Nel cuore pulsante di Chicago, tra nebbie e mattoni rossi, la musica cattolica ha iniziato la sua avventura come una sinfonia di accenti, fede e incenso. Tutto ebbe inizio nella seconda metà dell’Ottocento, quando ondate di immigrati (soprattutto irlandesi, italiani, tedeschi e polacchi) sbarcarono con valigie piene di speranza e orecchie piene di melodie sacre tramandate nel tempo, ognuna con le proprie origini e ognuna con il proprio credo. Le prime parrocchie cattoliche, sorte come rari funghi devoti, erano molto più che luoghi di culto: divennero centri culturali dove la messa domenicale era anche uno spettacolo musicale - caratteristica che agli americani non si può negare. Organi a canne giganteschi venivano installati con più entusiasmo che budget e cori improvvisati animavano le celebrazioni con fervore e brio, fino a radicare un culto più concreto. Tra fine Ottocento e inizio Novecento, arrivano le prime scuole cattoliche con suore che insegnavano canto gregoriano e inni in latino con la stessa passione di un producer trap odierno. Nel 1920, l'Arcidiocesi di Chicago iniziò a standardizzare la musica liturgica, cercando di armonizzare (letteralmente) le tante tradizioni etniche. Missione non semplice, considerando che un polacco e un irlandese avevano opinioni molto diverse su come cantare un “Gloria”. Nel secondo dopoguerra, con il Concilio Vaticano II all’orizzonte, le chiese aprono le porte a lingue moderne e strumenti “proibiti” (ad esempio la chitarra, scandalosa pare poiché troppo pop). Nasce così un nuovo stile di musica cattolica, più accessibile, più popolare, e sì, a volte più discutibile. Negli anni Sessanta e Settanta Chicago diventa un laboratorio sonoro liturgico: cori gospel cattolici, messe folk e anche un pizzico di jazz sacro. Alcuni fedeli cantano, altri protestano "Dove sono finiti i canti in latino?" o “la musica è troppo pop e poco sacra?”, ma la rivoluzione musicale è in corso quasi quanto la fede stessa e nessuno poteva o può fermarla. Oggi, la musica cattolica a Chicago è un caleidoscopio vivo: dalle note solenni delle cattedrali ai ritmi vivaci delle parrocchie ispaniche e afroamericane. Un viaggio tra tradizione e innovazione, fede e creatività, dove ogni "Amen" è accompagnato da una nota... possibilmente in tonalità giusta - e no, Francesco Gabbani non c'entra.

La musica cattolica a Chicago è un mosaico sonoro che riflette la città stessa: multiculturale, vivace, in continua evoluzione. Le messe non sono più solo in latino o inglese, ma in spagnolo, polacco, filippino e swahili, accompagnate da cori gospel, chitarre, tamburi e persino maracas. Le parrocchie si sono trasformate in palcoscenici spirituali dove la tradizione convive con l’innovazione: l’organo a canne convive con tastiere digitali e melodie che strizzano l’occhio al jazz o alla world music. Proprio per tornare ai tempi degli immigrati, la musica era identità, resistenza, preghiera cantata. Quella stessa spinta popolare e inclusiva riecheggiava anche nel pensiero di Papa Francesco, il primo pontefice latinoamericano, cresciuto tra i ritmi del tango e le processioni argentine. Non è un caso che, sin dall’inizio del suo pontificato, abbia incoraggiato una liturgia “viva”, accessibile e capace di parlare al cuore, anche con strumenti moderni. Papa Francesco ha più volte ribadito che la musica sacra deve essere “bellezza al servizio della liturgia”, ma anche uno spazio aperto alla creatività e alla cultura del popolo. Ha elogiato cori parrocchiali, musicisti di strada, artisti che “non si esibiscono, ma pregano cantando”. A Chicago, dove storia e innovazione si fondono da sempre, questo messaggio è risuonato forte. E mentre alcune cattedrali restano fedeli al canto gregoriano, altre parrocchie fanno ballare i fedeli... spiritualmente parlando. Proprio in merito a questo arriviamo quindi a Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, il primo pontefice nato negli Stati Uniti, precisamente a Chicago, il 14 settembre 1955. Cresciuto in un ambiente multiculturale, ha respirato fin da giovane l'aria della musica cattolica locale, caratterizzata dalle famose fusioni e tradizioni liturgiche citate in precedenza. La sua formazione teologica e musicale, iniziata alla Catholic Theological Union di Chicago, ha contribuito a plasmare la sua visione della liturgia come espressione viva e coinvolgente della fede. Durante il suo cammino pastorale il nuovo Pontefice ha spesso insistito sul valore di una liturgia che non sia solo rito, ma esperienza viva, capace di toccare l’anima attraverso la bellezza. In un incontro del 2024 con una comunità dell’Illinois, disse: “La liturgia deve essere bella per aiutarci nella fede” che suona proprio come un invito a riscoprire la musica sacra come ponte tra il cuore e il divino. Eletto ormai da poco in questo 2025 riscopriamo il suo pensiero sulla musica stessa, il suo pontificato riporta un certo gusto per la solennità, con simboli tradizionali e riti storici, ma senza rinunciare al colore e al suono delle culture del mondo. Sotto la sua guida, la Chiesa si fa eco universale: accoglie cori polifonici, canti popolari e strumenti moderni, mantenendo saldo il legame tra radici e rinnovamento, proprio come l'origine della sua città natale. Papa Leone XIV è, in fondo, la voce armonica tra la Chicago che lo ha cresciuto e la Chiesa che ora guida: dove ogni nota, se ispirata dalla fede, può diventare preghiera, e io voglio crederci.
