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Simone Sello, la chitarra, la fuga a Los Angeles e le cene con Vasco Rossi: “Delle masterclass”. E un singolo che anticipa l’album di spaghetti western in salsa di soia…

  • di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

4 luglio 2025

Simone Sello, la chitarra, la fuga a Los Angeles e le cene con Vasco Rossi: “Delle masterclass”. E un singolo che anticipa l’album di spaghetti western in salsa di soia…
Chitarrista poliedrico e produttore, Simone Sello vive di musica fin da quando, giovanissimo, spedì un nastro a Richard Benson. Tutto partì da lì. Poi, trent’anni fa, la svolta californiana. “Incosciente, non coraggiosa”. Il 4 luglio esce con “Big dipper horse ride”, primo singolo di un album in cui ci sono anche cowboys e rosticcerie giapponesi. “Oggi tutti fanno musica, ma emergere è durissima. E Spotify…”

di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

Esce oggi, venerdì 4 luglio, il nuovo singolo di Simone Sello, “Big dipper horse ride”. Titolo mirabolante? Aspettate l’album, allora. Che - co-prodotto da Marco Torri - si intitola “Paparazzi, izakayas e cowboys” e inaugura le pubblicazioni della neonata Inner Drive Records, lanciata da Volcano Records con un focus dedicato al mondo della chitarra. Simone Sello, nel corso della sua carrier, ha collaborato con Vasco Rossi, Billy Sheehan, Aaron Carter, Renato Zero e un indimenticato Richard Benson, affermandosi come autore, chitarrista, arrangiatore e produttore capace di muoversi con naturalezza tra mondi musicali diversi e progetti di respiro globale. Ci è sembrato fosse il caso di conoscerlo meglio. 

Simone Sello con Vasco Rossi e la chitarra “TS Vasco Special"
Simone Sello con Vasco Rossi e la chitarra TS Vasco Special

Qual è il concetto che fa da traino a “Paparazzi, izakayas e cowboys”? Si parla di “un album ispirato al genere spaghetti western, con forti contaminazioni di musica giapponese, blues, surf ed elettronica futuristica”. Mica male come descrizione.

C'è molto me stesso in questo progetto. “Paparazzi”, pur essendo un termine ormai internazionale, è comunque una parola italiana. Io sono italiano e ne vado anche un po' orgoglioso, talvolta. Poi c’è il forte interesse che da qualche anno nutro nei confronti della cultura asiatica, soprattutto quella giapponese. “Izakaya” è la trattoria, la rosticceria. E infine “cowboys” perché, pur da italiano con un interesse per la cultura giapponese, abito nel Far West, in California. Lo spaghetti western è una rivisitazione filtrata di quella cultura americana che respiro ogni giorno da anni.

Dove abiti in California?

Los Angeles. Un porto di mare. Ci arrivano tutti. L'industria cinematografica ha attratto le grandi orchestre, le colonne sonore. Sia a livello di business che artistico è un luogo in cui si percepiscono tante influenze. Io mi sento un piccolo ingranaggio di questa enorme macchina.

Perché quasi trent’anni fa hai cercato Los Angeles?

Ci sono finito per la musica, volevo crescere. A 28 anni, con una buona dose di incoscienza – incoscienza, non coraggio, sottolineo – mi sono messo in gioco. Ora abito in un quartiere pieno di scrittori, attori, musicisti: Los Feliz. Non girano i grandi nomi qui. Ma i copioni non mancano e l’atmosfera è quella giusta.

Quali aspetti artistici nuovi hai scoperto laggiù?

Beh, oggi uno dei miei impegni principali è quello di fare musica per la televisione, quindi per immagini. Una cosa che fino a un decennio fa non avevo mai considerato e che adesso esploro con entusiasmo.

Hai collaborato con tanti personaggi durante la tua lunga carriera. Che Vasco Rossi hai avuto modo di conoscere?

Con lui ho collaborato parecchio negli ultimi anni. Ama Los Angeles per quello che la città rappresenta nella storia del rock. Qui ha registrato con gente importante. Mike Landau, Vinnie Colaiuta. Con Matt Laug, che poi è diventato il suo batterista. A forza di venirci, ci ha anche comprato casa, a Los Angeles Diciamo che qui viene a svernare, ci vediamo spesso. Si parla un po' di tutto, soprattutto di musica. Quando vado a cena con lui è come frequentare una masterclass gratuita, ha talmente tante storie da raccontare che c'è sempre da imparare.

Ricordo un documentario in cui Vasco diceva che a Los Angeles ritrova sè stesso perché nessuno lo conosce.

