Tanto per essere chiari: alle 22 e spiccioli, ieri sera, trending su Twitter in Italia non era Lionel Messi. E non era neppure nei primi 15 posti: dietro all’hashtag ufficiale di Argentina-Messico c’era Lele Adani, e ciò significa che per questi Mondiali non si parla dei Mondiali, ma di chi commenta i Mondiali. Ognuno evidentemente ha ciò che si merita, l’Italia non c’è e allora dopo tutti i pipponi filosofici e mistici sul gioco, la sua bellezza e il sul suo spirito, il personaggio televisivo vince e il fuoriclasse sparisce, non più protagonista ma oggetto del suo tifo. Adani ha scatenato gli hater e può benissimo fregarsene, sebbene, per almeno la metà dei telespettatori sintonizzati sulla partita in una diretta che pareva il traino della BoboTv, Rosario più che la città di Messi è il nome di battesimo di Fiorello. Perché la BoboTv uno casomai la cerca, ma su RaiUno per i Mondiali uno ci capita, e non è la stessa cosa.
Ecco, appunto: nella prima settimana di Qatar 2022 la Rai ha fatto il pieno. Basta che se ne parli, e se ne parla, con i critici a lamentarsi di questo o quel giornalista, questo o quel commentatore sotto il consueto comune denominatore dell’indignazione: i soldi dei cittadini, i quali peraltro hanno (abbiamo) annusato per qualche mese l’ipotesi di sparizione del canone dalla bolletta dell’energia elettrica dal 2023, salvo poi scoprire una decina di giorni fa dal Mef che si trattava di “voci infondate”. La Rai, si diceva, tra le seconde voci ha trovato un nuovo mestiere per Stramaccioni e ha azzeccato Adani che fa sempre e comunque discutere pur avendo, in Argentina-Messico, messo la rete ammiraglia del servizio pubblico al livello dei programmi con le cronache urlate dei giornalisti-tifosi in servizio permanente effettivo dei network regionali. Avrebbe magari potuto portare qualche chiacchierone in meno e qualche esperto di geopolitica in più (sarebbe bastato anche solo un corso di formazione prima: una redazione esteri la tv di Stato ce l’ha), date le castronerie, le gaffe e le spiegazioni raffazzonate che si sono sentite da domenica scorsa. Sarebbe stato appunto servizio pubblico, ma mica si diventa trending così.
Galles-Iran poi è stato un ottomila, perché la diretta ha avuto vette memorabili: la prima un “abbiamo visto i tifosi gallesi che indossano tutti un copricapo che ricorda molto quello con i colori della pace, i colori arcobaleno, e ovviamente c’è il simbolo del Galles sopra questo cappellino: in qualche modo hanno aggirato le direttive Fifa”, perché ormai è isteria arcobaleno, peccato che i cappellini in questione (inquadrati) fossero questi e non c’entrassero proprio nulla; la seconda uno Stramaccioni epico: “L’Iran sta bombardando il Galles, ovviamente in senso sportivo”. Qui non ha colpe, perché nel linguaggio del calcio i termini di guerra sono un canone: bomber, offensiva, cannonata, retroguardia, assedio e potremmo andare avanti quasi all’infinito, anche se forse inarrivabile resta la vecchia telecronaca di un’amichevole agostana tra Juventus e Borussia Dortmund a Cesena quando, prima di una punizione affidata a Jugovic, dall’etere della diretta televisiva (era una delle reti Fininvest) uscì un involontariamente raggelante “c’è il serbo in posizione di sparo”. Era il 1995, non il momento migliore…
E se il gol più bello sinora l’ha fatto il brasiliano Richarlison (roba da calcio da spiaggia: niente male per “una pippa” che “non sa neanche stoppare la palla”, Cassano dixit quando ancora la BoboTv era rivoluzione), ma la supercazzola della prima settimana è di un Dario Di Gennaro gangnam style nella studiata, teatrale e rapidissima lettura della formazione della Corea del Sud contro l’Uruguay: “Kim, Kim, Kim; Kim Kim; Jung, Hwhang; Na, Son, Lee; Hwang”. Commovente.