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Intervista agli ultimi punk di Camden (Londra) tra The Clash, Smiths, Sex Pistols e Dr Martens pagate il triplo: “Perché è il movimento più grande di tutti, anche degli hippie”. Le testimonianze di Alex Halsey, Terry MacLeay e Zombie Punk…

  • di Silvia Pellegrino Silvia Pellegrino

8 ottobre 2024

Intervista agli ultimi punk di Camden (Londra) tra The Clash, Smiths, Sex Pistols e Dr Martens pagate il triplo: “Perché è il movimento più grande di tutti, anche degli hippie”. Le testimonianze di Alex Halsey, Terry MacLeay e Zombie Punk…
Alex Halsey e Terry McLeavy sono due musicisti che hanno vissuto davvero il movimento culturale, musicale, social, politico, letterario e filosofico del Punk inglese, con tutte le sue sfumature. Li abbiamo intervistati, con anche Zombie Punk, tra storie d’amore e incontri in una Camden Town di cui, ormai, è rimasto ben poco degli anni d’oro…

di Silvia Pellegrino Silvia Pellegrino

Ci siamo dati appuntamento a Camden Town, lontani dalla High Street che è sempre, fottutamente affollata. Ho fatto scegliere il posto a loro, ad Alex e Terry perché volevo si sentissero comodi, anzi stravaccati, quando sarebbe arrivato il momento d’immergersi in apnea nella loro passata gioventù degli anni ‘80 a Londra. Alex Halsey e Terry MacLeay sono due musicisti stagionati ma croccanti che hanno vissuto appieno il movimento culturale, musicale, sociale, politico, artistico, letterario e filosofico del Punk inglese, con tutte le sue sfumature. Ci siamo incontrati una domenica pomeriggio calda, piena di sole, ad un pub lungo canale chiamato The Costitution. Non lo conoscevo. Arrivata in anticipo, mi sono messa a curiosare e con sorpresa ho scoperto che si trattava di quelle solite venue hypster del cazzo che tanto vanno di moda; di quelle che c’hanno l’hype, la fila di rincoglioniti col calzino di spugna sopra la caviglia, che servono gli imbevibili vini naturali, e chiamano gli influencers per dire che delle patatine fritte mignon a 8 sterline sono l’affare gourmet del momento. ‘’Strana scelta’’ ho pensato. Non mi sono sembrati affatto dei punk ripuliti, e infatti, appena li ho visti arrivare, mi sono rincuorata. Con Alex ci siamo abbracciati (lo conoscevo perché era uno degli chef nel mio local pub di quando ancora vivevo vicino Camden), e ho sentito il suo deodorante mescolato con una punta di sudore dolciastro avvolgermi al contatto col suo corpo. Un abbraccio piacevole e tenero. Terry, che invece incontravo per la prima volta, mi ha stretto la mano, mi ha baciata, poi si è girato verso il The Costitution e ha esclamato con un forte accento scozzese ‘’Che caz*o è questa mer*a?!’’. La venue se la ricordavano sudicia, buia, puzzolente, con un palco modesto al centro. Altro che terrazza panoramica. Già che eravamo lì però una birra, anzi due, o forse tre, io e Terry abbiamo deciso di berle. Alex no. Alex è andato di coca zero per tutta la giornata.

