Siamo a Marina di Modica, in Sicilia. Tra un lido e l'altro emerge un ristorante, il "Corallo", guidato da uno chef che ha avuto fortuna non solo in cucina, ma anche su Instagram e TikTok: Carmelo Ferreri. Personalità curiosa (elemento essenziale per emergere online, d’altronde), con i suoi simpatici baffi da marinaio, pubblica video in cui cucina i suoi piatti, soprattutto a base di pesce. Ma quando si raggiungono certi numeri, è inevitabile che arrivi quel momento — un po’ come un battesimo — in cui le critiche superano gli elogi, fino a diventare un vero e proprio caso social. Questa volta, nel mirino, c’è un video in cui lo chef prepara uno spaghettone all’aragosta, descritto come “il nostro primo più richiesto”. Ora: chi conosce la cucina sa bene come funziona la cottura delle aragoste. In questo video, l’aragosta è viva e viene poi uccisa, come si vede chiaramente, e cotta su una brace bollente. Sicuramente non uno spettacolo piacevole. Non per chi ama gli animali, almeno. Il cuoco è stato inondato di critiche, e la domanda sorge spontanea: chi commenta, le aragoste le mangia? O meglio: chi critica, gli animali li mangia? Perché è difficile credere che tutte le accuse siano arrivate solo da chi dona il proprio 5x1000 ad Animal Equality o da chi ha realmente scelto una dieta senza prodotti animali. Se è il piatto più richiesto, evidentemente c’è gente che lo mangia. Dunque, lo chef lo cucina così perché così viene richiesto. La morale, però, non può arrivare da chi è seduto sul divano a mangiare un panino al prosciutto. Un prosciutto ottenuto in maniera altrettanto brutale, con maiali ammassati negli allevamenti intensivi, cresciuti in spazi così ridotti da essere schiacciati dalla madre, mutilati da cuccioli senza anestesia e poi macellati.
Oppure da chi consuma pollo, ignorando che una sorte altrettanto crudele tocca anche alle galline allevate in capannoni sovraffollati. Avete visto Food For Profit, il documentario di Giulia Innocenzi? Stesso discorso vale per la pesca intensiva. La verità è che gli animali “vanno bene” nel piatto, ma non bisogna vedere cosa c’è dietro: come vengono allevati, trasportati o uccisi. Ed è proprio questa mancanza di consapevolezza — e a volte di volontà di informarsi — a generare indignazioni ipocrite. Lo chef è stato accusato di maltrattamento da chi veramente si impegna per il benessere animale? Da chi, vedendo cosa accade negli allevamenti intensivi, ha smesso di consumare prodotti animali? O da chi, al ristorante, ordina senza problemi lo spaghettone all’aragosta, facendo finta di non sapere cosa succede in cucina? Questa è dissociazione cognitiva, e vi rende ipocriti. Bisognerebbe iniziare a collegare il piatto alla sofferenza, senza indignarsi se qualcuno — preparando piatti di mare — ve la mostra apertamente. Lo chef non ha tardato a difendersi: “Io non ho maltrattato nessuno, quando si muoveva sulla brace erano solo riflessi del muscolo. Come trattiamo noi la nostra materia prima, ce ne sono pochi in giro”. Il fatto è che lui ha semplicemente svolto il suo lavoro in risposta a una richiesta che le stesse persone continuano ad alimentare. E chi è vegetariano o vegano sa che il modo più coerente per combattere il maltrattamento e l’uccisione degli animali a scopo alimentare è uno: smettere di mangiarli. Ovunque. Senza fare distinzioni.
