Alex Albon non sapeva, quel 18 dicembre 2020, data ufficiale dell’addio a Milton Keynes, che quel blu scuro Red Bull si sarebbe solamente convertito in una tonalità leggermente più chiara. Non sapeva che, al capolinea della pit-lane, un paio di anni più tardi, avrebbe ricominciato a scrivere il suo capitolo in Formula 1. Le lancette devono scorrere indietro di sette anni per trovare l’origine dell’Alexander Albon che conosciamo oggi e da lì, tracciare il percorso di un pilota che nel tempo non ha mai fatto più di tanto notizia, ma che è maturato nell’anonimato che solo le retrovie della griglia possono regalare.

Alex Albon è quel tipo di pilota che vedi ma non senti. La sua carriera in Formula 1 si conta sulle dita non di una, ma di ben due mani. Un volto, il suo, che inizia a presentarsi nel paddock nel 2019, pilota di una Toro Rosso che, all’epoca, contava anche su Daniil Kvyat, retrocesso da Red Bull per mano di un certo Max Verstappen. Primo pilota thailandese in Formula 1, promosso in Red Bull a metà stagione in sostituzione di Pierre Gasly, una delle tante pedine del gioco di Helmut Marko. Che in una pedina, poi, si è trasformato anche Alex, quando al termine di un 2020 sottotono perde il sedile in favore di Sergio Perez. Il 2021 è l’anno del distacco dalla massima serie, è l’anno del campionato DTM con AF Corse, è l’anno da collaudatore per Red Bull, che bada bene prima di lasciarlo andare del tutto. Ma l’addio definitivo avviene l’anno successivo, nel 2022, quando il nativo di Londra ottiene un ingaggio in Williams, un connubio, questo, che lo porterà, nel 2023, a contribuire significativamente al settimo posto nel Campionato Costruttori, miglior risultato del team dopo anni di sofferenze. Così lontano dal compagno di squadra Logan Sargeant, così lontano dalla sua Red Bull, trionfante in una delle stagioni più dominanti di sempre. Così a suo agio in un ambiente che presto gli avrebbe donato altrettante gioie.
L’anno scorso il numero #23 ha consegnato 12 dei 17 punti alla squadra di Grove, segnata da problemi di sovrappeso e costretta a rincorrere gli avversari sin da inizio stagione, per non parlare del caso Sargeant, sostituito da Franco Colapinto a partire dal Gran Premio di Monza (fautore dei restanti 5 punti). Ebbene, dopo appena due gare, il 2025 già vedeva la Williams a quota 17 punti, eguagliando il punteggio così tanto sudato nei dodici mesi precedenti e dimostrando che il lavoro dietro le quinte ha ripagato. Ora ottavo nel Campionato Piloti, dietro solo ai pupilli di McLaren, Mercedes e Ferrari e alla Red Bull di Max Verstappen. Quinti nei Costruttori dietro alle medesime marche, 37 punti che sanno già di vittoria, con l’apporto di un Carlos Sainz che sta timidamente prendendo le misure con la FW47. Per quanto entrambi i piloti Williams siano andati a punti in Cina e Arabia Saudita, è in una Miami dal meteo ballerino che la squadra ha portato a casa il bottino più ghiotto, 12 punti totali in concomitanza con il terzo doppio piazzamento.
Ed è in un post-gara estremamente positivo per la squadra britannica che non ci resta che onorare come si deve un ragazzo che è entrato in un gruppo e l’ha fatto casa, paziente dinanzi alle battute d’arresto e contenuto in occasione dei successi. Alex Albon ci ricorda che in Formula 1, a volte, non serve vestire di rosso o guadagnarsi costantemente il podio per poter dire di essere grandi. Grandi, nella massima serie, si è anche se nascosti, forti di un lavoro che è frutto di anni di attesa. Ha atteso sette anni, Alex Albon, per trovarsi vicino ai più forti al volante di una monoposto che potesse quantomeno donargli buone sensazioni. Ha atteso sette anni per sorridere alla bandiera a scacchi o, per lo meno, farlo in maniera più continuativa. Che, se i compagni dei tempi dei kart ora guidano per il Cavallino o la stella a tre punte poco importa, ormai si sa, in Formula 1 non basta il talento, serve anche fortuna. E può essere che il tempismo per Alex Albon non sia stato dei migliori, in una Red Bull che coltivava con ardore le prodezze e le pazzie difficilmente replicabili di un ragazzino prodigio ora quattro volte campione del mondo. E può essere anche che quel passaggio fosse necessario e inevitabile nel cammino verso la stabilità, come inevitabile e necessario lo è stato per Pierre Gasly, ora in Alpine, o Daniel Ricciardo, ormai grande assente nel paddock dopo uscite di scena e rientri logoranti.

E così, Alex Albon ci insegna che in un mondo che corre veloce come la Formula 1, è la combinazione di dedizione e pazienza a fare davvero la differenza. È la capacità di credere in un progetto che va avanti da tempo, anche quando sembra sfumare, e di raccoglierne i frutti senza perdere mai la fiducia. Ma forse in questo microcosmo rigido e spietato, dove tutto si misura in millesimi e vittorie, la vera forza risiede anche nel saper apprezzare le piccole cose o quelle che tardano a sbocciare: un quarto posto sfiorato a causa della Virtual Safety Car, quel leggero imbarazzo nel riconoscere la fortuna di chi lo precedeva in pista. La curiosa incredulità di chi è riuscito a tenere sotto tiro il numero #63 della Mercedes e il numero #1 della Red Bull, altrimenti irraggiungibili in tempi non lontani. Forse, proprio lì, si nasconde ciò che conta davvero.
