Un tie-break perso e poi la stretta di mano all’avversario. Novak Djokovic lascia la semifinale degli Australian Open contro Alexander Zverev dopo un’ora e 21 minuti di gioco, piegato non dall’avversario, ma dal suo stesso corpo. Lo strappo alla coscia sinistra, diagnosticato dopo i quarti contro Carlos Alcaraz, ha spento ogni speranza di lottare per il 25° titolo Slam, un obiettivo che sembra avvolto dalla "maledizione di Margaret Court". Proprio qui, a Melbourne Park, nessuno è mai riuscito a superare il record dell’ex campionessa australiana. Non Serena Williams, non Djokovic. La decisione di ritirarsi non è stata accolta bene dagli spalti. Fischi e mugugni hanno accompagnato l’uscita di Djokovic dal campo, suscitando la pronta difesa di Zverev: “Non fischiate un giocatore che lascia il campo in queste condizioni”, ha detto il tedesco. “So che avete pagato per essere qui, ma Novak negli ultimi 20 anni ha dato tutto a questo sport. Ha vinto qui con uno strappo agli addominali, un’altra volta con uno strappo alla coscia. Merita rispetto”. In conferenza stampa, Djokovic è apparso abbattuto, consapevole che questa volta il suo più grande avversario non è stato Zverev, ma il dolore: “Non ho colpito una palla dal giorno del match contro Alcaraz”, ha spiegato.
“Ho cercato di curarmi con farmaci e fisioterapia, ma non è servito. I primi colpi che ho tirato sono stati nel riscaldamento con Sascha. Stavo bene, ma man mano che giocavo il dolore peggiorava”. La risonanza magnetica dopo i quarti era stata chiara: uno strappo. E se due anni fa era riuscito a vincere il torneo nonostante una lesione di tre centimetri, questa volta il fisico non ha retto. “Se avessi vinto il primo set, forse avrei potuto provarci ancora un po’, ma non credo che sarei arrivato fino alla fine della partita”, ha aggiunto con rassegnazione. Djokovic, “il Cannibale”, l’uomo che ha riscritto la storia del tennis moderno, ha dovuto arrendersi, ma non per mancanza di volontà. Negli anni ha dimostrato di essere una macchina da guerra, capace di andare oltre i limiti fisici e psicologici. Eppure, questa volta, il pubblico non gli ha concesso la grazia che merita. Invece di riconoscere il sacrificio e l’impegno di un campione che per due decenni ha dato spettacolo, si è pensato solo allo show che non c’è stato. Ma Djokovic resta Djokovic. Un simbolo di resistenza, talento e passione. E anche se questa volta il suo corpo lo ha tradito, non c’è dubbio che tornerà più determinato che mai, pronto a inseguire ancora quel 25° Slam.
“La botta è calda, quindi sarà importante riprendersi prima di fare qualsiasi tipo di valutazione”, ha dichiarato e ha anche accennato al calendario delle prossime settimane. “Ora tornerò a casa, ci cureremo e vedremo se giocherò a Doha”, ha detto, lasciando aperta la possibilità di saltare il torneo qatariota. Sul ritorno in Australia, teatro del suo ritiro, il serbo non chiude le porte: “Io ho ancora voglia di continuare. Quindi, se starò bene e il fisico mi supporterà, perché no?”. Nonostante l’amarezza del ritiro, Djokovic ha riservato parole di grande stima per il vincitore della semifinale, Alexander Zverev: “Merita il suo primo Slam. Farò il tifo per lui e spero che ce la faccia qui”. Ma c’è un’altra semifinale, quella tra Jannik Sinner e ben Shelton e a parlarne è Flavia Pennetta: “L'americano è un giocatore insidioso, non dà ritmo, toglie il tempo ed è mancino. Sinner deve stare lì con la testa, cosa che fa sempre benissimo quando sta bene fisicamente. La forza di Jannik nel cambiare per migliorare ogni dettaglio in allenamento, poi adottare queste novità in partita. Nel servizio è migliorato, lo usa come arma nelle fasi delicate”.