“O ma giura che credi che le cravatte tolgano il respiro e certe strane idee”. Era il 1985, Luca Carboni pubblicava il suo secondo album, Forever, nel quale svolgeva il suo cantautorato intimo ed esistenziale declinandolo in chiave dance, Sexy, una delle tracce più significative, proprio a partire da questo incipit. L’idea che la cravatta fosse simbolo di un imborghesimento che passava giocoforza dall’estetica, certo, ma anche dall’occupare certi determinati posti nel mondo del lavoro, questo ci diceva in una riga il cantautore bolognese, era già stata superata da tempo. Di qui la sua perplessità nei confronti di chi, evidentemente, non la pensava così. 2024, ahinoi quasi quarant’anni dopo, l’ahinoi è rivolto a chi, come me, nel 1985 c’era e si era anche andato a comprare il vinile di quel disco. Esce il nuovo album dei La Sad, trio punk, così si definiscono, da poco passato dal palco dell’Ariston con il brano Autodistruttivo. Il disco, usiamo ancora una parola che aveva senso quando i dischi, fisici, esistevano, si intitola Odio La Sad, e nella copertina si vedono i tre giovani, o parzialmente giovani, Theo, Plank e Fiks, circondati, accerchiati da persone in abiti borghesi che brandiscono cartelloni che riassumono tutto l’odio che la band ha attirato negli anni, anche quando ancora non esistevano come band, suppongo, da “è tutta colpa dei La Sad” a “tossici falliti”, passando per “siete la rovina dell’umanità”, “siete solo dei venduti” fino al doloroso “La Sad non è punk”. I tre hanno presentato l’album alla stampa al Dopo?, locale di Milano, zona Corvetto. Coi soliti look eccentrici, i capelli colorati, verdi, blu e fucsia le nuance, giubbotti di pelle, pantaloni di pelle o strappati, anfibi nuovi di pacca, lucidi e intonsi. Durante la presentazione hanno parlato di come il passare a Sanremo sia stato per loro un momento importante, un modo per farsi conoscere da un pubblico più ampio, molto più ampio, fatto che di qui a breve li porterà in tour in molti luoghi fino a oggi non toccati, in location comunque più accoglienti e spaziose. Di come questa popolarità, e anche il fatto che inizialmente fossero stati accolti come dei freak da tenere a bada, incomprensibili in quanto diversi, abbia permesso loro di portare avanti tematiche che hanno a cuore, quali i problemi legati appunto alla fragilità mentale, i cartelloni inneggianti alle associazioni per prevenzione dei suicidi, alle dipendenze da psicofarmaci, e più in generale un discorso sull’inclusività che non poteva che passare dalle loro vite. Hanno letteralmente parlato della loro intenzione di cambiare l’Italia, anzi, hanno detto che forse, un pochino, hanno già cominciato a cambiarla proprio col passaggio al Festival, ringraziando ovviamente Amadeus di aver creduto in loro. Il tutto condito di “Bella”, “Daghe”, “Vota La Sad” e affini. Hanno anche parlato delle collaborazioni, tutte piuttosto importanti, dagli Articolo 31, conosciuti sul palco di Love Mi, dove J-Ax ha proposto loro di fare insieme Domani smetto, passando per Rose Villain, unita a loro non solo per questioni tricotiche ma anche di poetica, dicono, i Pinguini Tattici Nucleari, con Riccardo Zanotti che già aveva collaborato alla scrittura della loro sanremese Autodistruttivo, via via passando per i duetti già usciti, da quello con Naska a quello coi Bnkr44, fino a quella Lamette in compagnia di Donatella Rettore, già eseguita a Sanremo nella serata delle cover. Per ognuno di loro c’è stata una parola di stima e di affetto, rispetto, ammirazione.
