Miomir Kecmanovic è uscito sconfitto in tre set da Novak Djokovic nel terzo turno di Wimbledon 2025, travolto con un netto 6-3 6-0 6-4. Ma più che il punteggio, a colpire il serbo è stato il livello di gioco espresso da Nole. “È stato pazzesco”, ha dichiarato a Sportklub. “Era difficile fare punto anche quando servivo bene. Ti chiedi cosa puoi fare quando Novak gioca così. Ho affrontato la partita senza paura e senza pressioni, ma il suo livello era altissimo. Se continua a giocare in questo modo, penso che possa vincere altri 20 Slam”. Il 24 volte campione Major, secondo Kecmanovic, resta un modello impossibile da raggiungere per chiunque, tranne che per due colleghi ben precisi: “Solo Sinner, Alcaraz e Djokovic riescono oggi a toccare quel livello. Quando giochi contro uno di loro, ti rendi conto della differenza: impongono un ritmo totalmente diverso e non ti regalano nulla”.

Kecmanovic ha poi spiegato cosa accomuna i tre: “Aumentano il livello proprio quando serve. Ti costringono a stare oltre i tuoi limiti per lunghi tratti. E alla fine ti ritrovi esausto, fisicamente e mentalmente. La cosa più letale del loro tennis è che giocano bene anche nelle giornate no. È incredibile quanto Novak sia preparato fisicamente, ha un servizio costante e vario in direzione, effetto e velocità. E mentalmente, è impenetrabile. Mi è sembrato di rivedere il Djokovic del 2011 o del 2015”. Per Kecmanovic, affrontare partite così non è solo un onore, ma uno stimolo: “Match come questo mi spingono a lavorare di più, perché capisci che per arrivare lì, devi cambiare marcia. E non basta solo il talento: serve una preparazione totale”. Questo è un esempio lampante non solo di come il tennis sia uno sport estremamente imprevedibile e dal forte impatto mentale, ma anche della resilienza dei grandi campioni. Fino a pochi mesi fa sembrava che Nole, anche a causa di un ginocchio malandato, che ha dovuto persino operare, fosse sul punto di ritirarsi e di dire addio alla sua carriera da tennista. Eppure, ha giocato finora uno Slam straordinario, ricordando a tutti che forse l'era dei “Big Three” non è ancora morta. O almeno, non finché c'è lui a difendere la memoria e l’onore di quella generazione.