In una comunicazione del 29 gennaio, l’esecutivo dell’Unione Europea ha comunicato all’Italia di aver archiviato la notifica sulla proposta di Lollobrigida contro la carne coltivata perché il disegno di legge sarebbe “stato adottato prima della fine del periodo di sospensione previsto da una direttiva europea del 2015”. Per Lollobrigida, invece che una brutta notizia, “la chiusura della procedura significa che questa legge è serenamente in vigore”. Ma ne siamo sicuri? Abbiamo intervistato il critico mascherato, Valerio Massimo Visintin, che ha qualche dubbio in proposito: “Secondo me questa legge non si farà”. Oltre a vietare la produzione e la vendita della carne coltivata in Italia, questa legge dovrebbe vietare l’uso di denominazioni riferite alla carne o ai prodotti a base di carne per alimenti a base vegetale, fenomeno noto come “meat sounding”. Ma è davvero così potente il mercato della carne coltivata? Secondo il critico “non dobbiamo assolutamente sopravvalutarlo, perché per il momento è tutt'altro che vicino alla realizzazione”. Insomma, sembra sia molto rumore per nulla. E se l’Italia avesse altri problemi a cui pensare? La pasta in bianco da ventisei euro a Milano è solo uno dei tanti esempi della contraddizione della ristorazione milanese, che dovrebbe essere – come la città – all’avanguardia anche sul tema della sostenibilità. Al contrario. A partire dal ristorante di Valerio Braschi (vincitore della sesta edizione di Masterchef Italia), Visitin ha notato qualcosa di molto particolare: “Perché devi portarmi un pesce che deve farsi in totale diciottomila chilometri per arrivare sul mio piatto?”.
La legge sulla carne coltivata voluta da Lollobrigida potrebbe essere inapplicabile per via di una formalità legislativa presumibilmente non rispettata nei confronti dell’Ue. Ce lo conferma?
Sì, sembra così. Non entro nel merito dei tecnicismi, ma l’Unione Europea ha risposto che è stato violato un passaggio procedurale, per cui ha bloccato la legge. Credo che questa sia anche una buona scusa per temporeggiare e intanto bloccare questa risposta del governo italiano che è andata contro l’orientamento generale dell’Europa.
Quindi sta dicendo che è stato cercato un cavillo per osteggiare la legge di Lollobrigida?
Io penso che sia così. Per non sbattere la porta in faccia a una legge di uno degli Stati membri, hanno trovato una via alternativa, più diplomatica, ma per ottenere lo stesso risultato. Peraltro, questo non dispiace, da quello che leggevo, neanche allo stesso Lollobrigida, perché lui dice “non hanno bocciato la legge, hanno solo trovato il fatto che abbiamo violato un procedimento; quindi, non sono contro la nostra decisione”. Mi sembra una scelta molto diplomatica che va bene un po’ a tutti.
Ma la legge si farà o no?
Secondo me no. Prima di tutto perché è impossibile bloccare questo progresso tecnologico, soprattutto se si è soli circondati da altre nazioni che la pensano diversamente.
Perché poi il rischio sarebbe quello di importare il medesimo prodotto da altri Paesi?
Esatto, quindi non servirebbe a nulla. È una manovra, quella del governo, per fare cassa di voti in vista delle elezioni.
Ma non è strano vedere sulle nostre tavole qualcosa prodotto artificialmente?
Sì, ma il problema è che queste ritrosie, che in parte sono anche etiche e antropologiche, sono cancellate da problemi più urgenti.
Ovvero?
Il fatto che la carne che noi consumiamo è per più dell’ottanta per cento proveniente da allevamenti intensivi. Questi sono dei metodi intanto disumani per gli animali, ma anche poco salutari per chi consuma quella carne. Ci vorrebbe una rivoluzione culturale per cui tutti dovremmo mangiare meno carne e quindi depotenziare l’industria della carne che non solo non è etica, ma è anche nociva per la salute.
Quant’è potente il mercato della carne coltivata?
Non dobbiamo assolutamente sopravvalutarlo, perché per il momento è tutt’altro che vicino alla realizzazione. Poi costa tantissimo e il processo tecnologico deve ancora avvenire. Nel frattempo, nessuno ha detto niente in merito a delle riproduzioni di carne e di pesce che sono vegetariane e sono vicinissime all’originale.
Lei le ha provate?
Sì, ho mangiato un trancio di salmone che, a occhi chiusi, nemmeno io che sono del settore riconoscerei. Di quel tema lì non si è mai parlato.
Questo rientra nella volontà di contrastare il cosiddetto meat sounding? Possiamo spiegare bene che cos’è?
Sì, anche se ritengo sopravvalutato anche questo aspetto. Si tratta di non chiamare, per esempio, salmone ciò che salmone non è. O non dire hamburger vegetariani, che non si potranno chiamare hamburger, perché questo è un chiaro riferimento a un prodotto che presenta della carne e perciò potenzialmente ingannevole. Anche se io non credo che i consumatori siano così disattenti da confondere un prodotto vegano da un prodotto per onnivori.
