Nel 411 a.C. uscì per la prima volta la Lisistrata di Aristofane. Nella commedia le donne si riuniscono sotto la guida di Lisistrata, stanche della poca cura che i mariti avevano nei confronti delle rispettive famiglie, per via della guerra del Peloponneso. E a Lisistrata viene in mente uno strano modo di far sentire la propria voce e quella di tutte le altre donne. Lisistrata dice: «Ci dobbiamo astenere dall'uccello...». Proprio così, uno sciopero del sesso per costringere gli uomini a non «rizzar più le aste» gli uni contro gli altri (seppur qualche asta si sarebbe comunque rizzata). E così, se v’era per gli uomini la guerra del Peloponneso, alle donne spettava inaugurare un nuovo conflitto, quello del Penesospeso. Da lì chiunque abbia mai voluto ribellarsi ci ha preso gusto a indire scioperi. Sciopero della fame contro la guerra, sciopero dei trasporti contro i green pass, sciopero nelle fabbriche contro lo sfruttamento, il lavoro minorile, il maltrattamento delle donne, il gender gap, la discriminazione sul posto di lavoro, la sicurezza sul lavoro, e così via. Lo sciopero si è diffuso così tanto come pratica che alcuni pensano non abbia più una forza persuasiva agli occhi dei potenti. Dopotutto ci abbiamo fatto il callo. E a tutte le Lisistrate del mondo sembra rispondere in coro il gruppo di topolini del famoso film Disney: «Al lavoro, Cenerella!». E così per tutti; sesso o no, lavoro o no, trasporti o no, bisogna tornare a lavorare pallide Cenerelle dei nostri tempi.
Lo sciopero dei mezzi pubblici indetto per oggi si inserisce nel flusso delle tante e tante forme di disobbedienza civile che poco sembrano cambiare lo status quo, ma che dovremmo invece imparare a comprendere; pena il restare a piedi. A maggior ragione quando, come in questi casi, gli argomenti sono buoni e da difendere. Le possiamo leggere dal sito dell’USB, l’Unione sindacale di base che ha proclamato lo sciopero generale dei trasporti pubblici per oggi, alla luce del rinnovo del CCNL Autoferrotranvieri del 10 maggio 2022. «Con un messaggio condiviso vertiginosamente sui canali social, coloro che spudoratamente si definiscono “OO.SS.” comunicano che la seconda tranche della una tantum sparisce: non essendoci le garanzie del Governo per la copertura dei mancati ricavi subiti durante l’emergenza Covid, le aziende non verseranno i fatidici 250 euro previsti per il mese di novembre!». Parliamoci chiaro. Gli scioperi dovrebbero fiorire non da torti occasionali, come questo, bensì dalla comprensione di problemi strutturali. Avete presente la buona e vecchia “coscienza di classe”? Ecco. Ma accontentiamoci. Anche perché sembra che l’occasione di generalizzare il discorso (di fare quel che un tempo forse avremmo chiamato, e non in senso negativo come oggi, filosofia) ci sia. Poco dopo nel comunicato si legge: «Il voler legare una determinata retribuzione a finanziamenti statali, soprattutto dopo l’enorme risparmio che le aziende hanno ottenuto in piena emergenza sanitaria, abusando di ammortizzatori sociali e mungendo latte da quelle stesse istituzioni che oggi si tenta di colpevolizzare, si è dimostrata un’idea assurda, fallimentare, e che poteva essere partorita solo per un unico obiettivo: mantenere ben saldi gli interessi di aziende ed associazioni datoriali!».
