A volte ritornano ed è un bene. Sono passati 20 anni dagli “end titles” della serie Easy Tempo e ora è da poco in circolazione un nuovo volume, l’undicesimo: “The round trip”. Così abbiamo deciso di incontrare uno degli artefici di questo brand così rispettato nel mondo. Giulio “Jazzy Jules” Maini non è stato il solo a creare Easy Tempo, ma senza dubbio è stato lo spirito guida di una collana che ora, in un mercato completamente diverso da quello di due decadi fa, si è concessa una nuova vita.
Maini, 66 anni, non è un romano ben inserito nei giri di quella che una volta fu la gloriosa Cinecittà. È un avvocato civilista. Una vita a Piacenza, ma con una collezione di dischi paurosa – parliamo di livelli degni di un Daniele Baldelli – che lo ha sempre proiettato in ogni angolo del mondo, anche quello delle colonne sonore italiane, fino al decimo volume la cifra inconfondibile di Easy Tempo. “Non ho mai contato i miei dischi – riflette, pensando ai suoi scaffali stracolmi di suoni e solchi –, ma credo di avere 15mila vinili e 20mila cd circa. Lo so, lo so, sono bulimico (ride). Non ho ascoltato tutto ciò che possiedo, ovviamente, però se mi scatta una curiosità, so che probabilmente, a casa, ho già quello che mi serve per soddisfarla”. Basterebbe questo assist per inoltrarsi in disquisizioni iper-nerd su sacri Graal e “nuggets” introvabili, ma soprassediamo.
La notizia è che Easy Tempo è tornata. Con quale prospettiva, oggi?
Questa nuova avventura nasce con l’idea di continuare a proporre cose poco note. Sta diventando sempre più difficile fare ricerca, in questi anni dai cataloghi forti hanno attinto in tanti, però adottando uno sguardo lungo, panoramico, si possono ancora trovare diverse gemme. Eravamo a un passo dall’ottenere la licenza per un 45 giri stranissimo di Domenico Modugno, ma la Rca chiedeva troppo. Questo comunque è un volume più spinto del solito, quasi club-oriented. Anche se attacca con un pezzo del maestro Roberto Pregadio (i più lo ricorderanno come anima musicale de “La corrida” di Corrado, nda).
Un volume che esce per i 30 anni di Right Tempo, l’etichetta madre. C’è ancora Rocco Pandiani al tuo fianco?
Sì, siamo sempre noi due che tiriamo le fila del progetto. Rocco, torinese ma milanese di adozione, è il fondatore di Right Tempo, che partì nel 1993, nel contesto dell’acid jazz, e poi di Easy Tempo, che ha esordito nel 1996 spostandosi, fin dall’inizio, nella vasta area delle colonne sonore, delle sonorizzazioni, della library music. Un repertorio, a metà anni novanta, ancora abbastanza trascurato.
Spicca una copertina diversa dal solito. Più esotica.
Ho sempre curato anche le copertine della serie, poi per realizzarle ci rivolgiamo a studi esterni che creano restando aderenti alle mie bozze. Questa, in particolare, l’ho dipinta a mano. Della grafica se ne occupa Enrico Pandiani, fratello di Rocco, scrittore vincitore, l’anno scorso, del premio letterario dedicato a Giorgio Scerbanenco. In questi casi si firma come Pierre Mordenti, il protagonista dei suoi romanzi.
Torniamo a quel repertorio “trascurato”. Quasi trent’anni fa avete deciso di indagare un mondo disorientante. Pur non disponendo ancora di una bussola affidabile come quella rappresentata, oggi, da siti che sono in grado di schedare e catalogare tutto o quasi. Incoscienza pura?
Forse (sorride, nda). L’idea di lanciarmi nell’esplorazione di questi abissi musicali me la diede una raccolta di una cantante americana, Helen Merrill, prodotta da Piero Umiliani, in cui compariva una splendida “My only man”, canzone che faceva parte della colonna sonora di “Smog”, film del 1962 di Franco Rossi. Cercai così di approcciare quel repertorio, mi misi a cercare i master e capii che già quel tipo di ricerca sarebbe stata una bella avventura. Rocco, in quel caso, molto disinvoltamente, cercò il nome di Umiliani sull’elenco del telefono, lo trovò, lo contattò e prese un appuntamento. Umiliani era conosciuto, ma soprattutto per “Mah-nà mah-nà”, tante sue produzioni rischiavano il completo oblio. Così, quando da parte nostra riscontrò un sincero interesse, fu entusiasta di concederci la licenza di diversi pezzi.
Il pubblico, da subito, si mostrò reattivo. A cosa attribuisci questo successo? Non facevate compilation di eurodance, dopo tutto…
Successo sì, ma sempre di nicchia. Soprattutto in Italia. Le prime fortune di Easy Tempo sono rientrate, talvolta erroneamente, nel calderone lounge che esplodeva in quegli anni, ma il nostro intento non è mai stato quello di confonderci con i Montefiori Cocktail, per essere chiari. E credo che chi ha ascoltato i nostri volumi se ne sia accorto. Non abbiamo mai fatto marketing spingendo sulla lounge, abbiamo preferito puntare su concetti quali “cinematic” e “easy listening”.
Questo nuovo volume esce sostenuto anche da uno “sponsor” speciale.
