Da sempre aleggia nell’aria un mistero della cui soluzione ci si è occupati davvero troppo superficialmente. Stiamo parlando delle famigerate "fettuccine Alfredo", la fantomatica pasta che gli americani considerano piatto tipico italiano, ma che poi non trovano quando vengono a ingozzarsi di mega cappuccini e pizze coperte di spesse coltri di sugo scadente, nelle varie Città d’arte. Anche noi, almeno una volta, ci siamo imbattuti nell’impasse di attribuire una probabile genesi a queste fettuccine da noi inesistenti ma tanto famose in terra yankee a base di panna, aglio, broccoli e pezzi di pollo buttati li ‘ndo cojo cojo. Eppure la soluzione la avevamo sotto gli occhi, proprio a Roma. Noi di MOW, ovviamente, sentivamo l’esigenza di risolvere l’enigma sempiterno e porre fine a questa epopea dei ‘"fettuccinii Alfredo", proposte furbamente agli ignari stranieri come se fossero nostre, da ristoratori bugiardi in numerose dubbie varianti. Ma il bello è che, dopo diverse ricerche, abbiamo scoperto che sono nostre sul serio e vi raccontiamo perché. Astuti come volpi (e pure affamati), ci siamo recati lì dove tutto cominciò, nella prima storica trattoria aperta da Alfredo Di Lelio, tra Rione Campo Marzio e Rione Sant’Eustachio, precisamente in Via della Scrofa al civico 104.
Ad essere precisi abbiamo preventivamente acceso una discussione all’ultimo sangue per decidere se recarci al ristorante Alfredo alla Scrofa o pochi metri più in la, presso la trattoria Il vero Alfredo, visto che entrambi i templi della fettuccina si contendono la paternità del piatto a colpi di burro e formaggio. Chi tra i due millanta di essere l’Alfredo che inventò la pasta che tanto piace agli americani? E che c’azzecca con noi? Stando alla storia, pare che Alfredo cominciò la sua fortuna alla Scrofa nel 1907 e nel ’42, viste le deportazioni, fu costretto a chiudere baracca e burattini e vendere a una coppia di camerieri che ha poi portato avanti la tradizione, per riaprire nel ‘54 in Piazza Augusto Imperatore, presso Il vero Alfredo. Lì ci sarebbero ancora oggi i suoi discendenti. Quindi smentiamo la faccenda della guerra degli Alfredi, visto che entrambi hanno ragione. Qui, in questo tracciato denso di storia tra Piazza Navona e il Pantheon, questo signore baffuto di origine ebraica, da buon romano, pare che preparò delle sontuose fettuccine all’uovo tirate a mano sottilissime, con triplo burro e parmigiano per la moglie costretta a letto debilitata, a causa del parto. La famosa burro e parmigiano che i romani mangiano, insomma, da che mondo e mondo, pensando di stare leggeri. La signora gradì così tanto che suggerì al marito di inserire le fettuccine nel menù del ristorante.
Tutte le nonne romane rimpinzano i nipoti con enormi razioni di pasta al burro, convinte che sia la pozione veloce ed energetica in grado di far guarire da ogni tipo di indisposizione, ignorando candidamente le recenti norme nutrizionali secondo le quali il burro sarebbe eccessivamente ricco di grassi saturi dannosi e il Parmigiano pieno di calorie e proteine di origine animale e quindi bandito, nemmeno fosse veleno. Quando ancora eravamo normali e la vita era più semplice, infatti, nessuno in Patria sognava di filarsi la soia e gli avocadi erano lasciati a marcire sugli alberi, la pasta sfamava le famiglie e il burro e il Parmigiano, almeno a Roma, erano le basi dell’alimentazione. Tornando ad Alfredo, insomma, si narra che le fettuccine piacquero tanto ad una coppia di attori americani in vacanza a pranzo da Alfredo alla Scrofa. La qualità eccellente del burro Occelli e il Parmigiano stagionato ventiquattro mesi, uniti alla sottigliezza della sfoglia delle fettuccine tirate a mano rendono questa umile pastasciutta qualcosa di divino, che impressionò i due al punto tale da diffondere in America la fama dei "fettuccini Alfredo" e dare vita alla leggenda. I due attori erano Douglas Fairbanks e Mary Pickford, che tornati a Roma nel 1927 donarono ad Alfredo le famose posate d’oro con dedica, ‘To Alfredo, the King of the noodles’. Da quel momento orde di divi di Hollywood riempirono le sale della trattoria romana dando inizio alla cerimonia della mantecatura famosa ancora oggi e tappezzando di dediche i muri del salone.
