È dal 6 di marzo che Naska si sta esibendo nei teatri più importanti d’Italia per il suo Tour Unplugged, ma ieri sera al Teatro degli Arcimboldi era la prima volta dopo l’uscita del suo nuovo EP “Milanconia”, che non poteva trovare battesimo migliore che nella città da cui prende il nome. Così in una sovrapposizione tra ispirazione e rappresentazione, i brani neo-pubblicati hanno trovato casa proprio nel luogo che li ha visti nascere. La “milanconia” è un sentimento che solo chi è arrivato a Milano per inseguire un sogno può comprendere, chi ha scelto la nebbia e il grigio, magari rinunciando a sole e mare, nella speranza di una svolta di vita. Per Naska è arrivata dopo una lunga gavetta, che lo ha portato a dicembre scorso a riempire il Forum di Assago, un traguardo che artisti molto più famosi di lui fanno fatica a raggiungere e che gli ha comportato una scossa di adrenalina tale da gettarlo dopo in una cupa malinconia. Da qui l’idea di ripartire da una dimensione più intima e forse più umana, i teatri. Si apre il sipario e appare Diego, vero nome di Naska, insieme ai tre musicisti che lo accompagneranno, tutti apparentemente legati da fili pendenti dall’alto, come se fossero marionette, che però godono di vita propria, perché non ci sono nodi che li legano. A terra sono stesi dei tappeti, un chiaro omaggio, come tutto il tour, al live Unplugged che i Nirvana fecero nel 1994 ai Sony Studios di New York. In Italia però la tradizione teatrale è più forte e incute un rispetto sacrale, così Naska non si presenta in jeans e camicia da boscaiolo come quella iconica di Kurt Cobain, ma in abito sartoriale come eleganza italiana vuole.

Sul fondale scorrono come in un time-lapse di una giornata i simboli di Milano, dal Duomo all’Arco della Pace, dal Castello Sforzesco ai tram, che sono poi la scenografia delle canzoni che porta in scena. Un sole di cartone si alterna a nuvole e saette e alla luna, per riproporre al chiuso il potere dei fenomeni meteorologici sull’umore delle persone, soprattutto per i meteoropatici come si definisce lo stesso Naska. Oltre ai pezzi del nuovo EP, come “Milano” e “Sex Toys”, quelle dei progetti precedenti, tra cui spiccano “Polly”, “Horror” e “Rebel”, immancabili in scaletta, sono riarrangiate in chiave acustica. Unico ospite dello show è J-Ax, con cui ha collaborato in questo ultimo EP, che non ha mancato di complimentarsi con Naska, oltre che per il suo talento, anche per il pubblico, molto reattivo e accogliente. Anche Diego ne è fiero, “nei concerti degli altri sento che si ci sono le risse, voi vi volete bene e fate amicizia invece”. Nelle venticinque canzoni in scaletta, Naska mette in mostra oltre alla sua vita, con racconti familiari e personali, anche i suoi gusti musicali. Si sentono tutte le influenze dell’era adolescenziale, come i Blink-182 o i Green Day e i Tokio Hotel e quelle più ricercate, come i già citati Nirvana o i Velvet Underground. Spicca però l’omaggio a Fred Buscaglione con “Guarda che luna”, una canzone che Diego ha sentito tante volte dedicare a sua madre dal padre, anche lui amante del rock e cantante nel tempo libero. Quando il finale si avvicina, per rendere i saluti meno drammatici per i fan, Diego fra un pezzo e l’altro ne intona qualcuno non in programma solo con la voce, seguito dal pubblico all’unisono. Poi quando arriva davvero l’ultima canzone scende dal palco e si mette a camminare fra le file della platea, facendosi foto e cantando in videochiamata sui telefoni che si ritrova in faccia, donando corpo e voce a chi lo reclama.