Capiamo il problema, pian piano. Non solo la precarizzazione diventata uno standard (con una gran virata del Capitalismo che ha sfruttato un’arma di insurrezione dello scorso secolo, la mobilità in ambito professionale, per irretire il potenziale rivoluzionario dei lavoratori dipendenti), ma la connivenza Stato-privato, dove il privato guadagna e lo Stato non solo glielo lascia fare, ma lo copre. Lo copre finanziando lui bonus ed incentivi, sgravi e agevolazioni che risultano essere, ancora una volta, occasione di guadagno per le “associazioni datoriali” e elemosina per i dipendenti. Passiamo alle otto richieste lanciate per lo sciopero: la cancellazione degli aumenti delle tariffe dei servizi ed energia, congelamento e calmiere dei prezzi dei beni primari e dei combustibili; il blocco delle spese militari e dell’invio di armi in Ucraina, nonché investimenti economici per tutti i servizi pubblici essenziali; il superamento dei penalizzanti salari d'ingresso garantendo l'applicazione contrattuale di primo e secondo livello ai neo assunti; la necessità di modificare l'ossessionante e vizioso criterio che, inneggiando al risparmio, vede bruciare fior di soldi pubblici attraverso appalti e subappalti ad aziende che offrono servizi di scarsa qualità e lavoro sottopagato; la sicurezza dei lavoratori e del servizio, introduzione del reato di omicidio sul lavoro; il salario minimo per legge di 10 euro l’ora contro la pratica dei contratti atipici e precariato; il libero esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali; una legge sulla rappresentanza che superi il monopolio costruito sulle complicità tra le OO.SS. e le associazioni datoriali di categoria. In tre parole: dignità, sicurezza e orizzontalità. In due parole: lavoro e democrazia, come Dio comanda. Ma anche buon senso.
Intendiamoci, se i trasporti pubblici si fermassero davvero sarebbe un gran problema. A Bologna e i mezzi pubblici sono la condizione senza la quale non ci si potrebbe muovere. Così a Milano. Provate a fare i turisti a Roma senza mezzi. Su, provate. Non bisogna essere comunisti per capirlo. Senza considerare i danni ambientali di un totale fermo dei mezzi di traporto locali. O pensate che chiunque oggi prenda un bus opterà per la bicicletta in sua assenza? La verità è che l’unica nota critica di questo sciopero è la durata. Dovrebbe durare due settimane, un mese. Ad libidum. La richiesta di un salario minimo a 10 euro l’ora è sommaria (la vera alternativa a questo sistema sarebbe non lavorare … lavoro zero, come sosteneva negli anni Novanta Franco Bifo Berardi) ma necessaria, così come la proposta di introdurre il reato di omicidio sul lavoro. Sono problemi nati con la stessa rivoluzione industriale. E ce li portiamo dietro da oltre un secolo e mezzo. Altra coppia di principi: diritto allo sciopero dei servizi pubblici e democratizzazione della legge sulla rappresentanza, che non vincoli più le professioni alle segretarie sexy del datore di lavoro, alias le Organizzazioni Sindacali (OO.SS.). Le “OO…SS.” Ronfiano nella guardiola dei piani alti e si svegliano di tanto in tanto per farsi notare e giustificare la loro esistenza. Sono quello che nel cristianesimo sarebbero i miracoli: eventi rari e che risolvono le cose a pochi (un Lazzaro qua e là, due novelli sposi a corto di vino, e così via). A noi servirebbe l’Apocalisse.
Infine la generalità per antonomasia: scioperare per la crisi energetica e il caro dei prezzi da un lato e contro l’invio di armi in Ucraina. Brillano gli occhi, pur nella consapevolezza della totale inerzia di questi due punti. Sono lotte di così largo respiro che un’unica categoria, a voler buttarsi dentro tutta l’aria, finirebbe per volare via come la zia di Harry Potter. Quindi lasciamoli da parte e rimaniamo alle belle e parziali richieste realizzabili sul breve periodo: aumento dei salari e standard di sicurezza maggiori, responsabilità del datore del lavoro e miglioramento dei contratti di assunzione. Ogni sciopero è uno sciopero a metà, ma come tale può far parte di un puzzle. Funzionano come le lotte indipendentiste in giro per il mondo. Non risolvono quasi mai il problema, ma lo tengono caldo, pronto per essere sbranato. In attesa della rivoluzione gli scioperi sono occasioni per rinvigorire l’odio di classe, il fuoco della passione. Così come Lisistrata, a forza di farla vedere ma senza poterla toccare, se serve rimarremo a piedi, per poi fare l’amore con la dignità sociale.