Alex Schwazer a 40 anni suonati è ancora da record nella marcia. Troppo tardi? Troppo poco? Troppi rimpianti? Sì, ma andiamo con ordine. Schwazer nasce a Vipiteno il 26 dicembre 1984. E nel 2008 vince l’oro a Pechino nella marcia 50 km, stabilendo anche il record olimpico della specialità. E da lì la pubblicità del Kinder Pinguì con il suo tipico accento alto-atesino, la chiara fama, le immagini degli ultimi metri di gara proposti e riproposti in tv, le imitazioni… Insomma, ciò che di buono può portare la vittoria. “Tutto molto bello” avrebbe detto il compianto Pizzul. Alex continua a marciare, fino al 2012, quando un controllo antidoping a sorpresa della Wada lo coglie positivo all’eritropoietina ricombinante. Schwazer ammette tutto in una conferenza stampa devastante, si congeda dai Carabinieri di Bologna e la Ferrero non gli rinnova il contratto. La squalifica è di 3 anni e sei mesi. Tre anni e sei mesi di buio. Nel frattempo, l’ormai ex campione ha dovuto confrontarsi anche con la giustizia ordinaria, in particolare quella penale. E qui inizia il parallelismo. Il 22 dicembre del 2014 Schwazer patteggia con il tribunale di Bolzano una pena di 8 mesi con multa di 6000 Euro, naturalmente sospesa poiché incensurato.
Schwazer però, era entrato nei cuori degli italiani anche perché dal 2007 si era legato sentimentalmente alla pattinatrice, e praticamente compaesana, Carolina Kostner. I due cuori felici, ghiacciati dalle temperature ma sciolti dall’amore, si sono trovati d’un tratto travolti insieme dalla mano spietata della doppia giustizia. Separati già dal 2012, la stretta complicità dei due aveva portato lei a coprirlo durante le attività dopanti e ad aver omesso denuncia, facendo finire la danzatrice dei ghiacci invischiata tra Procura Antidoping Coni, Wada, Tas di Losanna, e soprattutto procura di Bolzano. Risultato finale? Sedici mesi fuori da gare e allenamenti a livello sportivo e, per fortuna, archiviazione dal punto di vista penale: nessuna punizione per favoreggiamento.

Finisce la pena per Schwazer, finiscono gli spot con la Ferrero, finisce la chiaroscura luna di miele tra i due pettirossi alpini. Alex può tornarsi ad allenare. Lo fa. Gareggia. Vince.
L’8 maggio 2016, con la casacca degli azzurri, trionfa a Roma in 3 ore e 39 minuti. È pronto per Rio. Peccato che il 21 giugno successivo si diffonde una notizia assurda. Fonte Iaaf. Nel Capodanno precedente gli è stato prelevato un campione di urine, inizialmente ritenuto normale. Tuttavia, a una più approfondita analisi esso è risultato denunziare la presenza di testosterone in eccesso, tramite spettrometria di massa a rapporto di isotopi. Insomma, per il Progetto Manhattan furono spese meno energie scientifiche che per saziare la virilità del piscio di Alex, questo è il punto. Stavolta la conferenza dell’atleta e dei collaboratori è infatti ben diversa da quella di quattro anni prima. Ci si difende con le unghie e con i denti. Le accuse sono rigettate come “mostruose”, e si promette denuncia contro ignoti perché apparirebbero incongruenze nelle procedure di controllo. E, in ogni caso, le quantità di testosterone nell’urina sarebbero comunque talmente basse da non poter avere alcun effetto sulle prestazioni dell’atleta. Un Clostebol ante-litteram diremmo adesso.
Il Tas lo squalifica per 8 anni questa volta. In due parole: fine carriera. Schwazer sa che se esiste una giustizia che può dargli la ragione non è quella sportiva, ma è quella che si prende il suo tempo, che prima verifica e poi punisce o squalifica, che fa perizie con persone estremamente qualificate, che presume l’innocenza, che è garantista ed è garantita da uno Stato. E alla fine lo Stato italiano gli dà ragione: il 18 febbraio 2021 il Gip del Tribunale di Bolzano dispone l’archiviazione del processo penale “per non aver commesso il fatto”. Non solo, il magistrato asserisce che sia stato "Accertato con alto grado di credibilità che i campioni di urina furono alterati", e lancia delle accuse molto pesanti contro Wada e Iaaf: "Hanno operato in maniera totalmente autoreferenziale non tollerando controlli dall’esterno fino al punto di produrre dichiarazioni false". Ma i togati sportivivogliono proprio sentir ragioni. Anzi, si indispettiscono e gridano il torto dei colleghi ordinari, permettendo ad Alex di tornare a correre solo nel 2024. E per la terza volta, una più di Napoleone, il ragazzone di Vipiteno torna a marciare e vincere. Prima il 10 maggio, in Veneto. E poi a Bolzano, dove a 40 anni compiuti da un po’ fa il record personale sui 10 kilometri: 38’24’’07. Meglio di Pechino 2008. “Una rivincita morale su un sistema corrotto”, commenta il suo ex preparatore Sandro Donati.