Ci sono aziende che parlano di “insalata vegetariana”.
Certo quello è l'uso a casaccio di termini. Ci sono già delle regole che impediscono una cattiva comunicazione rispetto ai prodotti in vendita. Tutto però si scatena intorno alla carne coltivata, perché è un progresso della scienza, se così vogliamo chiamarlo, che stupisce e colpisce le corde più deboli della coscienza umana. Ma ricordiamoci che stiamo parlando anche di uomini che mangiano carne e pesce, che mangiano mammiferi: questo è uno dei temi più scottanti dell’esistenza umana.
Ma cosa c'è dietro il rifiuto della carne coltivata da parte dei cittadini?
C’è un fattore culturale molto radicato proprio nell’antropologia della nostra società. Io, facendo questo lavoro, non posso limitarmi quanto vorrei, ma se potessi mangerei pochissima carne. Anche se poi non so quanto riuscirei a rinunciare ai salumi.
Appunto. Anche arrivando a un prezzo abbordabile non credo che gli italiani cominceranno a mangiare così facilmente la carne coltivata.
Secondo me ci vorrebbero tantissimi anni, talmente tanti che io non credo vedrò questa rivoluzione. È la stessa cosa che succede per gli insetti: quando potranno essere mangiati ufficialmente non credo proprio che tutti si faranno delle scorpacciate di insetti. Tra l’altro gli insetti sembrano essere sospetti portatori di batteri. Per cui potrebbe essere un cibo tutt’altro che sano.
L’azienda Nutrisect, leader italiana per la produzione della farina di grillo può già commercializzare questo nuovo prodotto. Ma quanto verrà effettivamente utilizzata?
Penso pochissimo. Anche in questo caso, almeno per il momento, ci sono problemi di prezzi. C’è un autore che ha scritto che “l’emozione più forte e invincibile nell'uomo è il disgusto” ed è verissimo. Io stesso non riuscirei a mangiare uno scarafaggio. Un conto è la farina, ma mettere in bocca un insetto mi farebbe veramente schifo, pur essendo abituato a mangiare qualsiasi cosa. Farei molta fatica a superare il disgusto e questo vale per il novanta per cento degli italiani.
Matteo Salvini, in merito alla farina di grillo, si è scagliato contro Masterchef. Ma non potevano evitare di utilizzarla?
Sì, potevano evitare, ma siamo in un mondo in cui tutto diventa notizia e si è sempre alla ricerca di un click in più o di uno spettatore in più. Per cui rientra nella logica della nostra società. Società che a me non piace, perché non ci sono opinioni mediane su questi temi. O si dice sì, è assolutamente necessario introdurre insetti e carne coltivata, oppure si dice un no secco. Si viaggia su due binari che non si incontrano mai, per cui poi scaturiscono le liti. Ma questo è un problema che riguarda ogni aspetto della nostra società.
Non dovrebbe intervenire un po’ più la scienza medica dell’alimentazione su questioni del genere?
Sì, anche se credo che su queste due nuove formule proteiche non ci siano certezze. Ci sono infatti studi molto contrastanti. Poi c’è il peso non irrilevante dell’industria, perché mi ricordo che è già da Expo 2015 che l’industria sta cercando di introdurre gli insetti o il cibo derivato dagli insetti. Questa pressione è sempre più forte, soprattutto nei paesi del Nord Europa. Lo stesso accadrà con la carne coltivata, che ha un difetto evidente, ovvero di essere un prodotto che non potrà rientrare tra quelli artigianali. Sarà sempre un prodotto industriale, con le complicazioni che ciò comporta.
Sta facendo scalpore in queste ore una pasta in bianco che a Milano è stata pagata ventisei euro. Ma com’è possibile?
Il Messaggero ha fatto l’altro giorno un’intervista a Quadrio, lo chef che non lavora più in quel ristorante da mesi, ma la notizia è vecchia di circa un anno. È vero che esiste questo ristorante di Milano che fa pagare la pasta in bianco ventisei euro, che era stata inventata proprio dallo chef Quadrio. Il ristorante si chiama “10_11” ed è all'hotel Portrait. Non è un prezzo così folle, anche se fa impressione perché stiamo parlando di pasta in bianco. Ma in realtà è una pasta anche buona, prodotta da un pastificio artigianale.
Lei ci è andato?
Sì e l’ho anche recensito. Quando sono andato io l’unico piatto decente era quella pasta lì. Poi in questi ristoranti costa tutto tantissimo.
Però stiamo parlando di olio, parmigiano, acqua e pasta. Come fa a dire che non è tanto?
In quei ristoranti un piatto ti costa così. A Milano i ristoranti romani che fanno la pasta cacio e pepe la fanno pagare sedici euro.
Un nome?
Sto controllando al telefono con te, ma “Il marchese” ha tolto i prezzi, così come “Felice al Testaccio” e “Te l’avevo detto”. Questa cosa è molto strana, è assurdo e vergognoso che nel 2024 moltissimi ristoranti non mettano i prezzi sui loro siti. Ma comunque ti posso assicurare che è così.
