Per chi ha vissuto Londra alla fine degli anni Settanta, i Sex Pistols, le follie e i divieti che venivano imposti, il punk di oggi è come cibo masticato. Un richiamo, al massimo, lo possiamo vedere nella moda, ma la musica ha perso quel potere sovversivo che il punk, invece, si portava dietro. “La musica ormai è solo una colonna sonora”: a dirlo è Glezös. Autore, produttore e manager ha ancora voglia di definirsi punk, nonostante il termine sia fin troppo inflazionato. Questa definizione (anche se, per il punk, parlare di definizioni è quasi una contraddizione) non può applicarsi ai Cccp, che torneranno a Bologna per un concerto il prossimo maggio: “Cinquanta euro per il biglietto? Non ci trovo niente di scandaloso”. Questo fa già scandalo: davvero non c’è niente di strano per un gruppo con quella storia? La risposta, però, è semplice: “I Cccp punk non lo sono mai stati”. Insomma, anche loro hanno fatto parte, fin dall’inizio, dell’establishment musicale. Derivazioni della stressa logica sono, poi, le “svolte” di Giovanni Lindo Ferretti: la vicinanza a Giorgia Meloni, la voglia di reunion e le parole di apprezzamento per Benedetto XVI. “Sono le diverse fasi della propaganda. È ovvio che senza scalini di lancio la reunion non avrebbe avuto questo appeal”. Non solo, però, Cccp. Nell’intervista abbiamo parlato dei Maneskin (“Sono bravi, ma…”) e di cinema, uno di quei “luoghi” dove i germi del punk si nascondono.
Glezös, cosa pensi dei Cccp che tornano a Bologna con un concerto in piazza Maggiore e un biglietto da cinquanta euro?
Mi risulta che abbiano fatto 8500 biglietti. Io, francamente, non credo che il problema sia il prezzo. Eticamente sembra una cosa scandalosa, io, però, faccio fatica a ritenerlo scandaloso di per sé, perché sono i concerti che costano tanto. Non vedo una gran differenza, se non a livello meramente minimo ed etico, tra una piazza e un palasport o qualsiasi posto dove suoni. Per esempio, quando vai a Lucca a vedere i Rolling Stones i prezzi sono molto più alti. Detto questo sicuramente conta anche il fatto che sono i Cccp. Non lo trovo una cosa per cui strappasi i capelli, come vedo fare da miei conoscenti. Anche perché se la gente ha tirato fuori questi soldi subito e in pochissimo tempo hanno bruciato i biglietti, la protesta è venuta in secondo piano rispetto alla voglia di esserci.
Però il punk quando è nato andava contro un certo potere economico.
I Cccp non sono un gruppo punk, è molto semplice. A me ha sempre fatto morire da ridere questa definizione per loro. Il punk è un'altra cosa, ma non è solo per una questione di genere musicale, cioè al connotato stilistico del punk della fine degli anni Settanta. I Cccp sono un gruppo di post-new wave italiana che non c'entra niente con la logica del punk, ma al massimo con quella degli indipendenti italiani pre-punk. Cito Ultima Spiaggia, la cooperativa L'Orchestra, quelle etichette, quelle agenzie che operavano nell'ambito della sinistra extraparlamentare. Mi è sempre sfuggita questa liaison tra i Cccp e il punk.
Questo come si ripercuote sui prezzi?
È un concerto che avviene in una situazione diversa da quella del punk. C'è una gran propaganda intorno a una questione pseudo-ideologica che nel caso dei Cccp secondo me non esiste.
Dei cambi di direzione che ha avuto Giovanni Lindo Ferretti negli ultimi anni, come l’avvicinamento a Giorgia Meloni, cosa pensi?
Non conosco Giovanni Lindo Ferretti di persona, è uno dei pochi che non ho conosciuto. Non so cosa pensi realmente, ma credo che la logica del suo supposto melonismo sia la stessa per cui al concerto che ha fatto a Berlino ha coinvolto Andrea Scanzi. È una voglia di spiazzare, di depistare. Queste cose francamente sono un po’ da vecchi e lasciano il tempo che trovano. Pensiamo alla foto con Giorgia Meloni, che fece così tanto scandalo in tempi in cui la Meloni non era ancora la presidente del Consiglio: io l'ho presa a sorridere. Insomma, nei confronti di Ferretti ho un po’ la reazione che i francesi avevano per Serge Gainsbourg alla fine della carriera. È divertente osservare cosa si inventa Giovanni Lindo Ferretti per prenderti in contropiede. Mi viene sempre in mente una frase che mi disse Nicky Wire dei Manic Street Preachers, quando un giorno gli chiesi cosa ne pensasse di quello che aveva detto Johnny Rotten (cantante dei Sex Pistols, nda), ovvero che Johnny torna sempre utile per una frase sensazionale.
Allargando un po’ il discorso al di là del concerto, c'è chi li ha sempre criticati dicendo che anche la “reunion” è stata fatta come mossa commerciale.
