Nel 2023 Lucia Tozzi, giornalista ed esperta di politiche urbane, scrive e fa uscire L’invenzione di Milano (Cronopio), un libricino che mette in discussione il modello di sviluppo e di comunicazione urbana che aveva contraddistinto il capoluogo lombardo dal periodo pre-Expo fino alla pandemia. Il saggio è un successo: per avere un’idea basta fare un giro sul sito del Sistema Bibliotecario di Milano che ne possiede ventiquattro copie, tutte già in prestito con diciannove prenotazioni in coda. Nel suo libro Lucia Tozzi evidenzia le contraddizioni di una città che da tempo aveva abbandonato il paradigma produttivo per riversarsi su un modello legato ai servizi, con il conseguente rigonfiamento della macchina comunicativa. Della stessa macchina, Napoli, città d’origine della Tozzi, non sembra averne avuto bisogno. La cresta dell’onda sulla quale la città naviga già da alcuni anni è un fenomeno che ha avuto bisogno di molta meno organizzazione. L’invenzione della Nuova Napoli, che aveva già cominciato a ballare sul funky dei Nu Genea e cantava Liberato, porta il dialetto, come mai prima, alle ribalte nazionali e mette in scena Mare Fuori. Nel carcere minorile si balla, si ride, si fa l’amore e ci si tuffa dai tetti, tanto che negli autobus di Milano gli adolescenti ormai si chiamano “fratm” invece che “zio”. Così Geolier arriva in finale a Sanremo e Angelina Mango alza la coppa con un pezzo dove il canto lascia trafelare una evidente cadenza napoletana. Tutti vogliono andare a Napoli, che diventa di moda, esce su Vogue e ospita le sfilate di Dolce e Gabbana che, in tempi non sospetti, già scimmiottava San Gennaro e organizzava sfilate in un centro storico transennato, con buona pace dei non-cool. Nel frattempo il patron di Moncler rileva la storica pizzeria del rione Sanità, Concettina ai tre santi, acquisendone quasi la metà del capitale. La nuova estetica di Napoli, però non è solo pizza, ma un fritto misto di esoterismo, madonne, belle femmine, anni Ottanta, ambientazioni dark, tramonti, paninari, bancarelle e impennate sugli scooter. In una ben consapevole appropriazione estetica le case di moda confinano il popolo a sfondo esotico di shooting e campagne pubblicitarie, nelle quali modellone bionde e brune staccano di diversi centimetri scugnizzi, ed ex galeotti.
Ma di servizi se ne vedono con e senza modelli: fotografie di sottoproletari che si insaponano, giocano a carte e consumano pasti da portata, bruciati dal sole di mezzogiorno. Sulle pelli nere, accartocciate e cosparse di olio abbronzante, spuntano tatuaggi e catenine d’oro. Trucchi pesanti, sigarette in bocca, rotolini e rotoloni di grasso, costumi fluo, rosari e angurie da snocciolare; labbra superiori gonfie di puntura tanto da pensare che, in città, qualche scarparo (ciabattino) sia passato alla medicina estetica. Safari fotografico: in principio furono Sam Gregg, Sam Youkilis e Brett Lloyd. Hanno fatto seguito tutti gli altri. “Ciro è il nome dell’uomo accanto a te alla fermata dell’autobus, è il nome dei bambini che giocano nei vicoli” è il claim promozionale del libro che il fotografo Ciro Pipoli mette in vendita sul suo sito web, in un marketplace che lui chiama “bancarella”. 159 foto, 192 pagine, editore non pervenuto, prezzo 65€. Dentro bagni al mare, santini, il caffè, vecchi, donne e bambini. “Una serie di non-napoletani ha inaugurato un trend e ha avuto il merito di riaccendere l’interesse verso la città anche da parte dei fotografi locali che hanno iniziato a emularli, ma senza un grande sforzo intellettuale, restando in superficie. Non a caso, proprio mentre parlo, qui davanti a me, a Via Caracciolo, alcuni ragazzi stanno fotografando una donna che prende il sole. È un’idea e un’immagine della città molto superficiale, che non lascia molto di più che un post su Instagram e che trova riscontro nel turismo mordi e fuggi e sulle riviste patinate”. A parlare è Roberto Salomone, fotoreporter, nato e cresciuto a Napoli, che nel corso della sua carriera ha dato vita a numerosi reportage internazionali, pubblicati dai media di tutto il mondo.
