Il ristorante “La Fraschetta del Pesce” ha diviso tutti quanti. Pare che l'attitudine preferita degli italiani in genere sia farsi distrarre da argomentazioni più o meno futili dispensate dai media, per entrarci in fissa, si dice a Roma, e per non parlare di altro. In modo che trascorrano interi anni impegnati in diatribe riguardanti il mondo intero, mentre i destini generali cambiano impercettibilmente ogni giorno di più, fino a che un intero Paese si trovi a fare i conti con uno stato di fatti pianificato da tempo e ormai incontrovertibile. Per questo oggi ci occuperemo di mocciosi forieri di molestie e relative incazzature. Roma è infatti scossa da una profonda polemica in questi giorni, che genera interrogativi di un certo peso. È giusto oppure no sorbettarsi, in nome della santa prole, una cena al ristorante funestata dalle urla del frutto della copula dei nostri vicini di tavolo? Ho il sacrosanto diritto io di lamentarmi, una volta che esco a cena fuori per rilassarmi dallo stress della settimana, se il pargolo del tavolo accanto al mio mi perfora la membrana uditiva perché vuole che il papy gli scarichi l’ennesimo videogioco a pagamento sul telefono? La scena è sempre la stessa, “da quando l’uomo inventò il cavallo”. Il fantolino scende dalle braccia della nutrice, comincia a girovagare per i tavoli finché un adulto si alza e lo riporta nel seggiolone. I pargoli divini, appena venuti in questo mondo ad allietare le esistenze della coppia, cominciano a strillare come aquile mentre le genitrici tentano invano di infilare loro qualcosa in bocca a tradimento. “Noah, la voi la pappa?”. Così implora un donnino pallido che aveva perso le ultime speranze di procreare, rinfocolate dal manifestarsi di un ometto disponibile, alla soglia dei quarantatré. “Lo abbiamo chiamato Noah perché significa Noè e ci piaceva”, spiega la novella madre orgogliosa del futuro patriarca responsabile dell’estinzione dei fottuti leocorni, mentre l'umanità corrotta crepava nel Diluvio. Le fa eco Spartaco, padre di Torbella (Monaca), periferia di Roma, che fa presente al figlio Eros le ragioni per le quali debba terminare il suo piatto di carne: “Erosse magna sta carne perché sinnò te gonfio”- chiosa la consorte -“e j’hai dato er cornetto, ecco perché nun magna, amore de mamma”. Che l’adorata prole sia a bordo di un aereo per la durata di un viaggio intercontinentale e seduta proprio dietro di voi a frignare e spintonarvi il sedile o al tavolo accanto, nel vostro ristorante, è uguale. Inevitabilmente sarete testimoni più o meno partecipi di moine di genitori e urla di recalcitranti marmocchi che rovinano i vostri soggiorni. Quante volte vi siete sentiti Erode investiti del sacro fuoco di fare strage di mocciosi senza badare a primogeniture pur di viaggiare o cenare serenamente? Ammettetelo. Dal 2017 già il malcontento sobbolliva tra chi non voleva sorbirsi i figli degli altri presso strutture ricettive e ristoranti. Si scoprì che era illegale respingere il frutto della copula della clientela, cosa che rincuorò gli ostinati genitori di piccoli serial killer e li leggittimò a denunciare con sdegno i ristoratori fraudolenti. Ancora nessuno si azzardava ad affiggere cartelli con la scritta: “Vietato l’ingresso a bambini e cani”. Finché qualche anno fa spuntarono i primi pasionari in giro per il paese e a Roma.
