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Caro sindaco di Roma Gualtieri, non tocchi il Mercato di Porta Portese, ultimo inestimabile fumo di vita. Tra restyling, “banco tipo” e… Ecco cosa potrebbe cambiare

  • di Nicola Vicidomini Nicola Vicidomini

3 novembre 2024

Caro sindaco di Roma Gualtieri, non tocchi il Mercato di Porta Portese, ultimo inestimabile fumo di vita. Tra restyling, “banco tipo” e… Ecco cosa potrebbe cambiare
Il Mercato di Porta Portese è l'appuntamento fisso della domenica per tutti i romani. È un luogo in cui riescono ancora a dialogare i ceti più distanti tra loro: dai mestieranti più disparati, agli artisti con gli svuota cantine, fino agli studenti curiosi e ai signori in giacca e cravatta. Tuttavia, secondo alcune dichiarazioni del Comune di Roma, qualcosa potrebbe cambiare drasticamente...

di Nicola Vicidomini Nicola Vicidomini

Avanza il deserto. Con la sua pretesa d'ordine civile, con l'ottusità di un ragioniere catastale, con la sommarietà di un caporale. Avanza il deserto. Non contemplando alcuna voragine esistenziale, che s'apre via via sul manto stradale. Così, d'echi triviali e innocenti, di voci grevi e necessarie, di beate incoscienze, di empatici sguardi, di catarsi estemporanee, di alterchi grotteschi, di onnipotenze rionali marchiate Ina Casa, di trovarobati alla rinfusa, di polvere dei soffitti, di raggi di sole, non rimarrà più nulla. Porta Portese è ad oggi l'unico altrove che tutto contiene. Esempio assoluto di totale, solidissima, integrazione. Tempo in levare, zona franca ancorata saldamente nel Novecento, dove convivono, comunicano, familiarizzano in nome di un vinile da acquistare o di un pantalone pisciato, i ceti più distanti tra loro, le 'razze' o le etnie culturalmente più differenti, i mestieranti più disparati, gli artisti con gli svuota cantine, i tutori dell'ordine con i ladri. Tutti sulla stessa accidentata, indecorosa, meravigliosa zattera che è l'esistenza. Le miserie claustrali del quotidiano borghese nella sua alienazione non potranno mai condurre a consolidare rapporti più immediati e puri. Il sentimento degli occhi in barba al linguaggio. A Porta Portese ho avuto la fortuna di incontrare quello che considero uno dei miei più cari amici, Francesco Di Iulio, magliaro, con cui ho realizzato in strada le ormai note Aste Pisciate. Sola isola felice della Capitale il Mercato di Porta Portese, non ancora asfaltato dall'omologazione strutturale dilagante, non ancora sterminato dalla straniante alienazione capitalistica che procede a suon - o, più propriamente a tonfi - di standard livellanti, normative razionalizzati. Armi - o alibi - queste, la cui unica - indichiarabile - funzione sarebbe la pura espropriazione. Ipoteca fascista sull'umano, sulla storia, sui sentimenti antichi, su tradizioni che affondano le radici in un mistero che ci segue e ci precede, sulla disperazione e sulla gioia di borgata. L'unico grande mercato europeo di tradizione la cui schiettezza, sincerità sono in grado di dispiegarsi in inimitabili declinazioni estetiche, la cui dominante è Poesia pura. Porta Portese, è ruggine d'ogni tempo, profumo di cantine rimaste chiuse per mezzo secolo, un viaggio per microcosmi che si susseguono in  un unico sogno.

