Fabio Quartararo è diverso dagli altri, a cominciare dal fatto che mai prima d’ora un francese era riuscito a vincere il titolo in MotoGP. E poi il suo percorso: tortuoso, più del solito, specialmente visto il talento che si è trovato tra le mani, da prodigio nelle categorie minori alle difficoltà nei team da prima fila in Moto3 e Moto2. La scommessa l’hanno vinta, con lui, Luca Boscoscuro prima e Razlan Razali poi, convinti che un pilota capace non può scordarsi la velocità. Da lì, discesa e sofferenze: finalmente al suo posto, finalmente vincente, ma limitato dal mezzo meccanico e con qualche fragilità emotiva. Fabio ha sempre messo tutto sul tavolo, raccontando dei problemi della Yamaha e dei suoi, in buona parte risolti con l’aiuto di uno psicologo. A questo, c’è da aggiungere che nel paddock è tra i pochi a divertirsi: gioca a calcetto, scherza, esce la sera. E quando gli chiedono se scambierebbe un paio di guanti con un menù del McDonald’s lui va in tribuna a lanciarli, quei guanti.
A riprova del fatto che per i tifosi Fabio ha qualcosa in più è il grandissimo affetto che tanti italiani gli hanno dimostrato nonostante la lotta al mondiale fosse tra lui e l’apoteosi del campanilismo: pilota italiano, moto italiana. Così, dopo aver preso il posto di Valentino Rossi nel team ufficiale e averci vinto un titolo, in molti - soprattutto in Francia - lo vedono un po’ come un erede del 9 volte iridato: “Sapere di avere una mia personalità anche secondo il pubblico è qualcosa di eccezionale”, ha raccontato Quartararo in un’intervista agli inglesi di Road Racing World. “Alcuni piloti possono essere super veloci, ma non hanno personalità. Come mi sento a pensarci? Dico ‘okay, ho il mio stile’. Ognuno è diverso dagli altri, ma è vero che molti mi dicono che ho un carisma vicino a quello di Valentino Rossi. Ed è una gran cosa”.
Chiaramente lui è il primo a sapere (e a dire) che un confronto con Valentino Rossi non ha motivo d’esistere, ma è vero che nella categoria dei fuoriclasse a cui piace scherzare sono in pochi. E anche se non correrebbe fino a quarant’anni (“spero di fermarmi tra altri dieci”) l’obiettivo del Diablo è uno soltanto: entrare nel cuore della gente come uno che andava forte e si divertiva a farlo.