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La sociologa Chiara Saraceno asfalta la Meloni: “La famiglia tradizionale non esiste, non bisogna imporre modelli”. E bacchetta le femministe da social: il divorzio? “Vittoria socialista e liberale”. E sulle adozioni omosessuali…

  • di Simona Griggio Simona Griggio

6 febbraio 2024

La sociologa Chiara Saraceno asfalta la Meloni: “La famiglia tradizionale non esiste, non bisogna imporre modelli”. E bacchetta le femministe da social: il divorzio? “Vittoria socialista e liberale”. E sulle adozioni omosessuali…
La famiglia tradizionale è ancora un problema? Il divorzio è merito delle battaglie femministe? E le adozioni omosessuali sono giuste? Ne abbiamo parlato con Chiara Saraceno, la più importante sociologa italiana vivente, che asfalta Giorgia Meloni e smonta la retorica populista di molte influencer

di Simona Griggio Simona Griggio

Sapete una cosa? Dello spot di Esselunga che mostrava una bimba figlia di separati desiderosa di far tornare insieme i genitori attraverso il finto dono di una pesca “da parte della mamma” agli adolescenti non è importato proprio nulla. Manco lo hanno visto quello spot in tv. Anzi. Se glielo spiegavi ti guardavano con occhi spalancati o annoiati: Poi tornavano a chattare. Oppure chiedevano: “Ci sono ancora spaghetti alle vongole?”, “Domani sera posso andare alla festa di Mirko?”. “Embè?”. I ragazzi di oggi sono cresciuti con esperienze e riferimenti di famiglie diverse da quelle tradizionali. Ricomposte, ricostituite, rimodulate. La realtà, che sia queer o non sia queer, è cambiata da decenni. Se amati da entrambi i genitori, a loro non interessa che tornino insieme. Vogliono amorevole ascolto e attenzione. E magari ricevere doppi regali, doppi consigli, doppie visioni della realtà. Allora perché si è acceso un dibattito feroce sullo spot con la bimba figlia di separati? Adulti contro adulti. Propaganda da ambo le parti. Della trasformazione della famiglia ne parliamo con Chiara Saraceno, la massima sociologa in Italia. È stata docente all’Università di Torino e testimone attiva di tutti i principali cambiamenti che il femminismo ha portato nella società. A cominciare dalla rivoluzione dei ruoli familiari dovuta all’emancipazione della donna.  Continua il viaggio di MOW nel vero femminismo. 

Chiara Saraceno
La sociologa Chiara Saraceno

Saraceno, il cambiamento della famiglia è cominciato molto tempo fa, all’epoca delle battaglie femministe.

In realtà la famiglia cambia continuamente, ed è anche diversa da una società all’altra, nella forma e nei contenuti. Per limitarci all’Italia e al periodo dal dopoguerra ad oggi, è vero che le battaglie femministe hanno avuto un ruolo, soprattutto per far finalmente modificare il diritto di famiglia che era ancora quello fascista. Ma la battaglia per il divorzio aveva un’altra (lunghissima) storia ed è stata promossa dai partiti socialista e liberale, anche se temporalmente coincideva con le azioni e proteste promosse dal movimento delle donne. Uno dei motivi che ha portato al successo di questa battaglia è stato che da alcuni anni - dalla seconda metà degli anni Sessanta - il tasso di instabilità coniugale stava aumentando e c’erano sempre più persone che rimanevano bloccate legalmente in un matrimonio che di fatto non esisteva più.

Il divorzio è stato un cambiamento epocale?

Per l’Italia, dove è stato introdotto in ritardo rispetto alla maggioranza dei paesi democratici occidentali, certamente radicale. Ha scombinato i confini della famiglia come era intesa fino ad allora. Dopo l’approvazione della legge sul divorzio nel la coppia è diventata reversibile non solo per vedovanza. E i figli hanno sperimentato che si può crescere con più famiglie, pendolando tra l’una e l’altra. Con genitori che hanno formato altri nuclei ma continuano (dovrebbero continuare) a rimanere tali e sono tenuti a prendersi cura di loro. Non è certo soltanto una questione economica ma di responsabilità genitoriale e diritti dei figli riconosciuti dal nostro ordinamento. 1970

Un tempo la famiglia riconosciuta era solo una, con la donna di solito casalinga e l’uomo lavoratore.