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Mercato di Porta Portese
https://mowmag-store.myspreadshop.it/

A quanto pare, ancora per poco. Come recita Il Messaggero in un articolo del 16 Maggio 2024, sarebbe “pronto il 'restyling'” - e già l'americanismo espropriante incute terrore - del mercato domenicale. Riporto testualmente le dichiarazioni della vicepresidente del municipio XII: “Stiamo lavorando da mesi per la riqualificazione del mercato. Siamo nella fase di progettazione cui poi seguiranno il confronto con la Soprintendenza e il Campidoglio, quindi le categorie. E per inizio anno contiamo di aver riformato il mercato”. Cosí come quelle dell'architetto Scarchilli: “Stiamo lavorando alla sistemazione urbana dei banchi, al nuovo modello di banco tipo, al logo del mercato (...) alla collocazione dei punti di ristoro (...) Il tutto, rispettando i distanziamenti dalle aree di pregio come la stessa Porta Portese”. Di seguito, recita orrendamente lo stesso articolo, quanto la prima grande, rivoluzionaria novità sarebbe un cosiddetto “banco tipo”. “Un banco, uguale per tutti, con dimensioni standard che evitino l’effetto patchwork di banchi piccoli quasi fagocitati da altri molto più grandi. Banco per di più riconoscibile perché uguale per tutti. E riconoscibile soprattutto per i vigili urbani: ogni banco sarà semplice, con una sorta di gazebo, sul quale l’idea del Municipio è quella di inserire un logo del mercato a fianco a quello del Comune di Roma e al numero della concessione dell’operatore. Questo faciliterà i controlli. Così come la decisione di numerare ed 'etichettare' le postazioni che, quindi, risulteranno assegnate una volta per tutte. E che saranno per di più ben delimitate per evitare il furbetto dell’ultimo minuto che aggiunge banchi supplementari o che occupa più spazio del concesso con gli stand”. “Standard, enumerare, etichettare, riconoscibile evitare il furbetto dell'ultimo minuto”. Parole e concetti che suonerebbero inappropriati  persino nel peggiore riformatorio prebellico. E poi, un logo, che dovrebbe sintetizzare schematicamente questo ennesimo attentato alla vita per mano di un'autorità ignorante e analfabeta. Pianificazioni comunali senza alcuna profondità esistenziale, culturale e contezza estetica, nemiche di integrazione e condivisione, argini relazionali, in morte delle differenze. Il vostro ordine asettico, sterile illuminato al neon, il bianco insipido di banchi uniformi, tutti uguali e puliti sono degni del piú tragico epilogo Kubrickiano, senza alcuna speranza di recupero. Tra questo ordine e la poesia, popolo del mercato, incazzati e invoca a gran voce la poesia, costasse il caos! La lirica salva. L'ordine ottuso uccide. Anatema cadrà su chi sta pianificando tali operazioni o più semplicemente se ne sta rendendo complice, provocando in futuro la distruzione di una importante dimensione estetica da salvaguardare nella sua verità e l'abbandono graduale nel giro di pochi anni della storica area, che rimarrà deserta. La si consideri pure una profezia. Beati i Francesi che da parecchio hanno compreso profondamente quanto sia un delitto rinnovare bar e i bistrot, è necessario invece preservarli esteticamente, come s'opra nel restauro di un classico, mantenendo intatti i connotati, inalterata la genetica, potenziandone l'unicità estetica, affinché rappresentino sempre una pausa religiosa, un salto fuori dalla dittatura del tempo e dello spazio. Gradirei si pronunciassero a riguardo anche artisti e intellettuali che, come il sottoscritto, la domenica frequentano abbastanza  assiduamente il Mercato. Mi vengono in mente gli amici Fulvio Abbate, Bruno Colella, Tony Esposito, Salvatore Sansone, Bruno Di Marino, Francesco Scimemi e altri ancora (se ho dimenticato qualcuno, vi prego, aggiungetevi senza remora). Porta Portese è aria e stanno tentando di togliercela. Gualtieri, per pietà, non smarrisca le sue radici politiche, almeno stavolta. Mi auguro che Nicolini le venga in sogno. Il Mercato di Porta Portese, a fronte della mortuaria e standardizzata, sdradicante idea di riqualificante civilizzazione, è un ultimo, inestimabile fumo di vita.

Mercato di Porta Portese
Porta Portese
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