Potete intrufolarvi nei corridoi più impervi del paddock, sbirciare negli angoli più remoti dei circuiti, ma un altro signore con la sua esperienza non lo troverete mai. È entrato in questo mondo che corre veloce nel 1989, come meccanico. Ha inaugurato l’era MotoGP (2002) diventando capotecnico di Carlos Checa, in Yamaha ufficiale. Da lì in poi è stato direttore d’orchestra nei box di Toni Elias, Marco Melandri, Alex de Angelis, Alvaro Bautista. Ha lavorato nei più blasonati team factory, nelle squadre clienti, in Moto2, ma raramente si è affezionato alla causa come ha fatto con Aprilia ed Aleix Espargaró.
Nel giovedì del Mugello, ad una settimana di distanza dall’annuncio del ritiro del Capitano, intervistiamo Antonio Jiménez. In Autodromo regna un silenzio sostanzioso, interrotto dai rumori secchi degli ultimi lavori volti a confezionare il Gran Premio d’Italia. Il sole si nasconde tra nuvole basse, nel dehors dell’hospitality Aprilia filtra l’eco di un ritornello estivo. Antonio Jimenez ti fissa negli occhi e dice incondizionatamente ciò che pensa, un po’ come il suo pilota. Al giorno d’oggi, non è cosa di poco conto.
Antonio, come hai reagito quando Aleix ti ha detto che a fine stagione si ritirerà?
“Me lo aspettavo, perché da tanto tempo sono accanto ad Aleix, quando qualcosa bolle in pentola lo so. Da tempo doveva prendere la decisione se continuare o ritirarsi, e la scelta che poi ha fatto era nell’aria”.
È cambiata l’atmosfera nel box dopo l’annuncio? Hai visto il tuo pilota più rilassato al Montmeló?
“Sai Barcellona era un GP importante per lui, aveva alte aspettative dopo la performance dell’anno scorso (Aleix vinse sia la Sprint che la Gara, ndr). È stato molto bravo a separare l’annuncio del ritiro dalla successiva performance in pista. Volevamo replicare la prestazione del 2023, perché migliorarla era praticamente impossibile. Penso che fare pole, vittoria nella Sprint e quarto in Gara sia stato un risultato incredibile, segno che Aleix resterà professionista fino alla fine e che l’annuncio è già dimenticato”.
Sei il capotecnico con più esperienza nel paddock. Quanto è cambiato il tuo lavoro in questi anni?
“Il cambiamento è stato molto potente negli ultimi due anni direi, prima tutto era più progressivo. Più che adattarti, visto che si va sempre più forte, devi essere sempre pronto a capire dove sia il limite, che inevitabilmente continua a spostarsi in avanti. Rispetto a cinque anni fa – tra le tecnologie di abbassatori, aerodinamica, gomme, elettronica – il capotecnico deve reagire molto più velocemente. Deve badare a molte più componenti. Prima della gara stai due ore a pensare alla pressione giusta delle gomme, a misurare la temperatura dell’aria, dell’asfalto, a guardare le nuvole. In questo modo non pensi più al resto delle cose, e se sul resto non sei a posto allora tutto diventa complicatissimo”.
Hai nostalgia degli anni in cui hai cominciato?
“È molto più gratificante oggi. Nel passato lavoravi tranquillamente fino a quando non arrivava la qualifica. Oggi al venerdì devi già essere al 98%, il mio lavoro si concentra qui. Al venerdì le prove libere durano mezz’ora, il resto è puro time attack. Gestire la pressione, i nervi dei piloti e dei meccanici è forse la cosa più complicata…ma è decisamente sfidante”.
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Recentemente hai detto che con Aleix ti basta un confronto di dieci minuti al giovedì per impostare il weekend. È così anche in altre squadre, è il Capitano che si fida tanto di te, o in questa MotoGP i piloti non hanno più tempo per niente?
Antonio abbassa leggermente la voce: “Ho sbagliato, non sono nemmeno dieci minuti. Al massimo cinque, il più delle volte tre e mezzo”.
Poi racconta: “Questo mondo è diventato molto professionale e i piloti sono davvero impegnati tra media e sponsor, questa è la prima questione. Poi c’è chi passa molto tempo nel box perché non si fida, perché ha dei dubbi. Una delle cose che mi ha dato più soddisfazione della mia esperienza con Aleix è la misura in cui li si sia fidato di me e della squadra. Oggi l’ho beccato che tornava dal suo giro di pista in bicicletta, ci ho parlato due minuti, e per oggi basta così. Possiamo non parlare fino a domattina e siamo a posto”.