Noi siamo corsi a far visita ad Alfredo nostro, certi di non avere la febbre ma davvero molta fame – questo piatto di pasta in bianco lo spazzoliamo in genere con almeno trentasette gradi di temperatura, a casa -. Il Ristorante è ultracentenario e la classe è la medesima di quella di un tempo. Anche i tavoli apparecchiati sul marciapiede di Via della Scrofa sono esattamente gli stessi dove i divi americani elegantissimi gustavano le specialità romane e le loro foto d’epoca sono ovunque nel locale. In sottofondo suona un charleston e sul parquet scivolano silenziosi camerieri in livrea con vassoi di fettuccine pronte per la mantecatura, davanti agli occhi lucidi degli americani. La faccia da malandrino di Clarke Gable riporta in vita una Prissy che implora di andare da miss Rossella O’Hara, sotto al balcone della locanda di Bella Waitling, la chiacchierata maitresse ‘leale e di buon cuore’ cit. amica del Comandante Butler. Noi già stiamo per esclamare rapiti "domani è un altro giorno!", quando giunge solerte il maître con la pirofila di "Pasta Alfredo" e comincia la mantecatura per evitare che il burro si incolli. Rapiti osserviamo la manovra, consci di vivere un rituale storico, mentre ci narrano la mitica nascita della burro e Parmigiano più famosa del mondo.
Nei pressi Tony Curtis sorride ad Umberto, di li a poco avrebbe indossato i panni del cameriere, ci spiegano, per servire le fettuccine personalmente ai clienti. Siamo in ottima compagnia. Più in là c’è Sophia, già non più Scicolone, che illumina la sala con la sua bellezza di diva maggiorata italiana del dopoguerra. E poi Robert Mitchum, Zsa Zsa Gabor con la pastasciutta in mano, come se non l’avesse davvero mai vista, Bette Davis attorniata dai musici, Brigitte Bardot che spicca come un girasole tra i papaveri, un enigmatico elegantissimo Gary Cooper, Gregory Peck con prole e famiglia, Jimi Hendrix in un contesto per lui assurdo, che osserva perplesso le fettuccine in procinto di calare nel piatto – due mesi più tardi sarebbe morto -. Joan Crowford in tipico atteggiamento da "che fine ha fatto baby Jane", Errol Flynn che mangia la pasta con forchetta e cucchiaio in un vassoio. Insomma, possiamo dire che la burro e Parmigiano l’abbiano davvero assaggiata tutti. Il motivo per cui in America ha preso poi questa deriva grossolana con l’aggiunta di ogni tossica diavoleria, non ci è dato sapere.
I saloni sono letteralmente ricoperti di star, varie altezze reali, la dedica di Ettore Petrolini, Lucia Bosé a bocca spalancata in procinto di gustare le fettuccine, Audrey Hepburn secca allampanata che guarda preoccupata il menù, Ringo Starr con le dita nel naso, Fernandel, Onassis, la Pampanini, folle di americani allegri negli anni cinquanta che gozzovigliano, starlette odierne in quantità, Roberto D’Agostino con le posate d’oro in mano, Paolo Sorrentino, Sandra Milo. Tutto il mondo si è seduto su queste sedie dove oggi noi mangiamo un plebeo, quanto stellato, piatto di burro e Parmigiano ottimo e consolatorio quanto costoso. Tradizione vuole che la signora mangi nel cazzarolone, il piattone grande. Buono a sapersi. Effettivamente sono buonissime. Immaginate la pasta che fate a casa ma con tre volte il burro che usate di solito e di miglior qualità, un Parmigiano lontano anni luce da quello del discount già grattato – assassini!- e le fettuccine sottili come veli di seta. A Roma un cafone qualunque chioserebbe con un soave "e grazie ar cazz*".
Nessun romano infatti si sognerebbe di chiamare "Alfredo" la propria pasta burro e Parmigiano e sicuramente ventidue euro a piatto non li spenderebbe nemmeno se minacciassero di tirare giù lo Stadio Olimpico. Ovviamente bollando come "monnezza" quella che in Usa è fatta con panna, aglio e pollo a pezzi. Nonostante il romano di oggi sia così rincoglionito – e reso povero ahimé dall’establishment- da disertare talvolta Alfredo alla Scrofa lasciandolo ai turisti più svegli, con la ragione che "a pasta ar buro saa magna pure a casa", qui servono anche piatti romani di ottima qualità, con uno strepitoso servizio. Noi abbiamo mangiato anche i celeberrimi carciofi alla giudia della tradizione ebraico-romanesca, appunto, fritti interi e con le foglie croccanti, reperibili solo a Roma. Abbiamo augurato lunga vita ad Alfredo, sul libro degli ospiti illustri che la direzione gentilmente ci ha porto per la firma, visto che ha reso omaggio a suo modo alla nostra Città eterna, maltrattata, violentata, calpestata da qualsiasi pellegrino che la Terra abbia mai partorito, zozza e immortale, divenendone un pezzo della sua storia.