Sono molto perplesso quando sento i Cccp criticati per questo. Premesso che a me non piacciono e non sono mai piaciuti, né loro, né la loro scena, però credo che avrebbero potuto riformarsi molto tempo prima e avrebbero evitato di diffondere questa eco. Il problema semmai è il momento in cui questa cosa succede. Sono rimasto stupito che ciò non sia accaduto prima. La questione non è tanto sottomettersi a delle logiche di marketing. I Cccp possono fare quello che vogliono, ma erano già sottomessi ai tempi in cui erano prodotti dalle multinazionali, cioè da quando Stefano Senardi lavorava con loro. Stiamo parlando del Chris Blackwell italiano, l'establishment discografico intelligente per eccellenza. I Cccp avevano mollato già dall'inizio, perché sono scesi a patti da subito con il mondo del commercio, della discografia.
E qual è il problema del momento in cui questa cosa avviene?
È tremendo secondo me che 8.500 persone vogliono essere presenti in un momento che si annuncia, a suo modo, storico. Questo accade proprio perché adesso non c'è più niente. A parte i Maneskin, La Sad e robe di questo tipo nessun nome chiamerà della gente a livello trasversale generazionalmente. Hai la sensazione che quella dei Cccp sarà l'ultima volta in cui vedrai qualcosa accadere sotto i tuoi occhi che ha le stimmate del prodotto riconosciuto, vintage, serio, che viene da lontano, che ha radici. Nel punk una delle cose essenziali era la novità, era la nuova band, il nuovo gruppo, la nuova idea dell'ex membro dei Sex Pistols, dei The Damned o di Adam and the Ants. Adesso se non vieni da un passato lontano 40 anni non senti quel timbro d'autenticità. Questo è ciò che non è punk: il fatto che per ascoltare un gruppo importante, che ha segnato indubbiamente un'epoca in Italia, al di là del mio gusto personale, siamo costretti ad andare a vedere dei sessantenni.
Che differenza c’è rispetto al passato?
Alla fine degli anni Settanta, ma anche nei primi anni Ottanta, se qualcuno mi avesse detto che dovevo andare a pagare dazio di fronte a una band di sessantenni gli avrei tirato dietro di tutto. Questo secondo me è un po' il punto della vicenda.
Le critiche sono tornate forti perché si sono susseguite un po’ di cose: la reunion, Giorgia Meloni, le frasi di Lindo Ferretti su papa Ratzinger e ora il concerto a Bologna.
Quelli sono le diverse fasi della propaganda. È ovvio che senza scalini di lancio, senza essere sulla rampa di altri argomenti, la reunion non avrebbe avuto questo appeal. Non sarebbe così notiziabile, come si dice in gergo. Poi, in verità, non c'era neanche bisogno di polemiche. A me sembra un po’ gestita da vecchi questa cosa, e lo dice un vecchio, perché io non voglio sembrare giovane a tutti i costi. Trovo però molto preoccupante il modo di porsi e mi conferma quello che dicevo all’inizio. C’è chi vede un tradimento dei Cccp, ma in realtà questo non c’è stato, perché loro quei valori e quelle logiche le hanno sposate sempre.
Ora che la musica è quasi del tutto gratis, e quindi non c’è un limite economico da abbattere, può comunque essere punk?
Il punk esiste, ma non nella musica. La musica è soltanto un passatempo, non è più rilevante. Una delle cose che ha contraddistinto la mia epoca è un'assoluta trasversalità. Non c'era solo la musica. È chiaro che una volta che sei alla musica liquida 5.0 il discorso del potere economico non regge più. I punk non se la prendono con il proprietario di Spotify. Se la prendevano con la Emi, con le case discografiche, con le multinazionali, mentre adesso non puoi neanche più chiamarle così. Quindi il problema musica è messo da parte. La musica è solo una colonna sonora, non è più importante. Potremmo fare un confronto su cosa vuol dire essere punk su tutto il resto, su tutto ciò che ha fatto del punk un fenomeno trasversale. Noi all'epoca ci siamo sentiti dire che eravamo fascisti da tutte le parti. Spero che queste cose siano cambiate, ma la partita non si gioca più sul tavolo della musica.
Dove si possono trovare dei germi del punk di cui parli?
Probabilmente in un certo tipo di cinematografia. Dipende molto dal regista, non è neanche una questione di cinema indipendente.
Un paio di nomi?
Mi è piaciuto molto Jonathan Glazer, che ho avuto anche la fortuna di conoscere. A me piaceva molto agli inizi, quando si occupava ancora di pubblicità. Mi aveva sconvolto la vita. Ci sono poi soggetti come Guy Ritchie che ci hanno provato. Sarebbe interessante scavare un po' nel profondo delle produzioni, di quelle fatte con niente. Io in questo devo dire che da un po' di tempo ho perso contatti, non sono più tanto ferrato. In generale però la scrittura, essendo trasversale, fornisce un metodo e un mezzo facile. Come si diceva, non costa niente prendere una risma di carta. Se vogliamo fare un film, al di là di farlo con l'iPhone, è sempre un po' più problematica la cosa, anche come distribuzione. Anche del costume in generale qualcosa si potrebbe dire.
La moda come la vedi?
