Birra analcolica, marijuana senza principio attivo, sesso virtuale e vino dealcolato: i Paradisi artificiali di Charles Baudelaire, messi fuori gioco, hanno più l'aria di un Purgatorio. Tempi che corrono, certo: l'imperativo della salute a tutti i costi, aziende escluse, ha fatto sì che la zona media,dove per consuetudine si colloca la virtù, non debba più essere conosciuta attraverso gli eccessi. L’Italia, terra di vini, ha regolamentato il vino dealcolato. Non lo ha imposto, sia chiaro, come se fosse un divieto di fumare all'aria aperta, però il via libera ha sollevato non poche polemiche da parte di produttori, addetti ai lavori, appassionati ed esperti. Carlo Petrini su Repubblica ha voluto mettere in guardia dal rischio che, per compensare l’assenza di alcol, vengano aggiunti aromi, zuccheri o altri additivi che potrebbero risultare dannosi per la salute. Un po' come per le bevande analcoliche light dove per evitare lo zucchero è stato messo aspartame, a sua volta criticato per i potenziali effetti cancerogeni. Petrini ha anche espresso preoccupazione riguardo alla qualità delle uve che verranno utilizzate per i vini dealcolati. In Italia non è consentito dealcolizzare vini a Denominazione di Origine Protetta (Dop) o Indicazione Geografica Protetta (Igp), quindi si rischia di attingere da zone vinicole meno pregiate e ad alta resa, spesso situate in pianura. Insomma, ci si ritroverà a bere una brodaglia. Inoltre, la produzione di vino dealcolato, soprattutto attraverso tecniche come l’osmosi inversa, richiede molta energia. Questo rappresenta un problema in un contesto in cui si cerca di ridurre l’impronta carbonica dell’industria vinicola. Questi stessi procedimenti, poi, come ha osservato Joe Bastianich, hanno un costo che rischia di penalizzare le piccole aziende, andando quindi a incidere sulla “biodiversità” dei produttori. Noi di MOW abbiamo chiesto un parere a Camillo Langone, scrittore, esperto e amante del vino. Perché conoscere è amare.
Il destino dei paradisi artificiali è diventare un Purgatorio?
Beh, non definirei il vino un paradiso artificiale, lo definirei un paradiso culturale. Perché è un prodotto della cultura e più in particolare della nostra cultura, classica e cristiana. Pertanto questa continua aggressione nei confronti del vino (il dealcolato è un pugno, il nuovo codice della strada è un altro pugno) è un’aggressione alla nostra cultura, messa in atto da una cultura aliena, senza memoria e senza Dio, che va a sostituire la salvezza con la salute e l’alcol con gli psicofarmaci: quelli, davvero, un purgatorio artificiale.
Il vino dealcolato cancellerà la "biodiversità" aziendale come dice Bastianich, perché potranno farlo soltanto le grandi aziende?
I macchinari per la dealcolazione sono utilizzabili anche da cantine non grandissime, magari medie, ma certamente il vino dealcolato è marketing e gli artigiani, i vignaioli, i contadini, hanno come punto di forza il prodotto, non il marketing, e ne sarebbero tagliati fuori.
Davvero sarà una brodaglia di additivi?
La natura non tollera vuoti, se togli qualcosa qualcos’altro devi aggiungere. Tanto per cominciare l’alcol è un conservante, se lo togli devi aggiungere o fare qualcosa per sostituirlo. Non ci son santi: il vino dealcolato è un vino ultraprocessato, iperartificiale. Ultimamente si parlava tanto di vino naturale, che in senso stretto non esiste perché la natura non produce vino, semmai produce l’uva, ma che comunque è un vino sottoposto a poche manipolazioni, e adesso invece si promuove un qualcosa che potrebbe essere definito vino antinaturale perché di manipolazioni ne subisce moltissime. Ma forse perfino il sostantivo vino è eccessivo per una bevanda parassitaria del vino vero. Così come un corpo separato dall’anima, dal soffio vitale, è un cadavere, un vino separato dall’alcol, che è la sua anima, il suo legame col trascendente, è una salma liquida.