L’open mic dopo le decisioni al Var di fronte a tutto lo stadio, le polemiche, i “rigorini”: cosa succede agli arbitri di Serie A? Di tutto. E ogni volta, a fine giornata, il designatore Gianluca Rocchi si trova a dover dare spiegazioni di ciò che è accaduto. Nel frattempo la pressione sulla classe arbitrale aumenta. E quindi aumentano, per conseguenza logica, gli errori. Alla base forse c’è una mancanza di “qualità” della classe arbitrare, ma dirigenti e allenatori ci mettono molto del loro, nelle conferenze e nelle interviste post-partita, a peggiorare la situazione. Insomma, una slavina che rischia di diventare una valanga, pronta a schiantarsi su questo campionato. Sono già tantissime le situazioni al limite (per parlare dei casi più eclatanti e non delle gestioni delle partite). Ma il Var ha “per natura” delle opacità: quanto conta la revisione dell’immagine rispetto alla sensazione dell’arbitro in presa diretta? Può davvero essere considerata attendibile l’analisi dei frame, piuttosto che la percezione dinamica di un’azione? Questioni ancora aperte. Ci vuole tempo, questo è sicuro. Ma intanto gli errori piovono, tutti protestano e la situazione peggiora. Si aprono poi dispute quasi filosofiche: qual è l’errore “chiaro ed evidente”, presupposto necessario a un intervento del Var? E come valutare la “gravità” di un episodio non visto? Insomma, il cuore del problema viene spostato ogni volta più in là. Sembra non esserci soluzione. Eppure un modo per sbrogliare questo groviglio va comunque trovato.
Gli errori più evidenti
Certi casi, più di altri, hanno dato il via alle polemiche. Tra i primi c’è lo “step on foot” in area di Kevin De Bruyne ai danni di Mehdi Leris al trentaduesimo di Napoli-Pisa (quarta giornata). L’arbitro Crezzini rimane fermo sulla sua interpretazione: Leris ha toccato in precedenza il pallone con la mano. Il Var lo chiama all’on field review ma non c’è niente da fare: il Napoli vince 3 a 2. Ancora alla quarta si segnala la gomitata (non rilevata) di Attila Orban a Federico Gatti durante Hellas Verona-Juventus: l’attaccante dei veronesi allarga palesemente il braccio e colpisce il difensore bianconero. Un’espulsione netta non vista dall’arbitro, che però non viene richiamato dal Var. Ecco uno di quei casi in cui “un episodio grave non visto” dal direttore di gara rimane tale. Chi era al Var perché ha lasciato correre? Arriviamo alla settima di campionato e a Milan-Pisa. I toscani stanno vincendo 2 a 1, manca pochissimo al fischio finale; Zachary Athekame, neo acquisto dei rossoneri, calcia dalla distanza, Fofana si sposta, la palla entra in rete. Risultato finale: 2 a 2. La posizione di Fofana, che è sulla traiettoria del tiro in fuorigioco, secondo le nuove disposizioni dell’Aia non deve essere considerata irregolare, in quanto non impedisce del tutto al portiere di vedere la palla partire. Era già accaduta una cosa simile sulla prima rete di Rafa Leao. Il difensore del Milan Pavlovic si trova sulla linea di tiro: anche in quel caso il portiere ha visto partire la palla, ma Pavlovic si è mosso chiaramente verso la sfera. Il gol viene comunque convalidato. Andiamo ai casi più recenti: il “rigorino” a favore del Napoli contro l’Inter e al mancato penalty per un intervento di Mario Gila su Francisco Conceicao in Lazio-Juventus. Nella prima situazione Henrikh Mkhitaryan tampona leggermente Giovanni Di Lorenzo in area, con il difensore del Napoli che cerca il contatto allargando la gamba. Passano alcuni secondi e l’arbitro Mariani non fischia. Poi, su segnalazione dell’assistente Bindoni, decide di assegnare il rigore. Una situazione decisamente dubbia. Anzi, Rocchi all’Open Var dichiarerà che quello non era penalty. Fatto sta che Mariani non viene nemmeno chiamato all’on field review. Conte batte Chivu per 3 a 1, ma quell’episodio ha chiaramente indirizzato la gara. “I rigori cambiano le partite, la soglia deve essere alta. E questo rigore è sotto soglia”, ha detto Rocchi. Per quanto riguarda il fallo non visto su Conceicao: “Non sono stati particolarmente scrupolosi in sala Var. Il giocatore (Gila, ndr) cerca l'avversario, c'è uno step on foot chiaro, noi ci saremmo aspettati l'On Field Review e un calcio di rigore assegnato alla Juventus”. Anche qui, dunque, qualcosa ha funzionato male. Peraltro sempre in Napoli-Inter viene fischiato, dopo il richiamo del Var, un rigore ai nerazzurri per mano netta di Alessandro Buongiorno: perché Mariani non si è preso la responsabilità di dare subito il penalty? Parziale risposta: perché ormai la paura di sbagliare è troppa. Ma l’obiettivo di Rocchi dichiarato è mantenere forti le figure arbitrali. Qui sta il cortocircuito.
Le polemiche di sempre
Il Var è stato pensato per evitare inutili polemiche. In parte ha funzionato, il fuorigioco è ormai semiautomatico, mentre i gol fantasma erano già stati superati con la goal line technology. Ma gli strumenti implementati lasciano ancora troppi casi irrisolti. E questo, inevitabilmente, scatena le reazioni degli allenatori e dei dirigenti. Le ultime, piuttosto pesanti, quelle di Beppe Marotta, che a loro volta hanno permesso a Conte di replicare. Pressione che aumenta esponenzialmente, insomma. Nel mezzo gli arbitri, proprio coloro che ci si propone di tutelare. Perché, si sa, ogni polemica ne chiama un’altra.
Le reazioni dei giocatori
Ci sarebbe infine da evidenziare anche il comportamento dei giocatori, per niente esenti da colpe quando si tratta di creare ambiguità sul campo di gioco. Ricordiamo la scenata di Santiago Gimenez in Milan-Fiorentina sul tocco di Fabiano Parisi che porta al calcio di rigore segnato da Rafa Leao; o tutti quei contatti accentuati in maniera ridicola per “fregare” i direttori di gara. Nessuno è assolto, tutti sono coinvolti.
L’esito di questo ragionamento? C’è molto da fare, le idee non sono per nulla “chiare e distinte”. Che la classe arbitrale debba aggiustare delle questioni regolamentari e preparare meglio i giovani è fuori discussione. Allo stesso tempo, però, le responsabilità del caos stanno anche da altre parti. Nella foga con cui allenatori e società si lanciano a protestare nei post-partita e nella “furbizia” dei giocatori in campo.