Sentirsi adesso, nell’anno 2024, nonostante la lontananza dal tribolato “secolo breve”, come i trotskisti al tempo del fascismo. Doppiamente perseguitati, segnati a vista, costretti a percepire solitudine, disprezzo e stigma. Odio politico, e forse perfino umano nell’ordinario quotidiano militante. Guardarsi le spalle dai pugnali dei fascisti, altrettanto fare caso agli “ombrelli bulgari” dalle punte acuminate di ricina e ancora alle rivoltelle dei sicari stalinisti, senza contare i solerti delatori dei partiti comunisti “ufficiali”, agli ordini di Mosca. Avete capito bene: sentirsi adesso come i trotskisti; stesso stato d’animo, camminare cercando di non rasentare i muri del conformismo politico. Gli impreparati culturalmente che volessero conoscere una definizione del trotskismo, dunque della teoria della “rivoluzione permanente” propugnata da Lev Trotsky, facciano, per comodità dialettica, riferimento alle parole esplicative di Mariangela Melato rivolte in “Mimì metallurgico ferito nell’onore” all’ingenuo operaio meridionale interpretato da Giancarlo Giannini: “Sinistra della sinistra”. Lasciando per un istante da parte i neo-post-fascisti della Meloni, attualmente al governo con seguito familiare e familista, facciamo caso agli altri, la possibile presunta opposizione, planando così oltre il battistiano bosco di braccia tese di via Acca Larenzia. Bene, tu cosa ti aspetteresti da una sinistra combattiva, non incline al conformismo, mossa da un sentire eroticamente liberatorio, se non proprio dallo spinterogeno e dall’autoclave libertari? Semplice, anzi, “simplicissimus”, per citare un periodico satirico tedesco che vedeva Georg Grosz tra le sue firme, che metta in discussione per l’esistente, dando pieno sfogo al bisogno individuale di rivolta e all’istinto desiderante proprio della felice e copiosa eiaculazione situazionista. E invece? Invece la sinistra attualmente di scaffale e di messaggino con emoticon a cuoricino accluso, sceglie di fare proprio il luogo comune moralistico, la “pecetta” nera delle antiche censure sui manifesti e le fotobuste dei vari Decameron veri e apocrifi: un proprio maccartismo culturale interessato soprattutto al bon ton sovrastrutturale, destinato alla costruzione del consenso, a far sì che coltello, cucchiaio e forchetta siano disposte ordinatamente sulla tovaglia dell’ultimo film di Francesca Archibugi o di Paola Cortellesi, perfino qualora dovessero parlare di povera gente nelle vie di Testaccio durante la guerra. Così mentre tutt’intorno ogni cosa, cominciando dai lampadari, sembra precipitare. Ecco una sinistra che sceglie di presidiare, accanto al Mausoleo del Nazareno, i pandori griffati Chiara Ferragni, nella convinzione che tale solerzia conformistica ai colpi di sole porti nuova acqua al concetto di “vocazione maggioritaria”, una categoria che potrà pure riguardare l’assessore di provincia già banconista al reparto salumi della Coop, inaccettabile invece qualora la si voglia imporre a chi dovrebbe fare semplice professione di elaborazione artistica, dunque creativa. Ne consegue un combinato disposto che salda sia il citato moralismo maccartista che presidia la schwa in nome della purezza intersezionale, femminismo da ossessione sessuofobica, sia lo zdanovismo remixato. Andrej Zdanov, lo diciamo sempre per gli analfabeti di storia, era un signore che dava la linea sulle questioni culturali sotto la cappella di Stalin. Matita rossa e blu tra i denti così per determinare l’esistenza pubblica in vita di scrittori e musicisti; ne seppe qualcosa Dimitri Shostakovich, costretto a comporre musica mediocre per onorare l’elettrificazione dell’Urss. Tale forma di maccartismo femminista viene ora sostenuta da vedove, vedovi, badesse e badessi queer di Michela Murgia, i loro risibili unicorni come vessilli al posto delle bandiere rosse, in un’atmosfera concentrazionaria, cui si è aggiunta di recente, durante un comizio del Pd, l’apologia della pasta aglio olio e peperoncino innalzata da Chiara Valerio, come metafora della sinistra stessa, così a completare il quadro della desolazione acefala, gnegne letterario… Oh, tristi ditalini scioccamente letterari che si presumono ancora edificanti. Grazie al cielo, sempre pervaso dalla confusione già evocata dal criminale Mao, la satira benefica si è mossa per mettere in luce l’assoluta risibilità dialettica dello sproloquio per anime semplici pronunciato da Chiara Valerio: chi non l’abbia ancora vista, c’è una tavola di Stefano Disegni che ne demolisce ogni possibile attendibilità espressiva. Diversamente dai trotskisti di una volta, quando era vivente lo stesso Lev Trotsky, il capogita rivoluzionario, che, si sappia, lo ha raccontato il suo segretario Jean van Heijenoort, era un invasato di fica, anche nei momenti in cui, braccato dai sicari di Stalin, gli stessi che alla fine riusciranno perfino a conficcargli una piccozza nel cervello, per mano di Ramón Mercader, prozio di Christian De Sica, avrebbe dovuto pensare alla sua quarta Internazionale, metti, anche in quei momenti, tuttavia Lev Davidovic, mai veniva abbandonato dal pensiero della sorca, così anche la vulva di Frida verrà sfiorata dal pizzetto della rivoluzione permanente…