Il disco, va detto, è di ottima fattura, un punk pop, i riferimenti più pigri, per chi scrive, sono con i Blink 182, ma è pura pigrizia, con l’ultima traccia, Fuck the Wrld ad alzare decisamente il tiro verso territori più hardcore. A termine della presentazione, ma questo me lo hanno raccontato, finita sono come sempre volato via, c’era la possibilità, recito tra virgolette “di sfogare tutto il proprio perbenismo” prendendo a freccette le figure dei La Sad, colpendo un pugno meccanico, non so se chiama così quel gioco da luna park nel quale si fanno punti colpendo il più violentemente un punjiball appeso, e vari altri modi di dichiarare il proprio odio nei confronti dei La Sad, ovunque le frasi riportate in copertina a fare bella mostra di sé. E veniamo al punto. Letta la tracklist, che mi è arrivata col comunicato stampa prima di arrivare nel luogo della presentazione, mi ero posto qualche domanda. Tipo, ma siamo sicuri che in effetti, tra tante frasi da hater, quelle riportate nella cover, più che il “venduti” il vero focus non sia nel “non sono punk”? Possono essere punk artisti che duettano con Articolo 31 e Pinguini Tattici Nucleari, Naska o Rose Villain? Possono essere punk artisti che parlando di perbenismo in quei termini? Possono essere punk artisti che vanno a Sanremo e che a Sanremo esibiscono cartelloni che invitano chiunque soffra di depressione o di tendenze suicide a ricorrere a quelle associazioni preposte ad aiutarli? La conferenza, in sé, sembrerebbe indurmi a confermare questi miei dubbi, dubbi già evidenziati dal mio notare, e far ironicamente notare loro, quegli anfibi nuovi di zecca, senza una riga, una ruga, un segno del tempo. Avevo già pensato anche a una frase a effetto, anzi, a un ragionamento a effetto, tipo che trovavo più punk i Pinguini Tattici Nucleari, coi loro look “normali”, le loro canzoni ironiche, sì, ma trasudanti buoni sentimenti, quell’essersi formati in un oratorio e il non dire parolacce, gesti tutti anticonformisti nell’era della trap. Poi però ho realizzato. I La Sad sono punk. Nel modo in cui si può essere punk oggi, avendo come modello i Blink 182 più che i Damned, i Green Day più che i Dead Kennedys. Sono punk per spirito, certo, ma anche per forma, anche in quella maniera ingenua, forse naif, che li fa parlare di volontà di cambiare l’Italia, di abbattere quelle forme di discriminazione verso la diversità. Ambiscono, lo hanno detto, a una forma deluxe di punkitudine, nel senso che vorrebbero stare meglio di quanto non siano stati quando vivevano in quattro in un monolocale malconcio, chiamato con un certo senso di autoironia La Sad Castle.
Non si sono imborghesiti, pur guardando a certi aspetti dell’imborghesimento quasi come si fa con i miraggi nel deserto, ma sono ancora puri nel loro provare a essere loro stessi, fuori dai cliché, contro quella che è una narrazione vigente. Semmai siamo noi a esserci imborghesiti. Noi che pensiamo che ancora oggi, nel 2024, per essere punk tocchi davvero sniffare colla da sacchetti di carta come quelli per il pane, segnarsi le guance con spille da balia, farsi arrestare per atti osceni in luogo pubblico. Noi che guardiamo con sufficienza chi riteniamo ingenuo, come se la malizia non fosse, appunto, quanto di più borghese l’essere borghesi ci abbia consegnato per affrontare la contemporaneità. Noi che abbiamo giubbotti di pelle logori, i capelli lunghi, quell’anticonformista non solo di facciata, perché poi con quelle facce lì ci andiamo in giro per il mondo, ma che comunque negli anni ci siamo costruiti attorno sovrastrutture, o abbiamo lasciato che le sovrastrutture in qualche modo ci ingabbiassero. Noi che ci eravamo fatti già tutti i nostri bei ragionamenti, forti di una cultura che, complice l’anagrafe, torna ai giorni in cui il punk nasceva, figlio spesso della borghesia inglese, come di quella italiana, nasceva per mano e mente di Malcolm McLaren e Vivienne Westwood, mica di qualche tossico con la spilla a balia infilata nella guancia. Non credo, in tutta onestà, che là fuori ci sia poi così tanta gente che odi i La Sad, non perché non li conoscano, intendiamoci, Sanremo come dice il refrain è Sanremo, ma perché nonostante le creste e i capelli colorati trasudano l’essere (o l’essere diventati) bravi ragazzi. Penso invece che il punk, genere tra gli ultimi a aver in qualche modo shockato i benpensanti, per lungo tempo i nuovi generi musicali sortivano questo effetto, poi tutto è diventato normale, ha davvero strani modi per cambiarsi il sangue e rimanere giovane, al punto che gruppi come i Blink 182 o i Green Day, cui noi nati negli anni Sessanta abbiamo sempre guardato con gli occhiali del disprezzo, possono aver davvero formato nuove generazioni di artisti pronti a rinverdirne lo spirito, magari anche duettando con Rose Villain, sempre brava, o i Pinguini Tattici Nucleari. Se Enrico Ruggeri ormai trentaquattro anni fa, prima cioè che due terzi dei La Sad nascessero, ci ha regalato il brano Punk (prima di te), nel quale rivendicava con orgoglio le sue origini, origini che va detto non ha mai tradito nel tempo, anche quando, come l’altro punk prima di noi, Elvis Costello, di cui è epigono italiano, si è dilettato in scrivere brani musicalmente assai distanti da quel genere lì, oggi i La Sad ci dicono di essere punk dopo di noi. Lunga vita al punk, lunga vita ai La Sad. I La Sad non si sono imborghesiti, a essersi imborghesiti siamo stati noi