Dove c’è Victoria De Angelis è lì la vera “passerella” di questa Milano Fashion Week (intanto è stata avvistata alla cena seduta di Laneus), settimana dove le passerelle certo non mancano, ma non hanno quell’allure: allure ancora tutta da scoprire e raccontare, quella di Victoria, in questo mondo musicale fatto di Spotify, streaming, ascolto usa e getta, che non riesce più a cogliere, se non al livello superficiale del “look”, quanto musica, stile, visione del mondo, Zeitgeist, siano una narrazione che richiede profondità. Ma perché ogni passerella impallidisce al confronto? Iniziamo dall’immaginario danese degli anni Settanta. Insieme al rock, quello vero, era la Scandinavia (dove nel 1971 nasceva Christiania, e porta della musica rock in Europa) la patria di una certa rivoluzione sessuale legata alla musica ma anche alle bobine di otto minuti in cui venivano distribuiti i primi film “hardcore”. Quella sessualità era una “grana”, fatta di vinile e di pellicole in sedici millimetri. Se dovessi fare un esempio è l’immaginario fotografato all’interno della custodia originale del vinile di Hotter Than Hell, 1974, secondo disco in studio dei Kiss (cover nella sua versione originale, ovviamente), dove i corpi avvinghiati delle groupies avevano quei rossi accesi e quei blu che ritrovavamo anche nei film di Russ Meyer. Ecco, quella “grana” lo-fi veniva direttamente dalle pellicole hard (hard movies e hard rock erano le due facce dell’hard) che venivano dalla Danimarca, ed erano i colori dei rossetti e degli ombretti, e dei calzettoni a righe orizzontali che le ragazze solitamente indossavano per dare colore a quella fotografia frettolosa con la quale venivano filmati e che diventarono, insieme all’hard rock, parte dell’immaginario intramontabile di quell’epoca (valvole che sfrigolavano, ombretti che colavano, rossetti sovraesposti, passerelle non depilate come i muri del suono alzati dai Deep Purple).
Per questo motivo quando penso a Damiano mi vengono in mente i Blanki o i Rosi Chemical, mentre se penso a Victoria mi viene in mente Nina Hagen, da cui Victoria ha preso – come citazione epocale e artistica – il nastro isolante a croce per coprire i capezzoli. E per questo motivo, quando sento parlare della eventuale carriera solista di Damiano, urlo tra me e me: “Ma non avete capito nulla! È Victoria che dovrebbe fare una carriera solista!”. Non parlo soltanto di riferimenti quali Kim Gordon, bassista dei Sonic Youth, di Kendra Smith, fondatrice dei Dream Syndacate, di Tracy Wormwoth, ma penso anche a Diamanda Galàs e dei suoi esperimenti con la voce (voce e synth), per arrivare – esageriamo? - a Sting e Paul McCartney, anche loro, fusione, ai tempi, di musica e look, di groupies e sesso tantrico. Perché poi, in fondo, è il basso che “sgrilletta”, con la sua melodia ritmica, e i riff più famosi del rock non sono quelli di chitarra, ma di basso, a iniziare, ovviamente, dall’esplicito “Come together” dei Beatles a “Another one bites the dust” dei Queen a “Black Dog” dei Led Zeppelin o forse meglio dire di John Paul Jones. Per questo Tom Morello (e io sono un fan dei R.A.T.M.) con i Maneskin non ha funzionato: perché non puoi “coprire” Victoria, ma solo “farti coprire” da lei, e in questo senso, esclusivamente musicale, sta anche tutta la sua bisessualità, perché, ripeto, hardcore (si chiamavano così, una volta, i film, diciamo, “espliciti”) e hardrock sono sempre due facce della stessa moneta (riff di basso di Money, Pink Floyd). Per questo, e per tanti altri motivi che per questioni di spazio non possiamo raccontare qui, le passerelle della Milano Fashion Week non possono competere con Victoria: perché quelle sono passerelle della settimana della moda. Mentre Victoria è “la” passerella. Che non passa mai di moda.