Andare in giro per strada senza bisogno di tre guardie del corpo e le auto che ti circondano è un lusso, per lui. È più rilassato, più disponibile a raccontarti le sue storie. Dense, ricche di sfaccettature.

Hai calcato il palco anche insieme a Stef Burns, il fedele chitarrista americano di Vasco?

No, mai. Stef è un fantastico musicista, l'ho visto pochi giorni fa al concerto di Roma all’Olimpico. Un'ottima band, veramente. Lui con Vasco suona dal vivo e fa anche gli arrangiamenti, io invece sono uno dei suoi collaboratori di studio quando è qui a Los Angeles.

La copertina del nuovo singolo di Simone Sello, Big dipper horse ride, in uscita il 4 luglio 2025
La copertina del nuovo singolo di Simone Sello

Un ricordo, invece, di Richard Benson.

Ce ne sarebbero tanti. Mi piace pensare a lui come alla persona che mi ha lanciato. Mi piace ricordarlo così. Avevo 15 o 16 anni e gli mandai una cassetta demo fatta in casa, da autentico dilettante. Lui aveva una trasmissione, su un canale privato, che si chiamava “Ottava nota”. Era un fenomeno, gli arrivavano alcune anteprime incredibili. Beh, gli invio questa cassetta e lui la manda in onda. Mi sembrava di essere a Wembley con i Queen, capisci? Da quel momento ho conosciuto altri musicisti della scena romana che mi hanno aiutato a muovere i primi passi nella giusta direzione.

Lo hai mai supportato in concerto?

No, ho fatto con lui delle prove, ma non sono documentate. Solo qualche foto, qualche registrazione e poco altro.

Un rapporto anche di amicizia, immagino, quello fra voi.

Sì, un’amicizia che ha resistito fino all’ultimo, anche se le nostre strade si sono separate, inevitabilmente, quando mi sono allontanato da Roma. Per lui ho sempre avuto grande rispetto. Perché l’ho conosciuto prima che diventasse anche un personaggio trash. Aveva tanto da offrire. Grazie a Marco Torri e Francesco Dini sono stato anche coinvolto nel progetto “24 back to 84”, il disco postumo uscito lo scorso anno. Sentii Richard nel 2021. Non stava bene, ma non immaginavo che di lì a poco ci avrebbe lasciati. Ricordo il suo affetto, ci teneva molto che facessi parte di quel progetto.

Quando hai iniziato a suonare credo fossero abbastanza imprevedibili tutte le diramazioni che ha preso la tua carriera. Quale musica ispirava i tuoi esordi?

A parte la mia influenza classica – da giovane studiai violino –, adoravo David Gilmour, Mark Knopfler, i Genesis. Poi, attorno ai 16 anni, quando ho conosciuto Richard, mi sono appassionato all'hard rock. Qualcuno mi fece ascoltare “Eruption” dei Van Halen e ne rimasi folgorato. In seguito è arrivato anche il jazz.

Che mondo è, quello odierno, per chi vuole fare musica?

Un mondo difficile, sebbene fare musica non sia mai stato facile. Unire sensibilità e passione artistiche a una vita quotidiana in cui si deve fare i conti con le bollette non è mai stato semplice. Tanto per dire, Bach non credo fosse un musicista professionista che cercava solo di esprimere sé stesso, lavorava su commissione. Vivaldi era un prete, ma con la sua musica ha influenzato un’intera epoca. Però non è che si registrasse i suoi album e li mettesse su Spotify per farci i soldi. Il primo a sostenersi con ciò che produceva è stato Beethoven. Oggi il mondo della musica, a livello professionale, è ancora influenzato da ciò che abbiamo vissuto negli anni ‘60, ’70, ’80 e ’90 dello scorso secolo, grazie all'apporto dei Beatles e di tutto ciò che è avvenuto in seguito nel mondo della discografia. La musica registrata ha cambiato le carte in tavola, in quell’ottica. Oggi, però, farcela è ancora più dura. Perché le strutture e i mezzi di comunicazione legati alla musica si sono molto evoluti, la tecnologia è andata molto avanti, ma i modelli di retribuzione legati ad essa sono rimasti indietro. Se i numeri dello streaming fossero pesati in modo corretto il discorso sarebbe diverso. C'è una grandissima offerta, tutti sono in grado di fare musica e quindi la selezione da operare è più complicata. Diciamo che se uno, oggi, vuole strutturare un progetto musicale è meglio che non pensi subito al rientro economico.

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