Sono stato nel quartiere Mataderos ai confini della città di Buenos Aires invitato da Faucundo e Veronica, una coppia di tangheri conosciuti alle lezioni di tango milonguero impartite della leggendaria maestra Shapira che insegna al Marabù, luogo storico del tango porteno tutti i venerdì sera. Al barrio mataderos ho assaggiato alcune leccornie e delizie che aggiungerò al mio atlante personale del gusto in fase di completamento. Un luogo che ho capito essere cerniera tra il mondo della città e la cultura gaucha, ovvero dei mandriani della pampas (pianure) argentine. I cowboys sudamericani, mitologici anche qui. Quelli che hanno dato il nome al mio sogno irrealizzato fin da quando ero bambino di possedere una di quelle Pegperego Gaucho, piccola gip per piccoli idioti come me assuefatti dalla tv, pubblicizzata nei canali di Berlusconi tra un cartone e l'altro che ci facevano sognare assieme a Emilio il Meglio e alla fabbrica dei mostri. Puliamo questo ricordo consumistico con un breve excursus storico. Nel XIX secolo, il quartiere era conosciuto come "Nueva Chicago", per la sua somiglianza con la città americana caratterizzata dall'industria della carne. All'inizio del XX secolo, cambiò il suo nome nell'attuale "Mataderos" e la sua fisionomia subì modifiche, ma senza perdere la caratteristica di riunire gente di campagna, cantanti di payada (uno stile di canto poetico improvvisato), negozi di generi alimentari e persino figure di spicco della politica argentina. Il 14 aprile 1889 fu posta la prima pietra dei nuovi macelli, destinati a sostituire i tradizionali Corrales Viejos situati nella zona del Parque de los Patricios. Fu intorno a queste nuove strutture che iniziò a svilupparsi il quartiere, il cui sostentamento dipendeva dalla nuova fonte di lavoro: la carne. Così il quartiere crebbe, e la sua denominazione tradizionale, Mataderos (mattatoio), si impose definitivamente nella toponomastica di Buenos Aires. Se dell'Argentina si dice si mangi buona carne è dovuto anche a luoghi come questo quartiere. Ormai il macello è stato dismesso dal 1981 tuttavia conserva ancora la sua potenza immaginifica grazie all'imponente struttura riconvertita a piazza cittadina centro culturale, oltre alla sua feria (festa) domenicale alla quale ho partecipato con Facundo e Veronica che mi hanno fatto da guide anche per scegliere i migliori spot dove mangiare.
Dopo la lezione mi si avvicina Facundo che ha vissuto e lavorato in Italia diversi anni, parla un perfetto italiano ed è tornato in Argentina per ballare il tango dopo aver sentito una forte nostalgia da alcune canzoni sentite dalla radio di un suo amico appassionato di tango. Balla da quattro anni ma è stata l’Italia in qualche modo a fargli amare dalla distanza il ballo milonguero! Ed è tornato, per questo e anche per il Covid. Mi dice che lui vive in un posto dove ogni domenica c’è una festa di quartiere, dove si mangiano cose buonissime e mi convince. Allora ho colto l’invito e dopo un paio di settimane eccomi qui. A mataderos, paradiso ‘’criollo’’ cioè meticcio, dove la cultura argentina si è intensificata dividendosi cioè da quella prettamente di origine europea, dove insomma gli argentini si sono fatti argentini. Veniamo col tassista che sbaglia strada, forse si è distratto parlandoci dei quartieri che tra un semaforo e l'altro attraversavamo, indicandoci quelli che non si potevano frequentare senza una guida locale, che ci avrebbero pelato addirittura mostrandoci il coltello. Ho evitato di parlare di ristoranti questa volta, ultimamente quando chiedo consigli su dove mangiare ai tassisti, che rinomatamente ne sanno più di tutti, ricevo delle risposte un po’ cupe, non tutti si possono permettere di mangiare fuori oggi giorno. La crisi dei prezzi è palpabile a tal punto che persino noi europei la sentiamo. Ti consigliano i ristoranti dei turisti, ormai, pochi hanno un loro ristorante, semmai per mangiare fuori vanno appunto alle ferie dove costa un po' meno. Per arrivare a Mataderos abbiamo percorso tutta la città, ma avvicinandoci il quartiere si fa riconoscere subito per via dei i tifosi del ‘’Nueva Chicago’’ che affollano le strade mangiando panchos e bevendo birre ad ogni angolo prima della partita, con le loro maglie neroverdi tipo il Venezia Mestre prima dell’Unione. Scendiamo poco distante dalla statua del gaucho a