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Cosa c’entra Imane Khelif con l’Isis? E ora fa anche ricorso contro i test di genere imposti dalla World Boxing Association

  • di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

  • Foto: Ansa

2 settembre 2025

Cosa c’entra Imane Khelif con l’Isis? E ora fa anche ricorso contro i test di genere imposti dalla World Boxing Association
Imane Khelif in una pubblicità dell’Isis? È quello che si vede sui social algerini. E lei ha anche rilanciato nelle storie. La pugile oro alle Olimpiadi di Parigi 2024, intanto, fa ricorso alla World Boxing Association contro i test di genere

Foto: Ansa

di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

Una parola, Isis, che basta a far venire la tremarella a tutti gli occidentali e a molti mediorientali. Ma non all’algerin* Imane Khelif, che partecipa a un loro video. Ma come, Khelif è in una pubblicità dello Stato islamico? Macché, è l’Isis azienda, quella dei saponi. Sarebbero i loro Dash, e il parallelismo è divertente se si pensa che da noi chiamiamo Isis (i terroristi) ciò che loro chiamano Daesh. Imane Khelif è la loro nuova atleta immagine, ragazza, ragazzo o ragazzu che sia. È la campionessa che metterà ko lo sporco ostinato. Ci avvertono: “State pronti!” Ma anche la Federazione internazionale di boxe deve fare attenzione, perché la lavata di capo, Isis o meno, potrebe arrivare a breve. Imane Khelif, infatti, ha scelto di fare ricorso contro la decisione della World Boxing Association di imporre dei test genetici per rilevare con certezza scientifica il sesso delle atlete. I test, eliminati per esempio nel contesto olimpionico dalla fine degli Anni Novanta, sono il modo più semplice, meno invasivo e più efficace per evitare che i maschi biologici picchino delle atlete donne. Giovedì 4 settembre ci sarebbe stato il primo match a Liverpool e Khelif avrebbe voluto partecipare. Da qui la scelta di presentare un ricordo il 5 agosto in modo da poter partecipare senza dover fare il test. Non è chiaro come pensasse di poter ottenere ciò che stava insensatamente chiedendo, e infatti il Tas (il tribunale sportivo) ha sospeso il giudizio fino alla prima udienza, che non è chiaro se sarà prima o no di giovedì.

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Il caso di Imane Khelif non è mai stato una sorpresa: fin dall’inizio avevamo sollevato dubbi reali, denunciato l’opacità del Cio e avvertito del rischio di conseguenze pesanti per lo sport femminile. Ora i nodi sono venuti al pettine: i test del dna effettuati a Nuova Delhi nel 2023, che all’epoca avevano portato all’esclusione della pugile, sono stati resi pubblici e dicono chiaramente che si tratta di un disordine dello sviluppo sessuale (46xy dsd). Tradotto: Khelif è biologicamente un maschio, con un vantaggio strutturale su chiunque incontri sul ring. Eppure, nonostante prove limpide, c’è chi continua a mischiare le carte, a confondere l’opinione pubblica e a parlare di intersessualità, iperandrogenismo o altre ipotesi che non reggono al confronto con i fatti. Quello che rende la vicenda ancora più paradossale è la gestione delle istituzioni: sarebbe bastato un semplice test del DNA, un tampone salivare, per chiarire tutto un anno fa. Invece il Cio ha preferito lavarsene le mani, lasciando campo libero a speculazioni, prese di posizione ideologiche e persino a fact-checker pronti a negare l’evidenza. E allora resta una domanda, la più banale eppure la più bruciante: perché Khelif, per mettere a tacere ogni sospetto, non si è mai sottoposta spontaneamente a un test ufficiale? La risposta, forse, è già scritta nei referti.

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