Gli ultimi punk di Camden (Londra)
Gli ultimi punk di Camden (Londra) Silvia Pellegrino
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Ora, tra le domande fatte, i racconti condivisi, canzoni improvvisate, e grandi confessioni c’è una prima digressione che vorrei fare, un breve aneddoto successo in un punto imprecisato di quell’incontro. Seduti in altro pub, le mie labbra si sono mosse spinte dal desiderio irrefrenabile di porre forse la domanda meno punk della storia "Siete mai stati innamorati?’’. "Mi è successo due volte. La prima quando lavoravo in un piccolo locale a Camden e c'era una ragazza francese chiamata Céline che lavorava lì" ha raccontato Alex. "Aveva un'amica di nome Evelyn, la ragazza più bella che avessi mai visto. Quando la incontrai la prima volta tremavo, non riuscivo a parlare, e scappai via a nascondendomi. Lei pensava che la odiassi. Poi, dopo qualche mese, mi chiese cosa avesse fatto per farmi reagire così. Le spiegai tutto e lei rimase sbalordita. Mi ridusse a un relitto. La seconda invece è stata una ragazza gallese, appena uscita da una relazione abusiva, che si vedeva come un mostro. Pensava che i ragazzi la guardassero solo per i suoi grandi occhi marroni. Il suo nome era Beth, e tra noi finì male. Voleva diventare hostess di volo e mandai il suo curriculum per un lavoro con la British. Alla fine ottenne il posto e io non fui più alla sua altezza. Pensa, mi svuotò anche il conto in banca. Il trucco è non avere un conto in banca da svuotare, mantenersi sempre a zero’’. La risposta alla mia domanda di Terry, invece, è: "Sì, una volta sola, ed è finita tragicamente. Era una ragazzona alta un metro e ottanta. Non avresti mai voluto farla arrabbiare. Per il resto, amo i miei figli e i miei nipoti’’. Terry è un musicista professionista, uno che con la musica ancora ci campa, chitarrista di una delle band gothic punk più amate: i Sex Gang Children. Ha tatuaggi, orecchini, capelli bianchi, smalto mangiucchiato sulle unghie, e più volte ha ribadito di avere cent’anni. Per creare immediatamente una connessione con l’Italia, ha iniziato raccontando di un concerto con la sua band negli anni ’90 : ‘’A quell’epoca Bologna era un paradiso socialista. Appena arrivati ci hanno dato da mangiare, accogliendoci come musicisti, e trattandoci da esseri umani, cosa non affatto scontata, credimi. C’erano tantissime tende, e lunghe tavolate, vino e pasta a volontà. Ho adorato Bologna e l’adoro ancora oggi. In Inghilterra era diverso. Ancora peggio in Scozia’’. Terry e Alex proseguono il racconto citando figure chiave come John Peel, noto per la sua capacità di scoprire nuovi talenti e promuovere generi emergenti come il folk-rock, punk, new wave e hip-hop. Attraverso le sue trasmissioni radiofoniche alla BBC, Peel ha infatti introdotto al pubblico gruppi come i Sex Pistols, i Clash e gli Smiths. Senza contare l’invito ad una delle sue famose Session negli studi di Maida Vale, ricevuto dal gruppo catanese Uzeda. Ha approfondito Alex: ‘’Io ho sempre e solo fatto da spalla a gruppi punk, ma quello che capii immediatamente all’epoca, è che o ti prostituivi assieme alla tua musica abbracciando dei gusti più mainstream oppure te la dovevi cavare da solo, rimanendo nel substrato dei freaks. Io stesso ero un ragazzino freak che strimpellava la chitarra e scroccava erba ai concerti’’.

Terry MacLeay e Zombie Punk
Terry MacLeay e Zombie Punk Silvia Pellegrino

Terry ha confermato le parole di Alex, aggiungendo che in quegli anni i suoi amici musicisti, inclusa la sua band, hanno vissuto un breve periodo di gloria, scolpita in una roccia rimasta eterna per tutti quei punk della prima ora che non sono morti di overdose. Essere coerenti con sé stessi e con i propri ideali è una scelta che ne preclude un’altra: i soldi. It’s the same old story. E in quel marasma di interessi e inquinamento dell’industria musicale, un nome su tutti è rimasto nel cuore borchiato di noi anarchici, Terry incluso: i Crass. I Crass, come l’amore, meritano un’altra digressione tutta per loro. Band composta da figure eclettiche, druidi musicali come Steve Ignorant e Penny Rimbaud, fu uno dei gruppi più radicali della scena punk britannica. Con la musica spesso priva di melodia e impastata di grida e poesia a versi liberi, criticavano aspramente la guerra, il sessismo, la giustizia, i media e lo stesso movimento punk. Più che una band, i Crass vedevano loro stessi e la musica come uno strumento di cambiamento sociale e politico, e oltre a pubblicare dischi in modo indipendente attraverso la leggendaria etichetta Southern Records del mitico John Loder, fondarono una comune anarchica, che se ne sta ancora lì ad accogliere artisti, emarginati sociali, once again, freaks orfani di una società che non si cura di loro. La Dial house, situata nella countryside dell’Essex, e fondata sui principi di anarchismo, pacifismo e mutuo soccorso, al suo interno non ha struttura gerarchica ma si autogestisce. Tanto i residenti quanto i visitatori possono partecipare alle attività e ai processi decisionali che ancora oggi rappresentano una grande fetta della controcultura nel Regno Unito, in cui si condividono idee alternative che sorreggono una rete estesa ben oltre i suoi confini. Gusti musicali a parte, i Crass sono una delle pochissime band ad aver vissuto in piena sinergia con i propri ideali. ‘’Per me, il movimento punk è stato il più grande di tutti, anche degli hippie. La sua influenza si fa sentire ancora oggi nella musica, nella moda e nell’atteggiamento’’ ha detto Alex con il tono nostalgico di chi ha passato la gioventù a sfamare disperati nelle case occupate, negli squats di una Londra al collasso, e che di quell’esperienza ne ha tirato fuori un mestiere per sopravvivenza. ‘’Noi come altri eravamo reietti, non compresi, non accettati. Al tempo, poche venue ci lasciavano suonare. I luoghi dei concerti punk poi, erano spesso condivisi con quelli reggae. Eravamo emarginati. Questo ha portato a una certa integrazione tra le due comunità, con band come The Clash che mescolavano il punk con il reggae. Anche se c'erano divisioni all'interno della scena, l'obiettivo è sempre stato quello di essere alternativi e non conformarsi alla società. Purtroppo però alla fine degli anni '70 e '80, la scena punk si è frammentata in vari sottogeneri e movimenti. Ad esempio, i gruppi Oi! spesso associati alla classe operaia e delle idee estremiste, hanno attratto sia punk di sinistra che di destra. Alcuni gruppi, come Screwdriver, sono diventati noti per le loro posizioni razziste. Tuttavia, non tutti i gruppi skinhead erano razzisti. Band come Cockney Rejects erano semplicemente punk, ma attraevano anche fomentati ai loro concerti. Come spesso accade, un po’ di merda viene sempre a galla’’ ha concluso Terry.