Io sono sempre stato molto attento ai trend, al vestiario e al mondo del fashion. Lì c'è stata un'onda lunghissima che è arrivata fino a pochi anni fa, che veniva da Vivienne Westwood, Malcolm McLaren, cose che si vedono tanto ancora tanto. Oggi in ogni campo se passi per eccentrico tirano fuori la parola punk prima o poi.
Questo cosa ci dice?
Noi abbiamo vissuto epoche in cui dopo il punk ci sono stati tanti trend che sono stati dati per trasversali. Basti pensare al grunge. Quando c'è una cosa che ti rimanda al passato e ti rimanda a uno stile un po' antagonistico, fuori dalle righe, underground, non senti dire è il nuovo grunge. Senti sempre dire che è il nuovo punk. Persino della emo trap e dell’hip hop lo hanno detto.
Per tornare al cinema: forse uno dei nomi potrebbe essere il Danny Boyle di Trainspotting.
Sì, ma tutti hanno avuto un imbastardimento col punk, tutti hanno cercato di mettere qualcosa di punk in quello che facevano. Tutto quello che è successo dopo mira comunque al passato. Il grunge, per rimanere lì, sicuramente ha una connessione con il punk, ma di fatto stai sentendo un rimasticamento di una sorta di hard rock e di un immaginario che col punk non c'entra proprio niente. Quando mi chiedono perché mi definisco ancora punk rispondo che lo sono sempre stato, il punk ha permesso che mi facessi una cultura. Era talmente trasversale che ho avuto libri da leggere, mi sono accostato alla letteratura, al cinema e all'arte attraverso. Attenzione, il punk non è punk rock.
I Maneskin sono un po' forse l'emblema di questa diramazione. Tu hai detto che il punk è anche ricerca di qualcosa di nuovo: una mossa punk che potrebbe fare Damiano è la carriera da solista?
Sì, molto probabilmente. I Maneskin a me non piacciono, ma non voglio fare la figura del vecchio che si adegua ai tempi e trova dei lati positivi. Ovviamente i Maneskin sono bravi, fanno bene quello che fanno, però devo dire una cosa: io sono cresciuto da ragazzino con il glam rock, ed era la mia musica. Sono stato tirato su tra il glam rock, Iggy Pop e gli Stooges. Quindi sarei ipocrita a dire che sono fantastici. Ci vedo più una glorificazione di uno certo stile alla Velvet Goldmine (film di Todd Haynes del 1988 che tratta della storia del glam rock, nda), un certo tipo di glitter come immagine più che come musica. Lì dentro di rock'n'roll ce n'è proprio poco. Quello che fanno i Maneskin è più un rock anni Sessanta o Settanta rimasticato. Sono convinto che i Maneskin siano un esperimento per un certo tipo di management, non soltanto italiano, che ha tastato il polso sulle tecniche attuali di veicolazione della musica.
Quando hanno chiesto a Morgan se i Maneskin fossero bravi lui ha risposto dicendo che si vestono bene.
Sì, capisco. Sentendo quello che intende lui è una battuta molto buffa. In un certo senso è vero, ha ragione Morgan. Però tutto questo non significa che non abbiano pertinenza in questo momento, anche se a me non dicono nulla. Io trovo patetici molti, che purtroppo conosco anche nell'ambiente musicale, di nomi anche grossi, che elogiano i Maneskin in pubblico parlandone malissimo in privato, come ovviamente succede sempre, per fare i vecchi che si adeguano.
Torniamo lì, ai “vecchi”.
Non c'è niente di peggio del vecchio rocker secondo me. Non c'è niente di più patetico del vecchio rocker. Quando noi siamo diventati punk ed eravamo dei ragazzini gasatissimi, c'erano questi vecchi che ci venivano a dire che non avevamo visto i Rolling Stones: ma chi se ne fotteva dei Rolling Stones! Cioè tu compravi i giornali inglesi per vedere cos’era successo in settimana ai Sex Pistols. Era un tale giallo su di loro che ogni giorno ce n'era una, tra divieti e arresti. Se vieni da una cosa del genere, dopo hai visto solo dei revival. La cosa che mi viene da dire è: venite fuori con qualcosa che non c'è stato prima.
Quando parlavi dei vecchi rocker il pensiero è andato a John Taylor dei Duran Duran che ha definito Victoria De Angelis la più grande bassista in circolazione: quindi un po' si è riciclato anche lui, no?
Sì, poi lui è quello che a Red Ronnie disse di non sapere che corde utilizzava per il basso, ma di sapere benissimo che camicia stava indossando. Questo dice molto di come suona il basso. Tra Victoria e lui, credo che suoni davvero meglio lei.
C’è da dire che se una generazione deve imporre il proprio stile non può neanche chiedere la “consulenza” a quelli che sono venuti prima.
Ma certamente. Cioè, meno pedaggi paghi, meno omaggi fai e meglio è. Per me è stato tremendo vedere i Maneskin con Iggy Pop. Ma cosa ve ne frega? Andate da soli. Che cazzo ve ne frega di fare le foto con Mick Jagger? Deve essere un vecchio bavoso per voi.