Facciamo una precisazione. Questa idea della donna casalinga e dell’uomo fuori a lavorare appartiene solo agli anni del boom economico e del benessere. E riguarda solo le aree urbane. Nel mondo contadino le donne hanno continuato a lavorare, così come tra i ceti più poveri, anche se spesso solo nell’economia informale. Gli anni ‘50 e ‘60 sono stati il periodo aureo della casalinghitudine in concomitanza con l’arrivo di un modesto benessere anche tra i ceti piccolo impiegatizi e operai. Mai prima e mai dopo. In ogni caso, lavorando o non lavorando, prima della riforma del diritto di famiglia nel 1975 le donne coniugate erano subordinate all’autorità del marito e non avevano neppure potestà legale sui figli. La patria potestas spettava per definizione solo al padre. Anche a scuola, lo ricordo personalmente, sulle pagelle compariva la dicitura ‘firma del padre o di chi ne fa le veci’. Insomma, era il padre l’unica autorità legale, il pater familias.

Poi, dopo la legge sul divorzio, qual è stato il percorso per l’affermazione nella società di un’idea di famiglia diversa?

Come accennavo prima, le battaglie per il divorzio e il suo ottenimento in Italia, pur essendo state iniziate dai partiti socialista e liberale, coincidono temporalmente con la nascita dei movimenti delle donne, in cui hanno cominciato a chiedere uguaglianza. Nonostante la Costituzione, entrata in vigore nel 1946, prevedesse all’articolo 29 che ‘il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi’, abbiamo dovuto aspettare fino al 1975 perché fosse inserita nel diritto di famiglia. noi donne

Quali diritti aveva la donna sposata?

Pensi che solo nel ‘68 una sentenza della Corte di Cassazione stabilì che se una moglie non seguiva il marito in un’altra città ciò si configurava come abbandono del tetto coniugale che giustificava la richiesta di separazione per colpa (della moglie, ovviamente). Oltre alle battaglie femminili furono anche una serie di sentenze in direzione della parità fra uomo e donna ad aprire la strada della riforma. Nella riforma del ’75, inoltre, finalmente anche la questione del riconoscimento da parte di un genitore coniugato dei figli nati fuori dal matrimonio è stata regolamentata in senso positivo.

Prima di allora se una donna o un uomo coniugati avevano un figlio fuori dal matrimonio come veniva considerato?

Nel caso fosse il padre a essere coniugato non poteva riconoscerlo come proprio. Nel caso fosse la madre a essere coniugata, il figlio era automaticamente figlio del marito, che poteva disconoscerlo. In entrambi i casi i figli venivano privati di uno o entrambi i genitori legali e condividevano lo status di ‘illegittimi’, proprio dei figli nati da madre nubile non riconosciuti dal padre. La riforma del 1975, oltre a consentire ai genitori naturali il riconoscimento dei figli a prescindere dallo stato civile, ha anche parzialmente equiparato legalmente i figli nati fuori e nati dentro il matrimonio: rispetto ai diritti nei confronti dei propri genitori (purché riconosciuti) inclusa l’eredità. I primi non sono stati più definiti illegittimi ma naturali e con eguali diritti. Almeno sulla carta. Ma si è dovuto aspettare il 2012 per giungere ad una perfetta equiparazione.

La questione della ricerca delle origini per i figli cosiddetti naturali?

Con quella legge si è introdotta anche la possibilità dei figli naturali di risalire alle loro origini di paternità e maternità. Da questa visione rinnovata della famiglia, orientata non solo all’uguaglianza entro la coppia ma al benessere dei figli, sono seguite tutte le altre determinazioni che hanno portato, in epoca recente, all’affido condiviso in caso di separazione dei genitori e alla bigenitorialità sulle scelte educative.

In Italia il riconoscimento del figlio da parte di entrambi i partner in coppie omogenitoriali è ancora un problema
In Italia il riconoscimento del figlio da parte di entrambi i partner in coppie omogenitoriali è ancora un problema

Ora stiamo assistendo a una nuova fase di cambiamento: le istanze delle coppie omosessuali e omogenitoriali

Se il matrimonio non è più, da parecchio tempo, fondato sulla convenienza ma sull’amore e lo scopo non è più solo riproduttivo, allora ogni coppia che si ami e si impegni reciprocamente è legittima e merita riconoscimento. E se ciò che conta perché un bambino cresca bene e diventi un adulto equilibrato è che qualcuno se ne assuma la responsabilità, lo riconosca come figlio, lo ami e lo accompagni nel processo di crescita, non conta che questo qualcuno sia un uomo o una donna e che ci sia una coppia genitoriale formata da un uomo e da una donna. Dove c’è un bambino e qualcuno che se ne assume in modo durevole la responsabilità facendone il proprio figlio, c’è famiglia. Del resto, se si studia la famiglia dal punto storico e antropologico si scopre che non esiste un unico modello in tutte le culture.

