media in libreria di 300 copie al mese”. 

E poi: stipendi non pagati per due mesi, donazioni di “un amico” e di Flores D’Arcais stesso, qualcosa come 350mila euro in totale. Tutto questo, in un mondo normale, dovrebbe insegnare la via della porta. MicroMega muore. Era ora. 

Un appello: non salvatelo. Pare che delle cinquemila intenzioni di abbonamento, quattromila siano state raggiunte in due settimane. Ma quanto può valere ancora un giornale che da cinquecento passa a cinquemila abbonamenti solo perché si lascia compatire? Il taglio è lo stesso da trentotto anni. 

Lo slogan? Essere la sinistra illuminista. Ma dove? In un mondo oscurantista? Contro una sinistra irrazionale? O contro una destra irrazionale? O contro tutti? MicroMega sembra l’amica gelosa che sabota il tuo appuntamento con il capitano della squadra del college, solo che quel capitano stavolta si chiama “presente”. 

Come tutti gli illuministi, per esempio con la morte di Benedetto XVI, ha anche fatto del complottismo, ma il loro piano editoriale non deve aver convinto i più, che continuano a preferire ByoBlu e altre testate che si danno meno arie. 

L'appello di MicroMega
L'appello di MicroMega

MicroMega non va bene per gli amici gender fluid, perché troppo ortodossa e vecchio stampo (in un recente articolo ricordano la differenza tra le battaglie contro i costrutti sociali e gli “oggettivi rapporti di forza”; espressione che fa molto Lotta Continua). MicroMega non va bene per l’opposizione, perché ormai quasi nessuno sa della sua esistenza. È un terzo polo che non supera, in condizioni di mercato, la soglia di sbarramento. 

Perché il fallimento di MicroMega dovrebbe essere sbagliato ancora non è chiaro. Forse la premessa è quella di cui parlava il filosofo Robert Nozick: l’invidia sociale. In fondo molti intellettuali credono che il loro lavoro sia necessario e che, al massimo, siano gli altri a sbagliare. 

Erano i primi della classe, ora sono gli ultimi della società, dimostrando che spesso i grandi risultati a scuola non corrispondono a meriti reali. Gli intellettuali diranno che il mondo sta marcendo, è in decadenza. E in parte è anche vero. Ma il mondo ribatte: sono gli intellettuali che stanno marcendo, come pere in un sacchetto di carta sotto il sole. Prima vedi una macchia, come un alone di sudore, poi arriva l’odore. Poi arrivano le mosche, cioè i donatori. 

E la cosa interessante è che a marcire sono i prodotti di quell’egemonia culturale che sembrava doversi opporre alla tradizione. Almeno qualche decennio fa. Peccato. Chiunque con un nonno moderato e colto avrà letto qualche numero di questa storica rivista. E avrà capito, credendo, che è possibile essere colti e moderati anche leggendo altro. 

Se MicroMega fallisce, lasciatela fallire. È il libero mercato. Stavolta, solo fiori. Niente opere di bene.

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