Ma Alex Schwazer non è solo. Pensiamo a un suo vicino di casa: Jannik Sinner. Long story short: un suo fisioterapista, un po’ disattento, si è curato un taglio alla mano con una sostanza contenete il famigerato Clostebol, molecola ritenuta dopante, che è entrata nel circolo dell’allora numero uno Atp a causa dei massaggi. Quantità di Clostebol reperite in Sinner dalla Wada a primavera 2024? Meno di un miliardesimo di grammo. Alterazione delle prestazioni? Zero di zero di zero. Se ad agosto, nella prima sentenza dell’Idia (International Tennis Integrity Agency), Sinner era stato ritenuto praticamente innocente, nel mese delle foglie che cadono cambia tutto.
Nuovi giudici Wada, nuove istanze. Questi chiedono al Tas una squalifica da uno o due anni. Una richiesta semplicemente assurda, di cui è complice forse la notorietà dell’imputato. Dall’altra parte però, in Atp, un altrettanto malizioso penserebbe ci siano esigenze opposte. Dove lo trovi uno in grado di metterti in piedi quello spettacolo che è stata la crasi Sincaraz? Tre finali Slam di cui un capolavoro e due assoli personali: impareggiabile dai. E allora patteggiamento sia. Il 15 febbraio 2025 Wada e Sinner trovano un accordo extragiudiziale: tre mesi di sospensione: si torna il 4 maggio. Wawrinka e Djokovic lamentano che, in soldoni, se ci fosse stato un giocatore di Challenger contro la potente Wada allora questo si sarebbe dovuto trovare un altro lavoro. La giustizia non è uguale per tutti e certe pressioni esistono, insomma. Passare da due anni a tre mesi è ridicolo. They have a point, direbbero oltremanica. Dall’altra parte, i fan di Sinner contrattaccano: Jannik deve stare tre mesi fermo per non aver fatto nulla: è una ingiustizia sostanziale. In Italia pochi danno loro torto. E allora dov’è il nocciolo del doppio problema?
Probabilmente la questione è nel sistema di giustizia sportiva: una serie di autorità fin troppo indipendenti che che sanno di poter fare il bello e il cattivo tempo attraverso codici non aggiornati, non allineati con i principi fondamentali del diritto penale, e con minimi e massimi edittali a volte completamente assenti, oltre che con tempi di giudizio davvero ridotti all’osso.
Detto questo, non sempre gli Stati nazionali risultano poi l’incarnazione dei principi di liberalismo giudiziario. È il caso dell’appena citato Djokovic, nel gennaio 2022 in Australia. Era il periodo in cui l’emergenza perenne era divenuta la regola, e certi dogmi ideologici avevano sorpassato nella gerarchia delle fonti tutti i diritti e le garanzie. In questo clima, Novak fu cacciato dalla terra dei canguri per un reato d’opinione: aveva manifestato una scarsa fiducia vaccini anti-Covid. Per la cronaca, Djokovic aveva contratto la malattia a dicembre ed era guarito, e poteva soggiornare nel Paese oceanico e giocare tranquillamente il torneo ex-lege. Peccato che il ministro Hawke decise di espellerlo lo stesso. E la Federal Court gli diede ragione, sostenendo che una star del tennis come lui avrebbe potuto incrementare il sentimento anti-vaccini, generando il rischio di emulazione fra la cittadinanza. Cose da Medioevo, da caccia alle streghe.
Ma Nole è sopravvissuto al rogo ed è diventato il goat in risposta a quest’ingiustizia. Come Schwazer. Come tenterà di fare Sinner.

Non ebbe la stessa forza Marco Pantani. A chi fosse scomodo non è dato saperlo.
Sta di fatto che il 5 giugno 1999, a Madonna di Campiglio, durante il Giro d’Italia, “Il Pirata” era maglia rosa, praticamente vincitore designato di quella kermesse. Durante i controlli antidoping fu trovato negativo. Peccato che aveva i globuli rossi al 52%, che può voler dire trasfusioni di sangue, ma normalmente non significa niente di niente. Il limite consentito era solo dell’1% in meno. Non fu squalificato infatti, ma “sospeso cautelativamente”. Peccato che la cautela dei funzionari antidoping è una condanna a morte per il sogno di un atleta. Quel Giro fu tolto così al Pirata. E forse non solo il Giro.
Marco continuò, testardo, a correre altri 5 anni, ma aveva dei nemici più grandi delle percentuali beffarde: l’alcool, la depressione e la cocaina. Morì il 14 febbraio 2004, presumibilmente per suicidio.
Queste storie raccontano di come nello sport sia necessaria una riforma della giustizia sportiva, e subito. Ma anche di come chi racconta gli atleti debba muoversi diversamente. Non guardare in faccia a nessuno per scovare il marcio, senza dubbio. Ma anche denunciare il denunciante, se l’imputato è un povero cristo che non può difendersi, oppure se è una star con così tante luci puntate addosso da essere un target troppo ambito da archiviare i fasciscoli. Anche perché dietro ogni macchina da guerra d’ogni sport c’è sempre un essere umano. A volte fragile.
Altre fragilissimo.