Qual è secondo lei la fotografia della famiglia oggi?

Abbraccia tanti modelli: quella tradizionale, quella adottiva, quella ricomposta, quella rappresentata da una coppia in convivenza o da persone dello stesso sesso unite civilmente e da altri modelli ancora. Anche nella famiglia che ha mantenuto la stessa forma legale, uomo e donna sposati con figli, sono cambiati i rapporti e i ruoli. Ci sono più aspettative di uguaglianza nella coppia, più madri sono occupate, si hanno meno, o per nulla, fratelli e sorelle e cugini/e, quindi crescendo si hanno meno “pari” dal punto di vista della posizione generazionale e in compenso una catena generazionale più lunga. L’allungamento della vita fa sì che i nonni siano molti più presenti nella vita relazionale e affettiva di una volta. E che sia più frequente che da adulti e in età matura ci si debba prendere cura di un genitore diventato fragile o non autosufficiente. Dato che questo fenomeno, con la prevalente divisione del lavoro e la maggiore longevità delle donne, riguarda più le donne degli uomini, è stata coniata l’espressione ‘diventare madre della propria madre’.

Cosa pensa della visione contrapposta della famiglia espresse da Giorgia Meloni ed Elly Schlein?

Schlein e Meloni esprimono in modo polarizzato la diversificazione della famiglia. In mezzo c’è la grande varietà delle composizioni famigliari di oggi. Per questo a mio parere non bisogna imporre modelli, ma consentire a ciascuno di vivere la propria famiglia come desidera, purché sia espressione di amore e cura reciproca e per i figli.

Le politiche di sostegno ci sono?

In Italia sono scarse e ancora molto carenti. Fino agli anni ‘70 eravamo tra i paesi più generosi per quanto riguarda i congedi di maternità e anche l’offerta di scuole dell’infanzia (che un tempo si chiamavano materne). Ma poi molti paesi europei non solo ci hanno raggiunto ma hanno ampliato e in parte modificato l’approccio, sia incoraggiando i padri a condividere la cura, sia mettendo l’attenzione sui primi anni di vita, quindi sui servizi per i bambini dagli 0 ai 3 anni. Mentre in Italia ci si muove molto lentamente in entrambi questi aspetti. Questo governo, che pure ha nel sostegno alla natalità una delle sue parole d’ordine, ha di fatto un approccio molto miope, non solo perché sembra continuare a ritenere che la responsabilità di cura dei piccoli spetti prioritariamente se non esclusivamente alle madri, ma perché, mentre di fatto riduce l’investimento previsto nel Pnrr sui nidi, destina la maggior parte delle sue misure alle donne che si trovano in condizioni comparativamente più avvantaggiate.

Può fare un esempio?

Il bonus nido. È un sostegno positivo ma può fruirne solo chi vive in un comune dove i nidi ci sono e in numero sufficiente, il che esclude la maggior parte dei bambini e dei loro genitori, specie al Sud. La decontribuzione è destinata, sperimentalmente, solo alle donne che hanno da due figli in su, di cui uno sotto i dieci anni, e con un contratto a tempo indeterminato. Il che esclude la maggior parte delle mamme lavoratrici. Inoltre, sostituendo il reddito di cittadinanza con l’assegno di inclusione, che pure vede tra i destinatari le famiglie con figli minorenni, questo governo ha introdotto restrizioni che di fatto riducono sia la possibilità di accedervi per molte famiglie pur povere sia l’importo ottenibile.

E sulle coppie omosessuali?

Opponendosi al riconoscimento dei figli delle coppie dello stesso sesso da parte di entrambi i genitori che li hanno voluti, di fatto non solo si esclude il genitore non biologico dalle misure di sostegno alla genitorialità e di conciliazione (congedi) ma si condannano i figli a essere legalmente orfani di un genitore. Dopo la totale equiparazione tra figli naturali e legittimi, rispunta così una nuova categoria di bambini che non può essere riconosciuta da chi ha voluto che venissero al mondo. Tra l’altro, sotto la bandiera della lotta a oltranza alla gestazione per altri, si equiparano le coppie lesbiche, e i loro figli, alle coppie gay, nonostante le situazioni, rispetto al modo in cui generano figli, siano molto diverse.

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