Con l’arrivo delle piogge su tutta la Penisola anche questa grande mamma accogliente che te mena e t’accarezza che è Roma arifiata, ed esala i vapori bollenti di questi ultimi giorni infuocati dai suoi selciati sporchi e sderenati, calpestati quest’anno da orde di turisti in fila alle fontanelle, per non spendere al bar cinque euro a bottiglietta d’acqua. Anche loro sanno che li prendiamo per il naso e si difendono approfittando dell’eredità degli antichi all’Urbe conferita, i numerosi ‘nasoni’ cittadini. Noi, dal canto nostro, invece di approfittare del mare e dei monti attorno alla città - anch’essi eredità dei nostri avi, vista la posizione privilegiata della Città Eterna - abbiamo emulato Selvaggia Lucarelli. Abbiamo fatto un giro in macchina nella periferia romana arsa e polverosa, sulle tracce di uno dei bar in stile Las Vegas più pacchiano che mai, fotografato dall'opinionista: il Big Ben Café. La Lucarelli infatti, forse di ritorno da una vacanza, trovandosi a percorrere questa via consolare antichissima costruita da Marco Valerio Massimo Potito nel 286 a.C. che congiungeva Roma all’antica Tibur – oggi Tivoli - e poi Pescara, deve aver notato il bar che pare uscito da un film di Brian De Palma. Teatro, con ogni probabilità, di estorsioni, sparatorie, adescamenti e prostituzione se fossimo ad Hollywood, appunto.
Il fatto è che sè in epoca imperiale la rete viaria aveva nobili intenti di collegare la grande potenza romana alle province, essendo le strade, le fogne e gli acquedotti il fiore all’occhiello delle skills dei nostri avi, come ci manda a dire il buon Strabone, oggi strade come la Tiburtina ci ricordano più che altro la finaccia che abbiamo fatto, sulla quale ci interroghiamo davvero troppo poco. Sta di fatto che Selvaggia ha immortalato questo esercizio che rifocilla avventori di passaggio, disperati e lavoratori mattinieri situato in zona Settecamini come una cattedrale nel deserto aperta 24 h, sormontato da una riproduzione del Big Ben londinese alquanto vistosa e di questo scatto ha fatto una storia su Instagram. Probabilmente l'opinionista scrittrice reduce dal suo successo letterario "Il vaso di Pandoro", è stata attratta dal decadentismo anche kitsch tipico della nostra sguaiata periferia notando il bar ‘Big Ben’, orgoglio tiburtino, corredando la storia di didascalia "la periferia romana non delude mai". Come darle torto. E comunque noi, avvezzi a girovagare per la Capitale in lungo e in largo, oltre che ad essere intrattenuti dai tafferugli dei vip sulle cronache rosa, siamo andati a vede cosa accidenti succede in quel bar in un mezzogiorno di fuoco romano. I dieci passi verso l’entrata hanno emulato scene californiane da Thelma e Louise che scavalcano il guardrail per avvicinarsi al bancone.
Non è quello del Coyote Ugly, ma quello di un bar italiano con una strana fissa per la Regina Elisabetta riprodotta in tutte le fogge possibili di quadri tarocchi di wharoliana memoria. A destra un frigo a più piani trasparente rinfresca poche torte fosforescenti e accanto resiste proudly qualche slot machine. Poi la cassa incastonata tra la vendita dei gratta e vinci e i tabacchi, a costituire il sogno di svolta di tanti poveracci che si fanno il culo ogni giorno in questa città. Noi ordiniamo cornetto e cappuccio e un caffè che ci tiri su in questa canicola infernale. La porta del bar è aperta sul piazzale polveroso e il caldo entra in grandi lingue di fuoco lambendo i tavolini di formica con la nostra colazione, che non è quella di Palombini all’Eur ma manco del Canaro daa Maiana. Se po’ fa. Chiamiamo la Signora della cassa chiedendo il perché di questa passione per la Perfida Albione e Londinium qui sulla Tibburtinah. "Il mio capo mi manda a dire che non rilascia interviste e non ha intenzione di dichiarare niente. Trova inoltre strano che la Lucarelli abbia fotografato il bar e sta cercando di capire perché" è la risposta sulla difensiva parecchio stranita. Noi non pensiamo che ci siano ragioni particolari per cui la Lucarelli abbia fatto una storia con il bar. Semplicemente perché siamo nella periferia di Roma e c’è un enorme Big Ben fuori sul tetto? Facciamo presente. "Si ma noi siamo qui da diec’anni e comunque non posso dire nulla". "È qui il suo capo?", "si ma non rilascia interviste". Per un attimo abbiamo l’impressione di stare al cospetto di His Majesty the King Carlo di Inghilterra ma poi facciamo notare che non siamo a Buckingham Palace ma sulla Tiburtina. Tutta questa reticenza ci appare esagerata.
Ci sarà qualcosa da nascondere sotto al royal carpet? La signora gira i tacchi e se ne va. Intanto il via vai di "cortigiani" della ridente periferia romana si avvicendano a chiede un cappuccio con poca schiuma e un cornetto e La City nei pressi di Ponte Mammolo è come il famoso cavallo sul balcone del mème di Mouriño, quando venne alla Roma, per pochi minuti... che ce sta a fa? Noi terminiamo la nostra breakfast e ci rimane solo da sfidare questa vita investendo ricchi cinque euro nell’acquisto di un gratta e vinci, chiedendolo alla gentil cassiera, che senza alzare la testa strappa Il Milionario dal rotolo appeso dietro il vetro oscurato da schedine del lotto e ce lo allunga. Noi grattiamo i simboli con il presagio di lasciare le sterpaglie secche della Tiburtina per sempre e salpare verso paradisiache isole dalle acque trasparenti. Sì, un po’ banale come sogno, lo sappiamo. Lasciamo il tavolino con le scritte che riecheggiano di cabine rosse, bus a due piani e Oxford Street per uscire sul bitume riarso, accendere il motore e avviarci verso il Verano. L’estate sta finendo e un anno se ne va, Selvaggia, e al Big Ben bar che ce sei venuta a fa?