Natalia, la compagna d’esilio del rivoluzionario, prese così a sfigurare con una punta di matita, mossa da astio e risentimento, il volto della dirimpettaia, l’ospite Frida, scimmia adulatrice, il cui poster figura in ogni stanzetta d’amichetta… Diversamente dai protomartiri del trotskismo, puntualmente accusati dai miserabili stalinisti d’essere “agenti della Gestapo”, nei casi attuali, a tutti noi, trotskisti dell’anno 2024, tempo di Elly Schlein, segretaria del Pd, ci viene imputato, cosa assai più grave e meschina, d’essere invece “rosiconi” e “invidiosi”. Assai meglio di ciò che accadde al figlio di Trotsky, Lev Sedov: costui verrà assassinato a Parigi da falsi chirurghi nel febbraio 1938. Sedov aveva già sofferto di appendicite e un agente stalinista infiltrato, divenuto uno stretto collaboratore fidato, lo conduce in una clinica della quale il direttore intrattiene dei rapporti con la Nkvd. Trotsky ricorda il ragazzo con queste parole: “Lasciamo il tuo ricordo irreprensibile alle giovani generazioni dei lavoratori del mondo. Con la giustizia, vivrai nei cuori di tutti coloro che lavorano, soffrono e combattono per un mondo migliore. Giovani rivoluzionari di tutti i paesi! Accettate il ricordo del nostro leone, adottatelo come vostro figlio, ne vale la pena e permettetegli, d’ora in poi di partecipare in maniera invisibile nelle vostre battaglie, dal momento che il destino gli ha negato la gioia di partecipare alla vostra vittoria finale!” Ora, sarebbe doverosamente meraviglioso essere al momento, nella situazione data, ritenuti noi gli unici trotskisti veri e garantiti, se non altro per l’opera di opposizione all’ovvio e all’ottuso moralistico che sosteniamo… Magari così fosse, invece dobbiamo perfino subire lo smacco simbolico attraverso l’ultimo film di Nanni Moretti, “Il sol dell’avvenire”, dove nella scena finale, sullo sfondo del Colosseo e dei Fori Imperiali, immaginando il socialismo finalmente a portata di sguardo nel Belpaese, il corteo amichettistico avanza davanti proprio a un grande ritratto di un Trotsky già maturo, aria da schnauzer gigante, per non dire che nello stesso film Moretti offre un cameo a Chiara Valerio e a Corrado Augias… Probabilmente, se non fosse stato deposto dal Centro per il Libro e la Lettura, organismo ministeriale che si occupa della cura e della diffusione dei croccantini letterari, nella stessa pellicola avremmo potuto ammirare anche Marino Sinibaldi, magari accompagnato dal coro di sdegno che l’intera rete amichettista, dimenticando che la sua cooptazione rispondeva ugualmente a un principio politico, così il peana: “Neppure un biglietto, neppure un ringraziamento”.
E ancora: "Marino Sinibaldi, scrittore, autore, per decenni direttore a Radiotre, ha scoperto da una telefonata di essere stato fatto fuori dal ruolo di presidente del Centro del libro. Perché mai? Pochi altri come lui, in Italia, hanno contribuito alla promozione e alla divulgazione di nuove proposte, autori, linguaggi e favorito il sostegno alla lettura. La sua Radiotre è stato un modello dì eleganza, lontana da qualsiasi forma di volgarità”. E poi: “Questa non è una ordinaria lottizzazione, ma è quella “sostituzione etica” da tempo annunciata, quel cambio di narrazione che come obiettivo finale la cancellazione della Costituzione antifascista. Del resto nelle stesse ore della “cacciata” di Marino Sinibaldi, trapelava la notizia di un congelamento dei fondi per il centenario dell’assassino fascista di Giacomo Matteotti”. È vero, per decenni Sinibaldi, lo Zdanov di via Asiago, per grazia di Luigi Manconi e di Walter Veltroni, cui si aggiungerà Franceschini, ha potuto essere “un modello dì eleganza, lontana da qualsiasi forma di volgarità”. Domanda: siamo proprio certi che la presunta eleganza faccia bene al pensiero, o non sia piuttosto un freno alla fantasia? Louis-Ferdinand Céline o Antonin Artaud non credo che sarebbero d’accordo su questa idea da galateo. Va da sé, che noi trotskisti del 2024 aspettiamo, mitra Sten in pugno, che i fascisti ora al governo presentino il loro film kolossal che riporti alla memoria Galeazzo Ciano, cioè l’ambizione del fascismo pronto a sognarsi ancora in sella negli anni ‘50, familismo e ambizioni, lussi e cocaina. Restando in tema di creatività, non è forse un caso che sia Veltroni sia Franceschini, non paghi dei propri rispettivi ruoli politici, abbiamo a loro volta scelto il romanzo e il cinema come ulteriore spietato campo d’azione. E forse perfino Trotsky, in un momento di difficoltà pare sia stato utilizzato come attore, così almeno raccontano le sue cronache d’esilio. Forse, per sanare la ferita di chi si è sentito in dovere di intervenire in difesa del vulnus subito dallo Zdanov di complemento Sinibaldi, si potrebbe immaginare un doveroso risarcimento: concedergli la possibilità di realizzare a sua volta un film, magari, si spera, tratto dal prossimo romanzo di Walter Veltroni. E noi trotskisti a ridere del tutto, crudeli e felici come l’infame Franti, da lassù, tutti in cima alla collina di Monte Mario, che guarda verso via Asiago, già dominio del nostro Marino, anzi, loro.