cavallo, il monumento centrale del quartiere che troneggia sulla piazza dove centinaia di persone stanno ballando sotto un palco da cui proviene ogni tipo di musica folkloristica: tango, cacharera, e altri balli che identificherò col tempo, rigorosamente suonato dal vivo con l'orchestra. C’è anche un presentatore con il fazzoletto al collo rosso, da mandriano, che coinvolge tutti a gran voce, mi spiega Facundo che è una cosa tradizionale almeno quanto questi lacci di cuoio che terminano con delle palle durissime esposti nelle bancarelle che delimitano la via pedonale, sono bolas per cacciare i Nandù selvatici, enormi uccelli tipo struzzi. Il luogo in generale mi appare festante ma anche cruento, dove balliamo e mangiamo infatti più di 8000 capi di bestiame al giorno venivano scelti e macellati o acquistati per l'allevamento, esclusivamente brado nelle pianure. Ad un certo punto mi ritrovo vestito da gaucho con un coltello in mano e mi insegnano come usarlo per sventrare una mucca. Sono entrato in un negozio di paramenti per gauchos, vendono bellissimi poncho che sono unisex mi dicono mentre le mantelle sono il vestito delle signore mandriane. Scopro segreti che terrò sempre per me, tecniche di accoltellamento efficaci. Poi siamo stati al museo della storia criolla, Facundo ci ha presentato il direttore che ci ha portati a fare una breve ma chiarissima visita, il mio spagnolo migliora ogni giorno. Sono rimasto affascinato dai carretti, che avevano un sistema di allarme per avvisare in caso di pericolo, con un bastone e una campana e un sistema di suoni semplice e collaudato: tre rintocchi voleva dire che arrivavano i ladroni. Carri enormi trainati da buoi enormi con carichi pesantissimi, avevano una cucina interna per mangiare e bere il mate caldo, ogni cosa era fatta in cuoio infatti ci spiega il direttore del museo il signor Falco in questa intervista che a sbobinerò presto, le mucche servivano soprattutto per la pelle! Con il cuoio infatti facevano tutto, dai vestiti alle borse alle corde. Soltanto dopo e per non buttare via niente, è arrivata la passione per la carne di vacca.
Concludiamo la visita nella ‘’pulperia’’ interna al museo dove un payador stava cantando le sue canzoni improvvisate davanti ai clienti: due cose la pulperia è un ristorante tipico spagnolo, della Galizia, qui però è arrivato solo il nome perché non ci sono i polpi. Questo è un esempio di ‘’criollo’’. Personalità locale, nome europeo. Seconda cosa, che scoperta la figura del Payador! In pratica come i tenore sardi che sono patrimonio dell’UNESCO i payadores improvvisano canzoni con metriche orali, ho intervistato anche lui, Jose, sbobinerò un domani, dico solo che sono proprio contento e penso che farò delle ricerche su questa figura. Nella pulperia dentro il museo c’era una stalla, e dentro la stalla c’era un cavallo di nome Arturo, di proprietà di Falco direttore del mueseo. Tutto questo è incredibile. Successivamente ci rifugiamo in un bar Notable, che sono i bar argentini preservati per il loro valore culturale e sociale: belli ma costa tutto di più. Bevuta una birra passiamo subito al mangiare. Finalmente. Facundo ci porta in due banchetti con le nonne che preparano empanadas fritte: vestite in bianco le nonne immergono una ad una le piccole preparazioni ripiene, ho gradito la dolcezza dei ripieni con carne aumada e choclo. Ma avrei preferito fossero più salate, troppo dolci. Invece oltre a un paninazzo con la bondiola dalla difficile ma soddisfacente masticazione acquistato davanti a una enorme griglia in cui sfrigolavano pezzi enormi di carne, sono rimasto stupito dal tamales. Mangiato per la prima volta proprio lì. Una specie di polenta, farina di mais cotta con un ripieno di carne di maiale e spezie, racchiusa in foglie di pannocchia (o come si chiamamano) a dare una forma di regaletto, chiuso con lo spago. Bello doverlo scartare e mangiarne il contenuto con la forchetta. Tornando siamo stati ad una milonga dí quartiere di cui forse parlerò più avanti, e abbiamo concluso la giornata come i veri argentini, sorseggiando mate caldissimo accompagnato con dolcissimi alfajores. Tutto bellissimo qui. Finisco così questo reportage, se sei arrivato fino alla fine, cioè qui, sei un/a grande: dscrivimi in privato per dirmelo che ho un regalo per te. Se sei mia madre o parente fallo scomunque. Grazie.