La ricerca della visibilità ha sostituito quella che dava il titolo al film di Gabriele Muccino con Will Smith, La ricerca della felicità, trasformando le due cose in sinonimi. Inutile prendersi in giro: apparire è necessario, presenziare su piattaforme e palchi non più l’ornamento di un mestiere, ma una parte fondamentale di ogni impresa. Ma quelle stesse piattaforme garantiscono un tempo limitato di esposizione (gli ormai inflazionatissimi “15 minuti” di Andy Warhol). Forse per questo sono molti gli youtuber o gli influencer che cercano, per vie traverse, di entrare nel mondo del cinema. Come attori, doppiatori (non tutti gradiscono) o, più semplicemente, come ospiti (non meglio identificati) ai grandi festival. L’arte sfugge, o quantomeno rallenta, il processo d’invecchiamento precoce di qualsiasi altro contenuto. C’è chi però ha deciso di fare un percorso inverso, cominciando un movimento opposto alla corrente. Kasia Smutniak ha deciso di smettere di fare l’attrice. “Non voglio più fare l’attrice. Penso sia la decisione più punk che ho preso finora, anche perché l’ho maturata in un momento bellissimo della mia carriera”, ha detto in un’intervista a La Stampa. Sì, ormai il punk non è più la sfida esplicita al buon gusto borghese: questa è ora un’occupazione quotidiana fin troppo diffusa per essere davvero “contro” qualcosa. Punk significa piuttosto sparire, scegliere di non apparire. O almeno ritirarsi dietro a un filtro che non sia il solito piccolo schermo di uno smartphone o di un profilo social. Kasia Smutniak ha già cominciato il suo percorso da regista con Mur: qui il protagonista è, appunto, il muro. Siamo davvero convinti, però, che la sovraesposizione sia il superamento della barriera che divide le stelle dal loro pubblico? Gli “ultra-visibili” dai “mai visti”?
“A un certo punto la realtà che mi circondava, le persone che incontravo, le loro vicende, mi sembravano più interessanti di quelle che mi capitava di interpretare”. Le vite reali, dunque. Il cinema, lo sfarzo delle grandi kermesse, i red carpet: le fondamenta (dimenticate) di tutto ciò sono le storie. “Mi sono chiesta, ma cosa sto raccontando? Come se la realtà avesse superato ogni fantasia, mentre la mia curiosità e la mia passione erano sempre più rivolte verso quello che mi circondava e diventava parte della mia vita”. La vita, di nuovo. Smutniak ha fatto la modella, poi l’attrice e infine, da poco, la regista. Sempre fotografata, filmata, intervistata. E non a caso “Quando ho annunciato in famiglia il mio ‘ritiro’, un termine che, in realtà, mi fa tanto ridere, non ci ha creduto nessuno”. Perché rinunciare a essere visti, in fondo? Stanley Kubrick, J. D. Salinger e i Daft Punk, diceva Jude Law in The Young Pope, sono gli artisti più importanti proprio per le loro vite ritirate. Con Paolo Sorrentino, regista della serie, Smutniak ha lavorato in Loro, dove interpretava l’Ape regina delle feste di Silvio Berlusconi: personaggio, quello di Kira, che vive in una zona limite, stretta tra la necessità di rimanere nascosta e il bisogno di non venire dimenticata. La Kasia Smutniak reale sembra aver deciso da quale parte della linea stare. E lo ha fatto per preservare la sua libertà di artista: “Ho deciso di fermarmi per seguire un puro istinto. Il mio bicchiere si è riempito. Mi sono detta ‘se sei un’artista, devi rischiare di più’, devi seguire l’istinto, senza pensare alle conseguenze”. Ecco la sintesi: chi è sempre apparsa nei film, nelle serie tv, in foto, come modella o attrice, decide di lasciare la recitazione, salvando la sua libertà d’artista. Uscire dal campo visivo (per un po’) e guadagnarsi uno spazio nell’ombra. Per essere, ribadiamo, artista. Ed è l’unico gesto punk che è rimasto da fare.