Hai spesso parlato del fatto che ora, dal venerdì mattina in avanti, si lavora quasi esclusivamente sulle gomme. Qual è il lavoro che viene svolto prima di varcare il paddock al giovedì?
“Prima di arrivare in pista facciamo delle riunioni pre-evento, facciamo un ripasso di tutto quello che è successo l’anno scorso su una determinata pista, vediamo cosa è cambiato nel corso dell’anno e poi cerchiamo di adattare tutte le novità alla pista specifica. Al giovedì si arriva già pronti. Per fare un esempio, da Barcellona in poi - in questi ultimi dieci giorni - non ci siamo mai fermati”.
Quali sono i fine settimana di gara più complicati da preparare?
“Nei Gran Premi di casa senti sempre una responsabilità speciale. A Barcellona devi fare bene perché è il weekend di Aleix, al Mugello vale lo stesso per Aprilia. Essendo il Mugello molto legato a Ducati, fare bene qui ci dà ancora più motivazione”.
Finora, in questa stagione, si è parlato meno di pressione gomme, anche per via dei parametri Michelin che sono cambiati. La situazione è davvero migliorata o lo stress al box è identico?
“Nel box lavori molto sulla preparazione e sulla stabilità di pressione e temperatura gomme. Non puoi sbagliare, stiamo parlando di valori veramente piccoli. Io odio completamente questa regola, lo dico apertamente e non ve ne vergogno. Quelli che fanno queste regole secondo me capiscono poco di moto, anche perché poche volte queste persone vengono dentro ai box a confrontarsi con noi, noi che conosciamo i livelli di sicurezza. L’anno scorso si sono inventati questa regola delle pressioni, quest’anno hanno leggermente aperto la finestra e i parametri sono diventati più morbidi”.
Ma non abbastanza…
“Sì perché prima di partire non si ha la palla di cristallo, non puoi sapere se il tuo pilota farà la gara da solo o in gruppo. Mettiamo che parti in pole, pensi di fare la gara in testa e per questo parti con una pressione un po’ più bassa. Poi qualcuno ti tocca alla prima curva, rientri in gruppo dodicesimo, prendi l’aria calda delle altre moto, la pressione si impenna e fai una gara di mer*a (Antonio si scusa subito per la parolaccia, ndr). O mettiamo che vinci, ti giochi la vita e poi pendi 16 secondi di penalità. In queste MotoGP che hanno tantissime componenti non puoi perdere il tempo che perdiamo noi sulle gomme per la paura di essere penalizzati. Sulle pressioni potremmo parlare per ore, le cose si potrebbero fare molto diversamente. Dovrebbero sedersi con chi ne capisce. Tanti saranno d’accordo con me, ma in pochi lo dicono”.
Per poter battere la Ducati ovunque, Aprilia ha bisogno solo di qualche moto in più in pista?
“La grande forza della Ducati è che hanno il doppio dei nostri piloti, in poco tempo hanno molte più informazioni. La differenza è tutta lì, perché con più informazioni riesci a trovare la direzione giusta più velocemente. Magari noi facciamo un passo avanti, loro nello stesso tempo ne fanno due. Eppure la nostra moto è di altissimo livello come performance pura”.
Cosa ti mancherà di più di Aleix dopo queste sei stagioni assieme?
“Quello che mi farà più paura per il prossimo anno è proprio il lato umano, con Aleix abbiamo davvero creato una bella relazione. Un’altra paura, seppure io sia da tanti anni nel paddock e abbia lavorato in tanti contesti diversi, è come sarà il prossimo pilota”.
Chi vedresti bene sulla sedia del Capitano l’anno prossimo?
“Va bene Marquez o Martín, non c’è problema (sorride)”.
Un desiderio da qui a fine stagione?
“Vincere da qualche parte. Qui o a Misano sarebbe proprio bello. Magari ad Aragon, che ad Aleix non piace ma va sempre forte”.
Il momento più brutto da quando sei in Aprilia?
“Quando Aleix cadde due anni fa a Silverstone nelle FP4 mi spaventai, fu un bel volo (Espargaró si fratturò il tallone destro, ndr). Il giorno dopo chiuse nono a tre secondi dal primo. Ha un coraggio pazzesco”.
Il ricordo più bello?
“I ricordi più belli sono due. Il primo podio a Silverstone, nel 2021, è stato l’estasi. Da lì in poi ci abbiamo creduto e la prima vittoria in Argentina, nel 2022, è stata incredibile”.