“La gentilezza è stata fatta prigioniera. Quindi a volte tutto ciò che devi dire è: vaffan*ulo”, afferma Stella Nyanzi. La storia di questa poetessa, femminista e attivista per i diritti delle donne in Uganda comincia nel 1996, con una laurea in comunicazione di massa e letteratura (che poi sarà solo il preludio della "ribellione" della sua penna) all'università Makerere di Kampala. Stella Nyanzi è una giovane donna che non riesce a stare ferma. Ma che, più di ogni altra cosa, non riesce a rimanere in silenzio. Fin dai suoi primi lavori, emerge una postura critica nei confronti del governo di Museveni. Decide dapprima di sostenere attivamente la comunità lgbtqia+ ugandese e lo fa attraverso la pubblicazione nel 2013 di un articolo che critica fermamente la legge contro l’omosessualità già precedentemente approvata. La contestazione mossa da Nyanzi si basa sull'oblio della pluralità sessuale nel continente africano. Stella Nyanzi continua a documentarsi, studia. Fa rumore. Ma è verso gli esordi del 2016 che il suo coinvolgimento politico e sociale subisce una svolta importante. Al punto che il suo attivismo si arricchisce di strumenti ancora più di impatto, come le proteste nude e la radical rudeness, altresì detta maleducazione radicale. Nyanzi inizia a raccogliere consensi per via della sua propensione a combattere contro regole e imposizioni che trova ingiuste. Lei e le attiviste che la seguono, passo dopo passo, infrangono le strutture tradizionali di potere e le gerarchie sociali patriarcali con azioni che catalizzano i singoli individui. Questo perché in Africa la nudità femminile è tanto sacra nella tradizione quanto scioccante per l'uomo: attraverso la nudità si protesta per i propri diritti, ma si afferma anche la propria libertà attraverso “un atto di forza”. Vengono messe in discussione le autorità maschili che governano il Paese. Si spezzano finalmente le catene del patriarcato nel Continente. Ma non basta la nudità per rovesciare il regime che a Nyanzi e a molte altre attiviste comincia a stare stretto. Ed è da qui che nasce, o meglio, risorge, l’antica tradizione ugandese della radical rudeness (che trova la sua origine nella colonizzazione britannica). Alle buone maniere viene affiancata come mezzo di contrasto la tattica della rudezza, attraverso scandali e disordini con cui rompono le convenzioni sociali. Solo a quel punto, nel 2019, Stella Nyanzi viene incarcerata per sedici mesi per aver scritto e pubblicato sui suoi social una poesia piuttosto esplicita sulla vagina della madre del presidente ugandese Yoweri Museveni (sì, è successo davvero). Tuttavia nemmeno il carcere è riuscito a “rieducarla”.
Infatti Nyanzi ha raccolto con sé ancora più consensi. Non solo: in tutto il corso del 2023, in Europa, sono nati vari movimenti ispirati alla “maleducazione radicale” ugandese. Non a caso in Europa la “maleducazione radicale” ha subito forti influenze dal movimento originario ugandese, ma senza emularlo del tutto. A questo proposito, le attiviste europee non utilizzano tanto questa forma di maleducazione come arma di liberazione politica, quanto piuttosto come la forte espressione del loro dissenso verso una società patriarcale. Anche attraverso i mezzi digitali, le attiviste maleducate pubblicano contenuti irriverenti che, più spesso che volentieri, vengono segnalati agli algoritmi a causa del tono eccessivamente aggressivo delle loro prese di posizione. Le dimensioni su cui si battono sono fondamentalmente due: la prima riguarda il ruolo della donna nella società odierna, con tutto ciò che comporta questo scomodo inserimento, mentre la seconda dimensione rappresenta delle vere e proprie riforme lavorative radicali che coinvolgano tutto il mondo femminile. Se vogliamo fare riferimento al nostro Paese, attualmente questo gruppo di attiviste “maleducate” non ha preso piede così come è successo in Uganda, o in altri paesi. Tuttavia rimane un movimento ancora recente e in costante crescita, che è riuscito, nonostante alcune differenze evidenti rispetto alla tradizione, a mantenere vivo lo spirito di Stella Nyanzi. In Italia, il numero di femminicidi ha inciso in maniera particolare nel dibattito sul tema del patriarcato. A partire dal caso di Giulia Cecchettin, con Filippo Turetta accusato di essere “figlio sano” di una società intrinsecamente maschilista, il tema si è esteso fino all’ambiente lavorativo e alle molestie negli spazi pubblici. Addirittura negli ultimi mesi del 2023 ha fatto scalpore lo slogan “Bruciamo tutto” e “Per Giulia facciamo rumore”, parole pronunciate dalla sorella di Giulia, Elena Cecchettin, poco dopo il ritrovamento di sua sorella. Forse anche in Italia è arrivato il momento per la “maleducazione radicale”?