C’è un momento, nello sport come nella vita, in cui l’unica scelta possibile è quella di rischiare. O tutto o niente. Federica Brignone, 34 anni e 207 giorni di talento, cuore e una sana dose di follia agonistica, lo ha fatto con la grazia feroce di una tigre che, anche quando sembra fuori tempo massimo per le consuete leggi biologiche dello sport, sa ancora azzannare. e di brutto. A Saalbach, nel SuperG dei Mondiali di sci alpino, su una pista a lei per nulla favorevole (praticamente senza curve per le sue magistrali carvate), ha strappato una medaglia d’argento che profuma d’oro e che lo sarebbe stato se non fosse per soli dieci maledetti centesimi.
La zampata della tigre
Il cronometro ha segnato 1’20”57, clamorosamente davanti a tutte per più di un secondo fino a quel momento, ma poco dopo un battito d’ali dietro all’austriaca Stephanie Venier, padrona di casa e del gradino più alto del podio. Ma la storia non la scrive solo chi vince. La scrive chi osa. E Brignone ha osato. “Mi sono detta: ‘piuttosto mi cartello’”, ha confessato ai microfoni della Rai nel dopo gara, con quella semplicità spiazzante che accompagna le frasi destinate a rimanere. Tradotto dal lessico adrenalinico di chi scende a 100 all’ora: meglio cadere tentando il tutto per tutto che frenare per arrivare “in sicurezza” senza puntare alla medaglia.
E così ha fatto: giù spianata, niente calcoli, una traiettoria aggressiva su una pista tutt’altro che fatta per lei. “Non c’era una curva che chiudeva, serviva velocità. Mi sono detta di aprire il gas e basta”, ha spiegato. E mentre la maggior parte degli atleti cercava la linea più pulita, lei cercava il limite. Lo ha trovato. E ci ha messo sopra la firma argentata, quasi dorata.
![La tigre Federica Brignone dopo aver tagliato il traguardo a Saalbach](https://crm-img.stcrm.it/images/42318250/2000x/20250206-145954134-9503.jpg)
Un argento che pesa (quasi) come l’oro
Quella di Saalbach è la quarta medaglia mondiale per Brignone, la prima in SuperG, la specialità che finora le aveva sempre negato la gloria iridata. Quattordici anni dopo il primo podio mondiale a Garmisch, Federica è ancora lì, protagonista assoluta in una stagione che la vede al comando della classifica generale di Coppa del Mondo. Un record nel record: nessuna sciatrice italiana aveva mai conquistato quattro medaglie ai Mondiali, e lei lo ha fatto salendo sul podio in tre diverse specialità. Roba da fuoriclasse, anzi da futura leggenda.
E poi c’è l’età, che nello sport di vertice è spesso vista come un limite. Non per Brignone. A 34 anni e 207 giorni, è diventata la medagliata più “anziana” nella storia individuale dei Mondiali di sci alpino femminile (e anche delle Olimpiadi, già nel mirino per l’anno prossimo), battendo il record di Lindsey Vonn (terza in discesa nel 2019 a 34 anni e 115 giorni, un altro "mostro", tornata in pista quest’anno a 40 anni e uscita di pista dopo aver colpito una porta con la spalla destra). Ma Federica non sembra affatto preoccupata di questo primato: “Sono orgogliosa. Fare bene in un grande evento del nostro sport è speciale. Sentivo parecchia pressione, tutti si aspettavano qualcosa da me e anche io mi aspettavo di fare qualcosa di grande”. Missione compiuta.
I maledetti dieci centesimi
Ma sì, quei dieci centesimi bruciano. Sono un soffio di vento, un granello di neve sul bordo di una curva, un’inclinazione leggermente diversa. Sono il prezzo di una minima imperfezione, come lei stessa ammette: “Sono contenta della mia manche, ho fatto qualche sbavatura, ma è andata bene. Sono contenta e ringrazio il mio team”. Una dichiarazione d’amore per chi sta dietro le quinte di ogni medaglia: allenatori, preparatori, tecnici, famiglia. Eppure, in fondo agli occhi c’è quel lampo, quello che dice: “Potevo prenderlo, quell’oro”. Sarà per la prossima?
![Federica Brignone](https://crm-img.stcrm.it/images/42318280/2000x/20250206-150222155-3252.jpg)
Una leggenda in corso d’opera
Se c’è una cosa che Federica Brignone ci insegna è che il tempo non è per forza un nemico. È un compagno di viaggio, a condizione (non proprio scontatissima) che il viaggio sia quello di una figura leggendaria. A 34 anni, con una carriera già epica alle spalle, continua a scrivere nuove pagine di storia. Con la stessa fame di quando era una ragazzina che sognava le piste più difficili. Con la stessa voglia di lasciare la zampata della tigre. “Per me l’età… Io – ha detto a Sport Mediaset – sono cresciuta con calma. Da bambina fino a 14 anni ero veramente bambina, la mia prima vittoria è arrivata a 25 anni. Ci ho messo un po’ a curare tutti i dettagli. Alla fine è stata una strada lunga e molto cercata. Non mi sono trovata subito avendo provato tutto, ma ci sono arrivata più per gradi e ho raggiunto una stabilità mentale, fisica e sciistica molto bella”. La parola simbolo di questa medaglia? “Coraggio. Oggi dovevi sapere che prima dei salti dovevi trovare la linea più tosta che ti avrebbe portato a saltare veramente tanto per far più velocità, ma non dovevi avere rispetto”.
Il resto delle azzurre
Dietro di lei, la truppa italiana ha vissuto una giornata di luci e ombre. Sofia Goggia, grintosa come sempre, ha chiuso quinta, a soli sei centesimi dal podio, con una gara in chiaroscuro: qualche errore di troppo che le è costato caro. Ma la leonessa di Bergamo non molla mai e ha già messo nel mirino la discesa di sabato per rifarsi. Elena Curtoni nona, Marta Bassino, campionessa mondiale in carica, solo sedicesima, mentre Laura Pirovano chiude diciottesima. Un po’ deludente anche la super Lara Gut-Behrami, ottava dopo qualche decimo perso per incastro pericoloso tra braccio sinistro e una porta.
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