“La Fraschetta del Pesce” a Torre Angela, nota borgata romana celebre per le tipiche usanze “spicce” al pari di altre ridenti zone popolari (Tor Tre Teste, Tor Bella Monaca, Quarticciolo, etc.) è un ristoratore noto col rassicurante appellativo di “Er comandante” ha letteralmente ricoperto i muri del suo locale a bordo del Raccordo Anulare di diktat intimidatori, dove si fa veto alla gentile clientela di imboccare ar tavolo con infanti. Noi di MOW, che giammai vorremmo che i nostri lettori rimanessero col dubbio che questo fatto increscioso avvenga davero davero, abbiamo inforcato il potente mezzo e affrontato il traffico del Gra per constatare con i nostri occhi, recandoci in una zona celebre per la finezza dei costumi. All’altezza di Giardinetti, ar Casilino, abbiamo parcheggiato col consenso der Cipolla dinanzi all'uscio della Fraschetta del Pesce. Effettivamente nun ce se po' sbajà, l'Erode de Torre Angela è riconoscibilissimo dalle anfore e dalle gomene che adornano l'asfalto, in prossimità del guardrail. Il cartello sulla porta c'è davvero, nel déhors affollato la clientela ripulisce i piatti di frutti di mare con culi di pane casareccio e all'interno ci dicheno de mettese a sede. L'ambiente da l’idea di una cambusa lambita dalle onde, con stampe marine e reti da pesca pronte a tirar su i carichi di saraghi tra i relitti. A una certa esplode un suono di clacson di un transatlantico. Nell'attimo in cui stai per indossare il giubbotto di salvataggio e buttarti di testa sulla secca di Ostia, giunge l'annuncio registrato di benvenuto della ciurma alla clientela della Fraschetta. Segue una marcia latinoamericana a cassa dritta e l'antipasto “Zitto e magna” si palesa sulla tavola. “E cocce e metti quine". Ci si rivolge il garçon porgendoci un recipiente per i gusci delle cozze. Accanto ci sono cinque alici marinate come da tradizione, delle patate e cozze, un piatto di tonno fresco, una panzanella pomodoro e olive. Con un certo timore cominciamo la cena, osservati dal personale in transito tra i tavoli. L’Immensità di Don Backy di sottofondo a tutto volume rivela un certo poetico romanticismo del proprietario, stride con il tutto ma denota pure buon gusto, osserviamo. Vorremmo uno spicchio di limone ma possibilmente senza essere puniti venendo venduti a tranci l'indomani al mercato di Piazza Vittorio. Decidiamo di astenerci dal chiederlo. Impavidi ordiniamo un primo, mentre l'occhio cade sul cartello affisso alla parete. “Qui se viene pe magnà. Si c'hai poca fame resta a casa, questo è un ristorante e i piatti nun se dividono”. Sentendoci un po' in colpa, convinti dell'iniquità dei nostri intenti, evitiamo di assaggiare in due la stessa porzione di linguine con ragù di triglia. Ci sembra che qualcuno ci imbruttisca (ci rivolga uno sguardo di disapprovazione, n.d.a) e fingiamo indifferenza. Al posto del primo non preso ci affrettiamo ad ordinare qualcosa per secondo, non sia mai ci venissero inflitte pene corporali. La scelta è tra vario pescato e così azzardiamo timidamente “un'orata alla piastra”. Ad un tavolo accanto una comitiva di fauna adolescenziale autoctona - l'equivalente dei maranza a Milano che qui si chiamano coatti - festeggia un compleanno tra cori da stadio. Sfoggiano elaborate acconciature con chiome rasate a mo’ di vistosi triangoli sulla sommità della testa e facce tatuate e portano tute da ginnastica e borselli. ‘O voi un goccetto de amaro colla pera?’- Propone il cameriere ad uno di loro. Noi siamo alla frutta, nel senso che abbiamo terminato il desinare e ci accingeremmo ad ordinare della frutta, ma propendiamo per un congedo ed eventuale rincasare. “In fonno a destra”, recita l'insegna con l’effigie di un wc accanto alla cassa dritta lampeggiante.
I prezzi sono nella norma e il cibo è discreto. Si respira l’atmosfera di una zona di borgata che conserva la sua essenza, verace con i suoi contro ed i suoi pro, non facili da comprendere se non si è avvezzi a quel tessuto sociale e urbano. Per quanto il cibo fosse buono, preparato personalmente da cuochi con padronanza culinaria e non improvvisati come troppo spesso sta accadendo a Roma, la moltitudine di cartelli minacciosi ha avvolto la cena in una nube di tensione emotiva che non vediamo l’ora di lasciarci alle spalle. “A Comandà, te possiamo fa una foto o ce imbruttisci?". Abbiamo chiesto in idioma natìo. Il Comandante ci ha guardato in silenzio per una manciata di lunghissimi secondi, poi, senza proferire parola, ma anche senza particce (darci una capocciata), si è messo in posa per farsi immortalare. Paurissima. A casa abbiamo letto le recensioni di qualche altro avventore. Moltissimi condividono la scelta di vietare che i pargoli vadano a loro. Pochi altri hanno osato deprecare i diktat affissi al muro e la ventata di tensione respirata nel locale, attirandosi le risposte brevi e coatte der Comandante, “Si nun te piace, stattene a casa”. Questo è il succo del messaggio in risposta. Che dire? Voi tutti che siete sforniti di prole che risponda al nome di Pierfrancescomaria, Kevin o Ginevra Maelle, o che la avete e vorreste abbandonarla per una sera in autostrada, sappiate che non siete soli. Se all’ultimo matrimonio vi è stato assegnato il posto al tavolo accanto alla primipara attempata che vi parla solo di pannolini e corsi di scherma che farà fare all’erede -sfoderando portapranzi pieni di sbobbe accanto al centrotavola di gigli - rincuoratevi. Il Comandante a Torre Angela è dalla vostra parte e vi difenderà col cric del Renault 5 da questi prolifici attentatori della vostra sacrosanta tranquillità.