Conservo piena fiducia nell’autorità giudiziaria. Solo l’aula di tribunale, con i suoi criteri di legalità e di prova, può ricondurre i fatti a un perimetro di razionalità e garantire che la vicenda sia valutata sulla base di elementi oggettivi, non di percezioni emotive o sensazionalistiche. Il procedimento trae origine da una denuncia per stalking presentata nel 2020 dalla signora Angelica Schiatti. Le procure finora investite non hanno ritenuto di adottare misure cautelari a mio carico, segno che non sono emersi indizi di pericolosità fattuale. Ribadisco di non aver mai posto in essere condotte persecutorie. Resto in attesa che il giudizio accerti definitivamente la realtà dei fatti. Nel 2024–2025 si è prodotto un “assalto di branco” mediatico che ha superato il diritto di cronaca: una rappresentazione distorta, reiterata e amplificata, configurando un vero e proprio linciaggio reputazionale. L’esposizione ha comportato per me la perdita di ingaggi e revoca di collaborazioni artistiche; l’esclusione dal dibattito pubblico e culturale; un grave danno alla mia immagine, con effetti economici, psichici e relazionali misurabili.

L’arte è strumento di relazione, non arma: difenderò sino in fondo il mio diritto–dovere di esprimermi, di comporre musica, di pubblicarla, di divulgarla in concerti e in spettacoli televisivi e di partecipare alla vita culturale del Paese. Privare un artista della facoltà di parola equivale a privare il pubblico di un bene collettivo. Comprendo l’esistenza di sentimenti contrastanti e non nego la possibilità di scambi comunicativi accesi; mi assumo la responsabilità di eventuali estremità verbali, che tuttavia non possono essere isolate dal loro contesto né elevate a reato. Il materiale già agli atti – messaggi, lettere, canzoni – documenta il carattere dialogico, non intimidatorio, della relazione. Chiedo agli operatori dell’informazione di attenersi a fonti verificabili, di riportare con equilibrio le diverse posizioni e di evitare formule processuali improprie (“mostro”, “stalker”) prima di una sentenza definitiva. La giustizia sommaria, in piazza o sui social, resta un pericolo per chiunque, non solo per il sottoscritto. Solo il vero processo potrà restituire una verità giuridicamente fondata. Mi affido ai magistrati perchè a loro io riconosco l’autorità, la competenza, la serietà, la superiorità morale per giudicare la mia condotta, e a loro chiedo di darmi la voce che i media mi hanno sottratto brutalmente, al pubblico affido la valutazione delle mie opere; alla stampa, la responsabilità di un racconto accurato e proporzionato e soprattutto rispettoso. Mi assumo per intero il peso delle mie parole – e dei miei silenzi – con rispetto verso la persona che mi accusa, verso la magistratura e verso chi, nonostante tutto, continua a credere nel valore dell’arte e della giustizia.
