Ci risiamo. Dopo le critiche contro Marc Gené, presunto "iettatore" televisivo nelle domeniche italiane di motorsport e tifoseria, oggi al centro delle polemiche c'è un innominato Carlo Vanzini. Il commento però questa volta non arriva dai social, piazza di ogni polemica, ma dalla rubrica del celebre critico del Correre della Sera Aldo Grasso.
Il giornalista, che da qualche tempo dedica spazio alle proprie considerazioni sui weekend di gara della Formula 1, si è scagliato contro l'ormai celebre appellativo inventato da Vanzini per Charles Leclerc che, a partire dal suo primo anno in Ferrari, ha scelto per lui il soprannome del Predestinato.
"I telecronisti dovrebbero usare con più cautela la parola predestinato", scrive Grasso, facendo ovviamente riferimento a un solo telecronista, che però non viene mai citato. "Per tanti motivi, il primo dei quali è che non porta bene". Ed eccoci quindi, già dalla prima riga di questa critica sul quotidiano più venduto e riconosciuto d'Italia, a parlare di parole, definizioni o soprannomi che portano sfiga. Come se il compito del telecronista fosse quello di usare terminologie anti iella, parole che nella propria radice non fanno riferimenti a pronostici o premonizioni.
Non staremo un po' esagerando? "Tutte le volte che qualche sportivo viene gratificato della predestinazione - continua Aldo Grasso - perde irrimediabilmente: la macchina gli va in fumo, il ginocchio cede, un male si accanisce prima di un torneo, cose del genere". Colpa del termine quindi. Non del pacchetto di aggiornamenti alla power unit portato in pista dalla squadra di Maranello che, a Baku, ha costretto al ritiro quattro monoposto motorizzate Ferrari su sei. No, assolutamente. Colpa di chi Leclerc lo chiama Predestinato.
"Se sento ancora dire che Charles Leclerc è un predestinato, giuro che querelo per diffamazione" spiega il giornalista, dando poi una definizione del termine che - etimologicamente - fa riferimento a un destino beffarto e sconosciuto che già si pone l'obiettivo di delineare le curve della carriera di questo giovanissimo talento. E può non piacere, per questo motivo o per altre decine di spiegazioni, l'appellativo dato a Leclerc, certo, ma farne una questione di fortuna o sfortuna riduce a zero ogni discussione.
Perché non ha senso parlare dell'etimologia del termine e delle sue implicazioni se, come introduzione e massima tesi, parliamo di qualcosa che "prima di tutto non porta bene". E smettiamola definitivamente di mettere la sfortuna davanti a ogni cosa, di dare la colpa a chi dell'uso delle parole fa il proprio lavoro e di nasconderci dietro la scaramanzia, arma più facile di ogni spiegazione.