A pochi metri dalla rotonda dei tuffi inizia la Napoli Bene, la municipalità Chiaia-Posillipo-San Ferdinando dove imprenditori, professionisti e figli di papà si sono auto-confinati. Una comunità, una grande famiglia abitudinaria per la quale “il reddito” (di cittadinanza) è solo dibattito sui giornali. Ma se non fosse per gli studi professionali, tramandati a suon di eredità, il lavoro mancherebbe anche nel quartiere dei ricchi. Il mare non bagna Napoli (Ortese) e questo è vero per tutti, o quasi. La costa napoletana balneabile è per lo più una linea tufacea, frastagliata e impervia, quasi totalmente privatizzata. Le ville di Via Posillipo, circondate da perimetri inespugnabili, sono un tutt’uno con le onde. Abitazioni private, circoli, ristoranti da cerimonia e qualche stabilimento non lasciano uno spiraglio di accesso per chilometri. Tra Riva Fiorita, Marechiaro e la Gaiola dove non ci sono le ville da ricevimento ci sono i complessi residenziali sbarrati dalla guardiania 24h. In questo modo i più fortunati possono limitarsi a guardare il popolo fare il bagno sulle riviste e sui social, tenendolo ben distante dagli scogli migliori. L’hype della città è un bel giro di affari. Per i soliti. In un marasma di vecchi appartamenti e bassi trasformati in b&b, le tasche che si ingrassano sono sempre quelle dei proprietari. Il turismo premia ristorazione e hospitality, tanto che il sindaco Manfredi ha dovuto emettere un’ordinanza per vietare l’apertura di pizzetterie e fast food vari in un centro storico impregnato di frittura. Come sottolinea Sarah Gainsforth, autrice di Airbnb, città merce (DeriveApprodi), “man mano i piccoli host perdono terreno rispetto ai proprietari più grandi (che magari hanno dieci appartamenti), nell’assenza totale di regolamentazione”. Nella Napoli senza servizi i prezzi lievitano e ne risentono le classi meno abbienti. La mobilità privata invade le strade con aberranti ingorghi di auto, per le quali un’assicurazione costa quasi il doppio della media nazionale, mentre il reddito pro capite si ferma a 16mila euro, contro i 55mila di Milano. Camminare a piedi è uno slalom tra tavolini, gabbie di plastica cerata e ombrelloni non coordinati. “Il turismo genera un’economia povera dove, senza meccanismi di distribuzione, i grandi proprietari beneficiano dell’eredità storica e culturale dei luoghi mettendola al servizio del proprio profitto e sovraccaricando i servizi cittadini” continua la Gainsforth. Il salto di qualità arriva con lo Scudetto, quando la città si inchelofana di bianco e azzurro per mezzo di bandiere, striscioni e nastri di plastica che, con il passare del tempo, sono rimasti annodati a pali e ringhiere dei condomìni, provocando anche l’intervento dei Vigili del Fuoco, costretti a intervenire per rimuoverli, dopo che il vento forte li aveva trasformati in fruste impazzite. Alla vigilia dell’evento, che la città aspettava da trent’anni, guardiani di palazzi e giovanotti di quartiere avevano dato vita a diverse collette per vestire propriamente a festa gli edifici della città. Quello di magliette, cappellini e asinelli (contraffatti) è stato un buon affare per le attività criminali. Qualche mese dopo lo Scudetto, la Direzione Distrettuale Antimafia ha fatto arrestare alcuni camorristi, con l'accusa di aver chiesto il pizzo a una bancarella di gadget, gestita da un contrabbandiere di sigarette: teatro nel teatro. Proprio Lucia Tozzi che, oltre a L’Invenzione di Milano ha prodotto il saggio su Napoli, Contro il Panorama (Nottetempo) insiema alla fotografa Giovanna Silva ha provato a inquadrare il capoluogo campano oltre il suo paesaggio, oltre un’oleografia che troppo spesso fa rima con stereotipo. Nelle fotografie della Silva, che ritraggono la città in un’immobilità quasi evanescente, sono accuratamente evitati i murales di Jorit. Le opere di Ciro Cerullo (nome d’arte dello street-artist) - tornato alla ribalta per aver chiesto a Vladimir Putin di farsi fotografare con lui - hanno, nell’ultimo decennio, ridisegnato lo skyline della città.