Alex Halsey, Terry MacLeay e Zombie Punk e Silvia Pellegrino
Alex Halsey, Terry MacLeay e Zombie Punk e Silvia Pellegrino Silvia Pellegrino

Come esegeti del movimento punk, Terry e Alex hanno continuato dritti e in velocità lungo un tunnel di ricordi che è impossibile da poter ricostruire: si è passati dalle influenze musicali imprescindibili come Lou Amdd, Bix Beiderbecke, Billy Idol, e Geordie Walker fino a figure controverse e come il sex offender Jimmy Savile che hanno scosso intere generazioni, per arrivare poi alla fatidica domanda: ma il punk è davvero morto? ‘’Oltre alla schiera di turisti che passa per Camden, i personaggi che si trovano qui sono semplicemente fantastici, anche se alcune delle persone più interessanti ormai sono morte. Camden però è ancora uno spettacolo di stranezze. Ma la cosa è che i turisti vengono qui, non so per cosa, onestamente. Forse per farsi fregare. Sì. Probabilmente pagano il triplo per un paio di stivali Doctor Martens. Questo è il motivo per cui vieni a Camden. Cosa la rende ancora autentica? Niente. Trent'anni fa, a Camden trovavi persone che importavano cose dall'Afghanistan e tanti piccoli negozi che producevano vestiti e altre cose artigianali. Ora è tutto di plastica’’ ha tuonato Terry. In quel momento, per quanto concorde sul turista becero che si fa fregare pagando cagate a peso dell’oro, ho pensato fosse arrivato ‘il momento verità’ e di far conoscere a Terry e Alex la legacy punk. A passo sghembo, ci siamo dunque incamminati verso Camden Lock dove un giovane punk brasiliano espone ormai dal 2016 la sua faccia, la sua cresta, le sue bandiere (con il simbolo dell’anarchia e quella con i colori Lgbtqia+) i suoi circa ottanta tatuaggi e l’emblematico cartello ’Help a punk to get drunk’. Anderson Garcia Rodrigues, conosciuto da tutti con lo pseudonimo Zombie punk è un ragazzo che ha trovato rifugio a Londra, lasciandosi alle spalle un passato traumatico in cui l’essere gay, ribelle e mostrare sulla pelle il proprio sentire è stato percepito come un crimine contro l’uomo e contro dio. Non mi soffermerò qui a sciorinare quanto l’ignoranza e la paura del diverso possano arrivare a distruggere l’esistenza di una persona ma basterà dire che se Aderson è qui è perché gli spetta di diritto lo status di rifugiato. Ma nella liberissima e anticonformista città delle CCTV cameras ad ogni angolo, per Zombie punk non è stata proprio una passeggiata. Anderson infatti ha raccontato che lungamente è stato definito un impostore, un cialtrone, non un vero punk perché non inglese. ‘’Il mio nome è Zombie Punk perché dimostro che il punk non è morto. Il punk è intelligente. Punk significa educare le persone, perché c'è molta merda nel mondo. Tutto è solo consumismo. Il punk, il vero punk, deve essere nelle strade. Viene dalla strada. Il punk significa di più delle band, dei capelli da moicano. È vita reale, quella fuori dai social’’. Terry e Alex lo hanno ascoltato con attenzione, scambiato segni di silenziosa e densa solidarietà, chiesto scusa da parte di un popolo di rincoglioniti che ha votato di uscire fuori da un’Europa respingente per i motivi sbagliati, dicendo che oggi in Inghilterra si sta addirittura peggio di quando c’era la Thatcher. E con il monito che il punk non è solo Sex Pistols, Malcolm McLaren e Vivienne Westwood; che il punk non è morto, che il punk e vivo, Anderson ha concluso l’incontro con una frase che fa da trait d’union tra il passato ed il presente, tra le diverse generazioni: ‘’Essere punk è libertà. Vuoi essere un punk? Allora vuoi essere te stesso’’.

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