Le liner notes le ha curate Dusty Groove, probabilmente il miglior negozio di rare groove al mondo. Per questo volume non hanno scritto solo le note, ma si sono occupati anche dello sticker in copertina. Sono bravissimi a sintetizzare dentro gli spazi angusti di un semplice sticker il senso – lo spirito, addirittura – di una pubblicazione. Il fatto che Dusty Groove ci abbia messo il proprio sigillo è una garanzia. Ma non è questa l’unica garanzia. La compilazione di questo volume va attribuita anche al grande Nicola Conte e a Vincenzo Barabino (dj, grande appassionato di library), con i quali ho diviso gli sforzi.
Da Umiliani avete spiccato il volo, ma qual era l’idea di fondo alla luce di quello che era il panorama musicale dell’epoca?
L’idea è sempre stata quella di setacciare il sottobosco italiano (toccando anche artisti stranieri, ma attivi in Italia). Quello era il perimetro di ricerca e selezione. Non posso dirti che il nostro perfetto tempismo sia stato voluto, ma tant’è. Rivelando al mondo i tesori delle nostre colonne sonore ci siamo resi conto che quella musica non era solo funzionale a sostenere l’immagine che scorreva sullo schermo. Per tanti musicisti (molti di estrazione jazz) era anche un’opportunità per sperimentare. Dalle soundtrack di Umiliani, ma anche da quelle di Piero Piccioni o Luis Bacalov, sono uscite cose eccellenti. Easy Tempo si è quindi affermato come un contenitore molto libero, libero di dedicare un volume al jazz (volume 6) e uno al beat sottotitolato “Bikinibeat” (volume 7). In una raccolta spaziavamo dal funk al jazz, sfioravamo il soul, e nessuno diceva nulla. “La morte accarezza a mezzanotte” di Gianni Ferrio è una colonna sonora (1973) che ha evidentemente influenzato i Portishead. Davanti a continue scoperte di questo livello, limitarsi o frenarsi sarebbe stato sciocco e controproducente.
I Portishead sono stati decisivi nel mettere tante pulci nelle orecchie di chi, in quell’epoca, si esponeva per la prima volta a certe sonorità.
Assolutamente sì. Per quello parlo di un tempismo perfetto non completamente cercato o voluto. Il nostro scavo era in sintonia con lo spirito con cui diversi produttori e musicisti di nuova generazione facevano musica in quel momento. Siamo entrati, con stile, in un contesto che stava prendendo forma giorno per giorno.
È anche per questa ragione che Easy Tempo ha riscosso così tanto consenso all’estero?
Sì, anche. Easy Tempo ha avuto un successo incredibile all’estero. Non è mai stato un fenomeno nazionale. La serie è andata alla grande negli Stati Uniti, in Germania e in Gran Bretagna, sebbene i numeri migliori in assoluti li abbiamo fatti in Giappone. DJ, produttori e intenditori erano ben sintonizzati.
Siete riusciti a far breccia anche nei cataloghi di Ennio Morricone?
Sì, qualche volta. Ma è stato tutto più complicato perché Morricone, a differenza di altri grandi compositori che hanno pubblicato decine di colonne sonore, era abituato ai riflettori. Aveva uno status diverso, era molto più famoso degli altri. E le etichette non erano così inclini a concederci le licenze.
Quando è iniziata la crisi?
Abbiamo aperto un mercato nel quale, nel giro di pochi anni, si sono inseriti in tanti. A inizio anni 2000 l’offerta stava superando la domanda, ma non è mai uscito un solo volume di Easy Tempo che non avesse alle spalle una cura, un’idea. Un obiettivo.
Vent’anni dopo quali sono stati gli stimoli per tornare?
Quest’anno si celebrano i 30 anni di Right Tempo. E poi adesso siamo più interessati al panorama straniero, a zone che finora nessuno ha davvero affrontato. Il territorio italiano è stato ben mappato, è il Sudamerica che va esplorato. Ed è verso quei lidi che puntiamo. Ci sono cose strane, fortissime, laggiù. Funky psichedelico molto ardito, sonorità aggressive, trasversali. Ci sarà spazio anche per altre nazioni, ma le cose più interessanti per ora le abbiamo trovate in Colombia, in Venezuela. Si tratta di library music, stampe private, 45 giri, non colonne sonore. Per cominciare in questo volume godetevi un Ivano Fossati (insieme a Oscar Prudente) che non vi aspettereste o forse non ricordate più. Per il suo “Tema del lupo” bisogna tornare al 1974. Siamo ancora molto lontani dal cantautore colto che abbiamo imparato a conoscere negli anni successivi.
Tempo di rifarsi vivi con un Gilles Peterson, direi…
Gilles Peterson (boss di Brownswood Recordings, per anni colonna di BBC Radio 1 e anima del movimento acid jazz di inizio anni novanta) è amico di Rocco, che lo ha anche affiancato su Worldwide FM. Il contatto con lui è davvero forte, tanto che a settembre dovrebbe uscire una compilation con un inedito postumo di Mark Murphy. Intorno a questo pezzo sarà costruita una compilation intitolata – credo – “Congregation”. Le note di copertina saranno di Paul Bradshaw (della rivista Straight No Chaser), braccio destro di Peterson. Al momento stiamo contrattando su alcune licenze.
Così, a bruciapelo, rivelaci un disco del cuore a cui ti affidi quando fra le tue migliaia di titoli ne vuoi scegliere uno che non tradisce...
“A kind of blue” di Miles Davis. Perfetto.