Una follia milanese in cui lei recentemente è incappato?
La ristorazione milanese è completamente fuori controllo, me ne capitano continuamente. Sono stato da pochissimo al ristorante di Valerio Braschi, che ha vinto Masterchef, e i prezzi sono mostruosi. Tra le cose che mi hanno colpito, però, c’è un pesce che si chiama “Glacier 51” e te ne portano un francobollo e mezzo. Ma la cosa che fa più impressione è che questo è un pesce che vive a duemila metri di profondità e soprattutto si trova in Australia, quindi a 16.000 chilometri da Milano. Perché devi portarmi un pesce che deve farsi in totale 18.000 chilometri per arrivare sul mio piatto? Si parla tanto di sostenibilità, ma questo fatto è una cosa intollerabile.
E il prezzo?
Due francobolli di questo Glacier costano 42 euro. E questo è solo per fare un esempio.
A proposito di ristoranti di alto livello, quello di Carlo Cracco in che condizioni versa?
La sua attività di imprenditore della ristorazione non credo che sia in ripresa, ha comunque molti debiti e periodicamente si dice che lascerà Milano. Ha accumulato tantissimi debiti che in parte lui riesce a tamponare con iniziative extra come quelle televisive o con i grandi catering e cene. Ma quel tipo di ristorazione è sempre in difficoltà.
Cosa vuole dire?
La maggior parte dei ristoranti di altissima fascia sono in perdita e in perdita anche pesante.
E come si mantengono?
Un po’ grazie ai bistrot, che richiamano quella cucina ma un po’ più semplificata. Ma soprattutto grazie a quel contorno, che significa grandi sponsor, come la Lavazza o la Nestlé e la partecipazione a eventi, tra cui quelli televisivi. Con tutto questo indotto riescono a tenere in piedi delle attività che guadagnano pochissimo.
E allora quanto guadagna uno chef stellato?
Una società bolognese ha calcolato quanto guadagnano i ristoranti stellati in Italia e la cifra è di poco più di duemila euro al giorno.
Quindi mi sta dicendo che i grandi chef non vivono del loro vero lavoro, ma della loro immagine?
Esattamente. Questo vale per la maggioranza dei ristoranti di altissima fascia. Vivono un po’ grazie alla moltiplicazione delle insegne e molto per quello che valgono come personaggi pubblici. Lo chef Niederkofler, che ha tre stelle in Alto Adige, è l'uomo immagine della Lavazza. Peccato che la Lavazza sia lo sponsor, per esempio, della guida Michelin. Niederkofler ha chiuso il ristorante dove era prima, in cui aveva tre stelle e poi ne ha aperto un altro. La guida Michelin gli ha ridato le tre stelle anche se il ristorante era appena aperto. La guida Michelin ha dato una stella anche a un ristorante di Milano, sempre sotto l’egida di questo chef.
Che cosa ci vuole dire?
Che questo si chiama conflitto di interessi, perché se hai lo stesso sponsor della guida che ti sta premiando e sei addirittura il principale uomo immagine di quello sponsor, ovvero Lavazza, capisci che non può non esserci conflitto di interessi.
E perché l’associazione italiana consumatori non se ne occupa?
Io l’ho scritto tante volte ma non succede niente, per cui mi viene da pensare che o non è una notizia che interessa molto o che forse è un terreno intoccabile. Soprattutto poi nel mondo della critica gastronomica, perché sono tutti legati tra di loro. La Lavazza e la Nestlé sono i principali sponsor di tutte le manifestazioni che hanno a che fare con l'alta cucina. Anche se fa ridere che la Nestlé sia lo sponsor dell'alta cucina.
Di che manifestazioni in particolare?
Non solo manifestazioni, ma anche di moltissime testate. Se vedi le manifestazioni in cui vengono premiati i pizzaioli, sono sempre sponsorizzate da aziende che producono farina per pizza. Se poi vai a vedere la classifica in cima ci sono proprio quelli che utilizzano la farina che ha sponsorizzato l’evento. Non tutti, perché non sono così ingenui da metterli tutti in cima.
Ci siamo inimicati un po’ di aziende, ne vuole salvare qualcuna?
Senza fare nomi salvo tutte quelle che lavorano seriamente e che sono disposte a fare pubblicità sana attraverso organi di stampa sani e che hanno smesso di investire soldi su influencer o manifestazioni che sono infittite da giganteschi conflitti di interessi. Se tornassimo a investire sull’informazione, come si faceva prima dell’avvento dei social, forse si risolverebbero i giornali, che invece stanno sparendo. L’informazione è fondamentale per la democrazia.
Da critico gastronomico d’eccellenza, qual è stato il record di pasti fuori casa?
Ho fatto trentanove cene fuori consecutive nel 2016, perché avevo una rubrica sul Corriere della Sera quotidiano e quindi dovevo alimentarla con nuove esperienze.