Attualmente amministrata da Gaetano Manfredi, la Napoli di oggi eredita profondamente gli effetti della governance di Luigi De Magistris (2011-2021) - il quale, dopo aver promesso ogni tipo di rivoluzione e aver invitato l’allora primo ministro Matteo Renzi a “cacarsi sotto” in piena campagna elettorale - ha consegnato il progetto culturale della città al laissez faire dei centri sociali che hanno “liberato” una serie di spazi e li hanno presi sotto la loro gestione. “Saremo secondi solo al Giappone”, si lasciò scappare De Magistris presentando la commessa dei nuovi treni per la metropolitana. Fu il sindaco Maurizio Valenzi a posare la prima pietra del metrò, era il 1976. L’ultima stazione, quella del Duomo, è stata inaugurata nell’agosto del 2021, quarantacinque anni dopo. Le frequenze però, dopo quasi mezzo secolo, non sono ancora a regime. Nell’attesa di altri nuovi convogli, secondo il sito di Anm che gestisce la linea, le attese vanno dai 12 ai 15 minuti. Secondo Lucia Tozzi “il non-fare di De Magistris, frutto della sua incapacità di governare, aveva tenuto aperta per Napoli la possibilità di cambiare rotta per chi sarebbe arrivato dopo di lui. Negli ultimi trent'anni ci hanno presentato il modello iperliberista come l’unico possibile per lo sviluppo urbano, mentre da qualche anno sta montando la critica, il modello sta mostrando i suoi limiti, si ripropongono teorie redistributive, di pianificazione e di controllo pubblico”. Per l’autrice “dove il processo è già avviatissimo, dove i fondi del Qatar, cinesi o americani possiedono già grandi fette di città, dove le fondazioni bancarie fanno e disfano, dove gli studi di avvocati d'affari e le società di consulenza hanno sedi miliardarie, è molto più difficile cambiare paradigma. A Napoli era, e forse è ancora possibile proporre altro, proporre un modello basato sulla produzione, oltre che sulla comunicazione”. Napoli ha costruito spontaneamente negli ultimi anni un’immagine potente, legata a forti simbologie e costruita su figure di raccordo tra sacro e profano, incarnata nel mito di Maradona, volto santo tra gli altri, che domina gigantesco sulle facciate dei palazzi. I partenopei fanno volentieri fronte comune nel proteggere la città dalle critiche, classificandole spesso come fenomeni di invidia e odio razziale. In città è stata anche coniata un’espressione ad-hoc per dare un nome a scritti e opinioni che escono dal perimetro della celebrazione: “sputtanapoli”. Un mare di orgoglio nel quale l’amministrazione De Magistris si tuffò a capofitto, arrivando ad aprire lo sportello Difendi la Città, una sorta di casella postale dove i cittadini potevano inviare segnalazioni per permettere al comune di raccogliere “offese di natura diffamatoria contro Napoli e contro il popolo partenopeo” e di avviare eventuali azioni legali. Sul fronte dei fatti, invece, le periferie versano nell’abbandono e nell’incuria. Dopo più di trent’anni dalla chiusura dell'Italsider di Bagnoli, lo spazio immenso che ospitava la grande macchina siderurgica è ancora quasi totalmente cristallizzato ai giorni in cui le sirene hanno smesso di suonare. Le soluzioni proposte, di amministrazione in amministrazione, di giunta in giunta pescano sempre mito del turismo, del commercio e dell’intrattenimento. Di contro, servizi all’altezza di una metropoli europea sono ancora un miraggio. Nella totale insufficienza di asili nido, le scuole elementari chiudono troppo presto per permettere ai genitori, in particolare alle madri, di gestire senza eccessivo sacrificio economico il compromesso tra famiglia e lavoro. Con la campanella che, tranne in rari casi, suona a ora di pranzo chi non può permettersi un baby-sitter o una scuola privata deve occuparsi di accudire i figli per tutto il resto della giornata. Con la conseguente ricaduta sull'occupazione femminile che a Napoli non arriva al 30%, uno dei dati più bassi dell’intera Europa. Dal Giappone siamo ancora lontani.