Sono stati ufficialmente richiamati nelle fila dei banchi scolastici tutti gli ultimi studenti del Regno ancora al pascolo. È finita la ricreazione. Qualcuno con più malcelata allegria di rivedere i compagni, che gli erano stati strappati da tre mesi di noia familiare. Qualchedun altro con ostentato tedio per il dover affrontare altri nove mesi di infecondo waterboarding, su e giù dentro un mare di nozioni eterogenee con rischio d'asfissia. E purtroppo certi altri ancora con l'incubo dell'ostracismo ad attenderli, con quello dell'esclusione sociale, del dileggio, e del bullismo.
Quello che accomuna tutti però, da generazioni, è che a scuola ci si va, salvo non ci si trovi al vertice o al pedice assoluto della catena alimentare. Escludendo cioè quei casi in cui la cicogna ha lasciato il fagotto in nidi più caldi, dove benvestiti nati stanchi possono concludere le superiori a pieni voti con l’indulto. Oppure, al contrario, i casi opposti. Quelli in cui il pennuto esausto ha rovesciato maldestramente il carico residuale in case popolari già sature di sofferenza. Lì dove la legge e i decreti non hanno forza e voglia per arrivare, e quindi la scuola è un miraggio. A dodici anni ci si allena a sparare, a 15 ci si prostituisce o si ruba, e a 18 si sta in galera o al camposanto.
Tutti gli altri, in Italia, a scuola ci sono dovuti andare. E quasi tutti lo hanno fatto con maggiore o minore partecipazione sociale: nella forma del macho, del clown di classe, del secchione, del belloccio e della rapinatrice di occhi, dell'ochetta giuliva, della prima della classe, del tizio anonimo ma ben voluto e così via discorrendo.

C'è però anche chi ha rinunziato a questo gioco delle parti. E non parliamo del vituperato, del vessato dal gruppo, del malmenato, no.
Parliamo semplicemente del diverso, che si fa più domande sulla vita, su sé stesso e sul mondo che non sulle 25 anime intorno a sé e sui loro pantaloni griffati.
E a un certo punto sta male perché esige risposte.
Questa nausea difficilmente arriva a 14 anni o a 16, perché si è ancora bambini, ma a 18 se ne scorgono i prodromi. È l'età della notte prima degli esami.
Ed è in questa fase della vita che nascono i Cuccioli Alfredo, di cui nel 1977 canta uno dei più grandi artisti italiani di sempre: Lucio Dalla. Interessati alla politica, al mondo oltre al proprio quartiere, a dire di no dove gli altri dicono sì, e con la schiena piegata da sogni troppo pesanti per le loro spallucce (che si faranno anche se strette). Con il terrore di fallire e di rimanere nessuno, o di gridare a vuoto come un personaggio omerico che proprio Nessuno andava cercando.
Ma del Cucciolo Alfredo se n'è parlato in lungo e in largo, perché a chi scrive è piaciuto così. È giusto che i maturandi sappiano cosa verrà dopo, quando la vita sarà ancora più misteriosa e senza appigli. Quando Alfredo diventerà Sonny Boy e passerà il tempo al Parco Della Luna.
Qui (1980), rispetto a tre anni prima, l'introspezione è più profonda e mistica, a differenza di chi, in una “strada d'inferno”, meritò un'apologia intrisa d'amore per un comprensibile cinismo e certa cattiveria politica non violenta. D'altro canto, in "Com'è profondo il mare" spicca la centralità sociale del gigante bolognese, che piano piano verrà sacrificata in nome dell'esistenzialismo, protagonista già nell’ottavo album "Lucio Dalla".
"Il Parco della Luna", seconda traccia del secondo o terzo album più bello di Lucio (“Dalla”, il nono cronologicamente), è un viaggio nell'anima della fanciullezza, l'adolescenza, e soprattutto quella gioventù che non vuole finire mai di alcune persone speciali. Aspiranti artisti, scrittori, registi, attori, sportivi, professori... insomma aspiranti prima di tutto: anelanti prima che ingranaggi, con lo sguardo verso la luna prima che sulle dita. I battitori liberi della nostra società di battone. Quei soggetti che le permettono di progredire ma a cui non è quasi mai riservato un bel trattamento, se non quando raggiungono un successo acclarato. In particolare se ostinati e contrari.
Sonny Boy è un protagonista post-adolescente. La sua unica ragazza è la Fortuna in senso latino, cioè la sorte, e i suoi mezzi sono un cavallo di legno, cioè un attrezzo faticoso che non sposta di un centimetro. Stop.
Fare un riassunto della canzone equivale a violentarla, e chi sta per iniziare il quinto superiore vuole tutto tranne che questo. Dovrà già assumere razioni doppie di Levitra per stuprare il povero Leopardi e il suo corpicino gobbo, oppure le spoglie vegliarde di Ungaretti, per portare alla professoressa dagli occhiali squadrati l'analisi del testo di emozioni ineffabili. Che magari sarebbe più opportuno discutere in classe. Composta da 15 studenti e non di più.
Sonny Boy è un ragazzo ferrarese, ma ovviamente è Lucio. Lucio che non ha mai voluto lavorare al catasto evidentemente. Lucio che amava le donne e forse anche gli uomini. O viceversa. Lucio che adorava il basket ma non raggiungeva il metro e settanta. E per cui, a dire di Pupi Avati, una madre apprensiva e amorosa fece prendere degli ormoni. I quali non hanno ebbero altro effetto che provocare calvizie precoce e irsutismo, condannandolo allo zuccotto e a guardare pure un po' di Bologna Calcio. Lucio che era più sensibile degli altri. Poliedrico. Eclettico. Simpatico ma tenebroso. Senza un posto fisso nella società. A lungo.

Che Lucio abbia sofferto, in quel Parco ideale, lo dice chiaramente, quando passa dalla terza persona alla prima:
"Anch'io quante volte da bambino ho chiesto aiuto / Quante volte da solo mi sono perduto
Quante volte ho pianto e sono caduto / Guardando le stelle ho chiesto di capire
Come entrare nel mondo dei grandi senza paura, paura di morire
Come uno zingaro seduto su un muro / Gli occhi nel cielo puntati sul futuro"
Ma il genio, se non si suicida o non impazzisce, comincia a brillare di luce propria, e gli altri scrivono e parlano di lui, talvolta ballano sulle sue note, o si salvano grazie a esse.
E se non si è geni? Con l'impegno si trova lo stesso un posto nel mondo, garantisce Lucio. Che se anche non fosse stato Lucio, non sarebbe rimasto a terra, ma a metà tra i suoi sogni e la disperazione.
"Adesso Sonny Boy e la sua donna Fortuna / Saranno a metà strada, tra Ferrara e la luna"