‘Quando eravamo Re’ si potrebbe descrivere benissimo così Race For Glory: Audi vs. Lancia, in sala dal 14 marzo per la regia di Stefano Mordini. Se il documentario degli anni ’90, Quando eravamo Re, parlava sempre di sport, ma nello specifico del campione Muhammed Alì, qui un carichissimo Riccardo Scamarcio produce, scrive (insieme a Filippo Bologna e Mordini stesso) e interpreta una pagina gloriosa del rally, ossia quella dei campionati mondiali del 1983. Non è spoiler, ma solo un frammento di storia, ossia quella che vide l’ultimo esemplare di due ruote motrici vincere un mondiale costruttori.
Il team manager della Lancia Cesare Fiorio (Riccardo Scamarcio) si ritrova con pochi finanziamenti per la sezione gare, dovendo gestire la Lancia (proprietà della FIAT) sfavorita contro l’Audi Quattro alle soglie del mondiale di rally. L’Audi forte della trazione integrale su 4 ruote motrici (novità assoluta, dove nei campionati precedenti erano vietate) sembra non conoscere rivali, mentre Cesare si ritrova con poco tempo a disposizione e nessuna vettura competitiva. La strategia di Cesare Fiorio, ai limiti della legalità e di quei lampi di genio tanto cari ai protagonisti di Amici Miei, fa perno sull’astuzia, sull’intuizione, sul rischio che comportano le decisioni immediate che richiedono certi mestieri, il tutto per vincere – almeno - il campionato costruttori. Non solo Fiorio deve subire le pressioni della squadra o del consiglio d’amministrazione, che anno dopo anno finanzia sempre meno le ricerche per rendere competitiva la Lancia, ma anche dell’Avvocato Agnelli (qui Lapo Elkann fa un dignitoso cameo di suo nonno in un paio di scene) indispettito che il suo stesso nipote sia fan dell’Audi Quattro. Il messaggio per Fiorio è chiaro: la Lancia deve vincere a ogni costo.
Per vincere è necessario avere il miglior pilota e Fiorio pensa subito a Walter Röhrl (tra i migliori della storia interpretato qui da Volker Bruch) che accetta di guidare solo per alcune tappe del mondiale: “Dammi un motivo per accettare” chiede il pilota al team manager della Lancia, “Perché siamo gli sfavoriti” risponde lui. Ed è questo che rende Race For Glory un buon film con cui si crea subito un legame emotivo: perché è la sempiterna storia di Davide contro Golia, dei perdenti allo sbaraglio che guidano per la gloria contro chi ha i soldi e la tecnologia dalla sua parte. Erano gli anni in cui il rally era il primo sport televisivo al mondo, insieme alla Formula 1. Come definito dallo stesso Fiorio durante la scena iniziale, il rally è uno sport democratico che il pubblico sente suo, non solo perché poi i modelli delle auto si trovano sul mercato, ma perché quelle stesse auto passano tra le vie di casa tua. Fiorio intuisce l’importanza, alle strette coi soldi e le tempistiche, sia del supporto economico derivati dagli sponsor (qui la Lancia ha i colori dello sponsor Martini), sia che la soluzione per la Lancia riposi in qualche vecchio progetto. Ennio (Giorgio Montanin) uno dei meccanici a stretto contatto con Cesare, crede che la risposta alla stabilità dell’Audi possa essere una macchina leggera come la vecchia Lancia Stratos: così nasce la Lancia 037, piccola, corta, con motore centrale, grande visibilità e manovrabilità per i piloti per dirla con Fiorio stesso.
L’unica pubblicità possibile che rimane al team, nonché di sopravvivenza, è vincere perché “non si può perdere bene”. Forse, in ultima istanza, non è neanche vincere ciò che conta, ma il come lo si fa, così Cesare spiega cosa spinga lui e gli altri a rischiare la morte a Jane McCoy (Katie Clarkson-Hill) che perse suo padre, anch’egli pilota, e che ora, pregata da Cesare, presta assistenza medica ai piloti della sua squadra. Un tempo esistevano sport per gentiluomini, e il rally come la Formula 1 lo erano, e Race For Glory non fa eccezioni, non scadendo in beceri campanilismi e trattando - sempre - con rispetto l’avversario, in questo caso il direttore sportivo Audi Roland Gumpert (Daniel Bruhl) e il suo pilota di punta Hannu Mikkola (Gianmaria Martini), che poi vinse nel 1983 il campionato piloti. Girato tutto in 5 settimane a Torino e nei dintorni (La Val Formazza, il Parco di Mottarone) Riccardo Scamarcio e Stefano Mordini portano in sala un loro personale omaggio a una grande impresa comunitaria, italiana o meno poco importa, che ci ricorda cosa eravamo e cosa dovrebbe essere lo sport.