Per quanto i romani vedano nel Colosseo l’unica ragione di vivere e nel simulacro dell’Impero – o di ciò che ne rimane – la ragione per gonfiarsi il petto, sentendosi investiti della scintilla divina della Gens Julia, si da il caso che Roma abbia anche altri monumenti. Tralasciando quelli iconici, famosi nel mondo intero e adorati dal turismo, la Città ne ha di preziosi e totalmente disertati dal popolo. Uno tra i vari è il Caffè Greco, il più antico di Roma. Questa vera e propria galleria d’arte ubicata nel cosiddetto Tridente del Centro Storico ne ha viste di tutti i colori e se potesse parlare ne racconterebbe parecchie. Certo il caffè in Italia ebbe vita dura, all’inizio, difficile immaginarlo oggi, che la tazzulella è il punto d’onore del Paese e la gente passa il tempo impegnata in diatribe focose attorno alla questione Illy Vs Starbucks. Come scritto nel magico volume che i custodi del Caffè Greco hanno consegnato a noi di Mow in visita in quella sorta di santuario di Via Condotti, l’avventura del caffè partì nel Quattrocento dal Medioriente, fino alla Grecia e all’Ungheria, per arrivare in occidente nel Seicento. Un ebreo aprì nel 1650 a Roma il primo Caffè in Campo Marzio, ma dovette ahimé chiudere per via del fatto che l’eccitante bevanda era considerata nociva e dunque vietata dalle autorità, e addio primato nostrano. Il caffè fortunatamente riuscì infine ad affermarsi nel 1669 dopo che l’ambasciatore di Maometto IV si recò alla corte del Re Sole, offrendolo alla società parigina nel corso di favolosi ricevimenti. In Italia c’erano le osterie e di caffè nemmeno l’ombra, ancora. A Parigi un siciliano, Francesco Procopio Dei Coltelli, aprì, nel 1686, il primo Caffè in Europa, il leggendario Le Procope, dove si riunivano illuministi , poeti maledetti, rivoluzionari come Voltaire, La Fontaine, Diderot, J.J Rousseau, B. Franklin, Danton, Robespierre, Napoleone, Marat, Balzac, Hugo. Ancora oggi il locale è splendido, con le sue mura nere canna di fucile, finemente decorate e i francesi se la tirano un bel po' quando ne parlano. Fu Procopio, stesso, con i suoi dodici figli, a smentire, tra le varie,l’assurda diceria secondo cui il caffè avrebbe diminuito le capacita virili e procreative del maschio. Contemporaneamente a Le Procope, anche Londra ebbe il suo The Grecian Coffe House, tuttora esistente col nome di De Devereux. Pian piano i caffè si inserirono totalmente nella vita sociale occidentale, affiancandosi ai cabaret e alle osterie. Nel 1720 a Venezia aprì il Florian, sulla splendida Piazza San Marco, che prima si chiamava Alla Venezia Trionfante; con il suoi infissi color carta da zucchero e oro è ancora oggi un vero splendore, dove oggi gli aperitivi costano quaranta euro a cranio. Quarant’anni più tardi, nel 1760, troviamo a Roma le prime notizie del Caffè Greco a Strada Condotti, il cui proprietario era Nicola Di Madalena, levantino e caffettaro, residente e operante con un proprio locale in via Condotti.
Il Caffè Greco iniziò a essere frequentato da artisti e intellettuali. Un alone cosmopolita lo avvolse e divenne il carrefour d’Europa, soprattutto un ritrovo di tedeschi che venivano a fumare, rendendolo un cunicolo annerito e nebbioso. Nelle sale di quella antica bettola fumosa, che aveva qualcosa di intimo e speciale, sedevano Keats, Shelley, Byron, e poi Casanova, Gogol, Silvio Pellico, Massimo D’Azeglio e tante menti eccelse. Pare che di Leopardi e Stendhal non si sapesse nulla, per quanto alloggiassero in quei trecento metri di strada. È proprio qui, in questa celebre via che le dive del cinema e le principesse hanno passeggiato fotografate dai paparazzi, passando dinanzi a questo pezzo di storia incastonato al civico ottantasei, a due passi da Piazza di Spagna. Oggi il bar è ancora colmo di quadri, placchette, stucchi, statue di capri e marmi, in cui sorbire cappuccini al cioccolato e panna, ambrosie e cassis, Pernod e miscele pregiate di caffè con budini di riso, cannoli siciliani e alzatine di panini e calici di prosecchi. Noi abbiamo testato un ottimo cappuccino al cioccolato e panna montata e un calice di crema gelata al caffè, comodi su un divano di velluto vermiglio. Ci ha tenuto d’occhio una statua bronzea de ‘La Pompeiana’, tra estasiati clienti che gustavano piccola pasticceria in finissima porcellana d’epoca dinanzi ad una foto di gruppo di Irving Penn del '48 che ritrae Palazzeschi, Carlo Levi, Petrassi, Flaiano, Vitaliano Brancati, Orson Welles e altri intellettuali. Per noi hanno aperto le sale interdette al pubblico e abbiamo potuto ammirare ogni singola credenza originale e antico suppellettile. I romani generalmente non vanno dove si paghi più di quanto possano pagare altrove la stessa merce, logicamente. Ma lo fanno a scapito della bellezza e della cultura o della conoscenza tout court che potrebbero acquisire, se solo ne capissero il significato. Ed è per questa ragione che questo storico Caffè è quotidianamente gremito da orde di stranieri e non vi si incontra un romano manco per sbaglio. Certo, il Centro generalmente costituisce la trasferta extra e solenne della domenica, per i cittadini, quando tutti i quartieri della Capitale, periferie comprese, vi si riversano in massa intasando l’antica Via Lata, ovvero quel puttanaio dell’attuale Via del Corso che parte da Piazza Venezia - dove si affacciava il Duce fomentando le masse con il mite slogan ‘dobbiamo vincere e vinceremo!’- sino a Piazza del Popolo. Durante il resto della settimana, i romani ivi non residenti, fanno a gara a dire che in Centro non ci vivrebbero, causa il troppo stress. Quindi non si avvicinano. Da qualche anno il mitico Caffè letterario rischia lo sfratto da parte dell’Ospedale Israelitico che ne possiede le mura. In suo soccorso i proprietari degli arredi hanno mobilitato politici e anche Vittorio Sgarbi. Ogni anno è una nuova sfida per tenere in piedi questo pezzo di storia. Ma pare che si sia ultimamente raggiunto un accordo per assicurare lunga vita al Caffè Greco, monumento capitolino. L’augurio è che tutti godano della bellezza e dell’atmosfera che tanto piaceva ai poeti e che il Caffè non faccia la fine di tanti altri pezzi di quella Roma sparita che la rendeva davvero unica al mondo.