È punk fare un concerto in piazza Maggiore a Bologna e chiedere cinquanta euro per un biglietto? No, il punk è tirare una cipolla marcia in testa a Giovanni Lindo Ferretti. Lo ha fatto Marco Philopat, ormai diversi anni fa, per protestare contro il cachet richiesto dai Cccp per una serata al Leoncavallo. Non c’è da stupirsi, quindi, per il prezzo del prossimo concerto: “I Cccp non l'hanno mai avuta l’anima punk. Hanno usato il punk come trampolino di lancio, ma non hanno mai avuto quella mentalità”. Il tour della band (“In Fedeltà la Linea c’è”), tra l’altro, avrà una nuova data: il 27 di luglio saranno a Genova. Ma a Marco Philopat le minestre riscaldate non sono mai piaciute: “Questa poi è stata riscaldata sessanta volta”. La cultura, comunque, da quando lui aveva cominciato a vivere nel mondo del punk, è cambiata parecchio. Si è perso il lato materiale, l’idea di comprare un disco e riguardarselo più e più volte, quasi fosse un “totem magico”. La musica dal vivo, poi, è tutt’altro che gratuita (altro che Spotify) e ha cambiato la propria natura: “Per il nostro mondo dell’underground, trecento persone per un concerto sono già tante”. Ora per la contestazione, forse, serve qualcosa di diverso da una cipolla marcia lanciata in faccia al frontman di una band.
Marco Philopat, i Cccp per quello che hanno rappresentato sono incoerenti a far pagare cinquanta euro il biglietto per il loro concerto?
Innanzitutto, l'incoerenza è quella di fare a sessant’anni anni le stesse cose che facevano a trenta. Le reunion e le minestre riscaldate non mi sono mai piaciute. Questa poi è stata riscaldata sessanta volte. Cinquanta euro sono tanti, ma ormai i concerti sono per ricchi.
Essere punk però significa anche lottare con il potere economico.
I Cccp non l'hanno mai avuta l’anima punk. Hanno usato il punk come trampolino di lancio, ma non hanno mai avuto quella mentalità, quel tipo di atteggiamento contro culturale. A mio parere non c'entrano assolutamente niente. Loro sono partiti da lì come tanti altri, hanno fatto grandi testi e grandi interpretazioni, però hanno scelto di tranciare le loro origini. Infatti, io andavo a contestarli.
La famosa cipolla che hai tirato a Giovanni Lindo Ferretti.
Quella volta per suonare a Leoncavallo chiesero un milione di lire, che per noi era la cassa comune. I soldi erano gestiti da un'assemblea collettivamente ed erano preziosissimi. Hai deciso di fare quella strada per diventare famoso? D’accordo, ma perché chiedere così tanto. In quel caso io e pochi altri lanciammo frutta e verdura marcia. Io con una cipolla ho colpito Ferretti. Lui dopo si è messo a dire che eravamo filosovietici e ho rischiato il linciaggio. Le persone mi conoscevano ed è partita quasi una caccia all'uomo. Per me la storia è finita lì, però sono sempre interpellato per questo. Sono costretto a difendere una posizione che avevo a vent’anni.
Di loro come artisti cosa pensi, al di là della contestazione?
Quando mi dicono che le loro canzoni sono bellissime io concordo sempre. Io sto parlando di un'altra cosa, di percorsi e di esistenza.
E delle provocazioni, se così vogliamo chiamarle, di Ferretti che si è avvicinato a Giorgia Meloni e Papa Benedetto XVI: solo tentativi di apparire sovversivo?
Lui non ha mai avuto questo valore. Chi glielo dà sbaglia. Però in realtà è una problematica abbastanza sterile. Io ho portato l’esperienza della cassa comune proprio per questo: era importante avere un nemico contro cui combattere. Il punk, come l'abbiamo declinato noi di Agenzia X (la casa editrice che ha fondato, nda), è una forma di rivolta dei disadattati, degli emarginati contro il mondo degli adulti, contro il mondo nel capitale in genere. Basta pensare al significato della parola underground, che nasce dall’esperienza degli schiavi in America, i quali vivevano sotto i campi di cotone, dove lavoravano 12 ore al giorno. Per quelle poche ore che rimanevano andavano nei tunnel e vivevano un'altra vita. Cantavano, ballavano, si divertivano. Non c'era nessuna autorità e si sentivano liberi. Il mondo dell'underground è quello.
La musica con Spotify e le piattaforme ora è quasi gratuita: ci può ancora essere una lotta sul piano economico?
Ma la musica bisogna viversela dal vivo. Se si fanno concerti grossi sono penalizzate le persone che non hanno abbastanza potere economico per andare a vederlo. Non è solo il caso dei Cccp ovviamente, anche il concerto dei Rage Against The Machine costava tipo 80 euro l'anno scorso. Per quanto mi riguarda, nel nostro ambiente dell'underground, già 300 persone sono tante. In queste robe troppo grosse l'importanza culturale dell'evento viene completamente fagocitata dagli interessi economici. Poi quelli che non hanno soldi li spendono per un unico evento e per tutto l’anno sono a posto. Allora è meglio farne pochi, piccoli e tanti. L'essere umano ha bisogno di ballare, ha bisogno di stare bene. La musica è una cosa che aggrega, che rende felici, che crea quel necessario momento in cui si sta insieme.
E come la vedi la conversione della musica allo streaming?
Il problema è la difesa della cultura materiale. È un discorso un po' difficile, in Francia ci sono diversi movimenti che ci stanno ragionando sopra, anche un po' in Germania, mentre qui in Italia nessuno ne parla. La cultura materiale è fondamentale soprattutto per i ragazzi, che di solito hanno bisogno di feticci, di un disco da guardare e riguardare, da ascoltare più volte. Così sei concentrato su quello e finalmente capisci che cosa è l'arte. Questa frenesia da Spotify non la capisco. Io avevo comprato il disco di London Calling dei Clash quando è uscito, era come un totem magico che mi portavo sul comodino. Quando mi svegliavo era la prima cosa che avevo in mente. Su questi temi sarebbe da fare delle battaglie, anche perché quando vedi qualcuno con il tuo stesso disco ti senti immediatamente suo fratello. Basta anche vedere la questione della Techno come si è evoluta.
Cosa intendi?
La Techno l'hanno inventata i neri a Detroit, ma poi chi ci ha fatto i soldi? I bianchi. Per questo i gruppi alternativi si sono inventati di fare negozietti che vendevano solo il loro materiale, un circuito parallelo che funzionava perché comunque c'erano le giovani generazioni che tenevano alla cultura materiale. Ora ci sono dj che vengono pagati un milione a serata e che fanno la stessa musica Detroit style.